ISSN 2039-1676


26 giugno 2019 |

Autoriciclaggio e 'voluntary disclosure'

Cass. Sez. II, sent. 1 marzo 2019 (dep. 1 aprile 2019), n. 14101, Pres. Prestipino, Rel. Rago, ric. Cerea

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1. Con la sentenza in commento, la II Sezione Penale della Corte di Cassazione, pronunciandosi in sede cautelare, annulla senza rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Brescia, nonché quella genetica applicativa degli arresti domiciliari, non ritenendo sussistente nel caso di specie il delitto di autoriciclaggio; dispone altresì l’annullamento con rinvio per nuovo esame delle esigenze cautelari relative al reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero, intervenuto nella procedura di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure).

La pronuncia appare di notevole interesse, almeno sotto un duplice profilo: da una parte, infatti, il Giudice di legittimità coglie l’occasione per soffermarsi sulla definizione dei ‘proventi’ del reato, pervenendo, nonostante le premesse, ad un esito che potrebbe aprire una breccia nell’orientamento consolidato; dall’altra, pare fornire una lettura del delitto di autoriciclaggio polarizzata sulla condotta di impiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, escludendo che la mera condotta di trasferimento – nella specie l’alienazione di beni a terzi – possa esservi in alcun modo ricondotta.

 

2. La vicenda prende le mosse dalla contestazione nei confronti di C. del delitto di cui all’art. 5-septies d.l. 167/1990 (convertito con l. 227/1990), per aver fornito dati o notizie non rispondenti al vero nella relazione di accompagnamento alla domanda di adesione alla procedura di collaborazione volontaria, prevista dall’art. 5-quater e ss. del detto decreto. Tra le condotte integranti il reato appena descritto è da rilevare in particolar modo quella con cui si attestava falsamente la collocazione spaziale di diverse opere d’arte, atteso che è proprio a valle di un trasferimento a terzi dei predetti beni – trasferimento, secondo l’accusa, finalizzato a ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita – che veniva altresì contestato il reato di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 c.p.

Ritenute sussistenti le esigenze cautelari, il Tribunale del Riesame di Brescia confermava l’ordinanza – emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo – applicativa della misura degli arresti domiciliari, individuando il reato di cui all’art. 5-septies d.l. 167/1990 quale reato-presupposto del delitto di autoriciclaggio e giudicando la condotta di alienazione a terzi come concretamente idonea ad ostacolare la provenienza delittuosa delle opere d’arte.

Il Tribunale evidenziava altresì come per l’indagato fosse addirittura preclusa la procedura di voluntary disclosure, perché proposta in violazione del divieto previsto dall’art. 5-quater d.l. 167/1990: l’istanza di ammissione alla procedura era stata infatti presentata pochi giorni dopo la verifica operata dalla Guardia di Finanza nei confronti della S. s.r.l.; detta società, insieme ad altre situate all’estero, costituiva uno schermo fittizio attraverso cui il ricorrente commerciava in opere d’arte, e quindi risultava sostanzialmente indistinguibile rispetto alla persona fisica C.

Il ricorrente, pur non contestando quanto accertato in fatto, sosteneva che, al contrario di quanto affermato nelle pronunce citate, l’istanza di ammissione alla procedura era regolare sul piano amministrativo, atteso che non vi era identità formale tra il soggetto che subiva la verifica e l’istante.

Più nel dettaglio, poi, la difesa deduceva l’inidoneità del delitto di falso di cui sopra a fungere da reato-presupposto dell’autoriciclaggio, stante l’impossibilità che dallo stesso si generino proventi. Si contestava altresì che la vendita delle opere d’arte potesse essere qualificata come impiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, affermando infine l’insussistenza di concreti ostacoli per l’identificazione della provenienza dei beni.

 

3. La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ripercorre gli aspetti fondamentali della procedura di collaborazione volontaria[1] e del delitto di autoriciclaggio[2], pronunciandosi in particolare e preliminarmente sulla relazione che intercorre tra quest’ultimo e il falso commesso in occasione della voluntary disclosure.

La Cassazione, tenendo a mente che lo scopo della collaborazione volontaria è quello di far emergere il c.d. ‘nero transfrontaliero’ e il c.d. ‘nero domestico’, fa dipendere la configurabilità del reato dalla interpretazione della locuzione ‘ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria’, contenuta nell’art. 5-quater d.l. 167/1990. Interpretazione che non si spinge sino all’affermazione di un astratto principio di diritto inerente al significato contenutistico dell’espressione, ma che suggerisce piuttosto un approccio metodologico di tipo sostanziale, che implica una valutazione da condurre caso per caso.

Ebbene, nella specie, si giunge a considerare falsa la relazione di accompagnamento all’istanza di voluntary disclosure perché il C. aveva rappresentato la propria situazione patrimoniale al netto di quella delle società a lui riconducibili, che, pur essendo soggetti formalmente diversi dal ricorrente, de facto svolgevano attività indistinguibili rispetto a quelle della persona fisica.

Senonché, incidentalmente e per fugare eventuali equivoci, deve osservarsi che la corretta individuazione dell’ambito oggettivo di applicazione della procedura non assurge ad elemento costitutivo del reato di cui all’art. 5-septies, quanto piuttosto sembra esserne un elemento sintomatico, rilevante ai fini della prova – o meglio, trattandosi di un giudizio cautelare, della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza – del reato in contestazione.

La Corte poi ricorda ed enuclea gli effetti premiali della corretta presentazione dell’istanza e del conseguente buon esito della procedura, sottolineando come il collaborante, anche nelle more, possa comunque continuare a disporre dei beni dichiarati nella disclosure.

In particolare, si nota come i vantaggi per il dichiarante consistano, oltre che nella regolarizzazione della posizione fiscale e nella riduzione delle sanzioni amministrative, nella non punibilità per una serie di reati tributari (omessa o infedele dichiarazione, dichiarazione fraudolenta con fatture false o altri artifici, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento IVA), nonché per quelli di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio[3].

 

4. Giova sottolineare come quella della voluntary disclosure quale causa di non punibilità per il delitto di autoriciclaggio relativo ai reati tributari indicati nell’art. 5- quinquies, co. 1, d.l. 167/1990 – con un’efficacia tra l’altro temporalmente circoscritta ai fatti commessi prima del 30 novembre 2015, ex art. 5-quinquies, co. 3 – sia solo una delle molteplici, problematiche sfumature cui dà vita l’intreccio tra il reato di cui all’art. 648-ter.1 c.p. e l’istituto della collaborazione volontaria: introdotti contestualmente dalla l. 186/2014, la loro comune genesi[4] pare quasi segnarne l’ineluttabile destino, improntato a una complementare e al contempo conflittuale coesistenza.

Appare utile a questo punto, ai fini di un migliore inquadramento, soffermarsi, seppur brevemente, sui risvolti penalistici dell’istituto della collaborazione volontaria.

Volendo riprendere una sistematizzazione già adoperata in dottrina, gli effetti penalistici della voluntary disclosure possono essere riassunti ricorrendo ad uno schema triadico[5]: da una parte, come si è avuto modo di anticipare, ci si sofferma sulla natura di causa di non punibilità sopravvenuta rispetto a taluni reati tributari e alle condotte di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego relative al profitto dei suddetti reati[6]; dall’altra, si nota come l’istanza di collaborazione volontaria funga sostanzialmente da autodenuncia[7] rispetto alle fattispecie non coperte dall’esenzione o in caso di esito negativo della stessa; infine, si arriva a considerare la voluntary disclosure quale fonte ex se di responsabilità penale, in quanto l’abuso è punito dal legislatore attraverso figure criminose ad hoc – tra cui, per l’appunto, il delitto di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero – ed è suscettibile altresì di integrare delitti come il riciclaggio e l’autoriciclaggio.

In aggiunta, per completezza, va segnalato che l’art. 648-ter.1, co. 6 c.p. – nel prevedere un’attenuante ad effetto speciale per chi si sia adoperato efficacemente per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto –, secondo la dottrina, ha reso permanente l’efficacia premiale della voluntary disclosure rispetto al delitto di autoriciclaggio, ponendo tra l’altro qualche interrogativo sull’estensibilità di tale effetto anche al delitto presupposto[8].

Va detto che la sentenza in esame analizza il problema da una prospettiva parzialmente diversa e fino ad ora inedita, ovverosia quella di verificare se il reato di falso di cui si tratta possa essere fonte dei proventi illeciti. Proventi che, secondo l’ordinanza impugnata, andavano individuati nelle opere d’arte dichiarate nella disclosure e nella loro apparente regolarizzazione, da cui derivava per il contribuente la possibilità di alienarle e, così facendo, di ‘trasformarle’ in denaro, sottraendole più facilmente alla garanzia erariale per il recupero delle maggiori imposte, considerato anche che l’indagato era pienamente consapevole dell’inammissibilità e della falsità della disclosure.

 

5. Il Giudice di legittimità, chiamato ad accertare la configurabilità del delitto di autoriciclaggio, schematizza i requisiti strutturali della fattispecie rilevanti nel caso di specie. Essi sono individuati: nella commissione di un delitto non colposo; nell’esistenza di un provento economicamente apprezzabile (denaro, beni o altre utilità) originato dal predicate crime; nel reimpiego del provento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative; nel concreto ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del provento.

La Corte, accogliendo le censure mosse dalla difesa, afferma che nel caso in esame nessuno degli elementi tipici del delitto di autoriciclaggio appare integrato.

La principale doglianza della difesa era volta ad escludere la possibilità di reputare il delitto di falso in esame come in grado di produrre proventi. La Cassazione nega in modo netto tale evenienza e sottolinea che il falso in oggetto non può aver generato beni (le opere d’arte) che di fatto erano già presenti nel patrimonio del collaborante, la cui dichiarazione, mediante la disclosure stessa, aveva altresì consentito all’Amministrazione Finanziaria di venire a conoscenza della loro esistenza e di tenerne conto ai fini del ricalcolo di imposte, interessi e sanzioni.

Tuttavia, la portata dell’affermazione appare ridimensionata dal fatto che, nella parte iniziale della motivazione, la Suprema Corte aveva dichiarato di aderire al consolidato indirizzo giurisprudenziale che ammette la riconducibilità del risparmio d’imposta alla nozione di ‘provento riciclabile’, sub specie di ‘altra utilità’.

L’argomento è per la Corte funzionale alla considerazione, espressa in seguito, secondo cui nella vicenda in esame a rilevare è piuttosto il risparmio d’imposta (ammontante a circa 2 milioni di euro) conseguente all’acquisizione dello status di collezionista invece che di commerciante, ottenuto a seguito della creazione di quella fittizia rete di società riconducibili tutte a C.

A questo riguardo la Cassazione fa anche riferimento, nelle battute finali della decisione, alla presunta individuazione, da parte dell’ordinanza impugnata, di un diverso e non precisato reato di natura tributaria come ‘fonte’ di proventi illeciti, che però non appariva contestato neppure in via incidentale.

 

6. La sentenza arriva infine a sostenere che la condotta di alienazione dei beni, finalizzata a sottrarli all’eventuale riscossione coattiva da parte dell’Amministrazione Finanziaria, nulla avrebbe a che vedere con il reato di autoriciclaggio, potendo al più essere sussunta in quello di cui all’art. 11 d. lgs. 74/2000.

Quest’ultima affermazione appare essere la naturale conseguenza di un’ulteriore statuizione: ci si riferisce all’impossibilità di considerare il trasferimento dei beni a terzi quale reimpiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

Sul punto, a dire il vero, manca un’espressa presa di posizione della Cassazione. In precedenza, però, laddove si sottolinea che non ricorre nessuno dei requisiti costitutivi dell’autoriciclaggio prima enunciati – tra cui l’impiego in attività economiche, finanziarie etc. –, i Giudici di legittimità sembrano aderire all’impostazione secondo cui le condotte di sostituzione e, come nel caso in questione, quelle di trasferimento non integrano il delitto di cui all’art. 648 ter.1 c.p., risolvendosi in definitiva la condotta tipica nel solo impiego in una delle attività indicate[9].

Viene altresì in rilievo la tematica dell’eventuale concorso di reati, considerato che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposta, di cui all’art. 11 d. lgs. 74/2000, presenta profili di convergenza e di sovrapponibilità con l’autoriciclaggio.

La norma, infatti, pur non facendo esplicito riferimento alla commissione di un reato a monte, dimostra comunque, mediante il riferimento alle soglie di rilevanza, di considerare quale presupposto della fattispecie l’esistenza di un pregresso debito tributario[10]. In dottrina si è affermato che, laddove l’utilità proveniente da un reato fiscale non sia identificabile o identificata, la sottrazione fraudolenta supplisce all’inapplicabilità dell’autoriciclaggio, divenendo pertanto «norma specializzante rispetto all’art. 648-ter.1 c.p. perché la condotta di impiego, sostituzione, trasferimento dell’utilità del reato tributario, idonea ad ostacolare concretamente l’identificazione di quelle utilità, si traduce necessariamente nell’alienazione simulata o nel compimento di atti fraudolenti sui propri beni per rendere inefficace la procedura coattiva»[11].

In breve, la Cassazione sembrerebbe affermare che la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è l’unica strada per punire condotte che non incidono sull’utilità direttamente conseguita dal reato a monte e che si sostanziano nel compimento di atti fraudolenti su beni che ne rappresentano invece la semplice utilità ‘riflessa’[12].

 

* * *

 

7. La sentenza in esame si segnala, come anticipato, per una condivisibile lettura restrittiva della nozione di ‘provento riciclabile’, laddove sottolinea che non possono costituire oggetto materiale del reato di cui all’art. 648-ter.1 c.p. beni già presenti nel patrimonio del soggetto. La stessa Corte è attenta peraltro a non scalfire la sua giurisprudenza in tema di ‘risparmio di imposta’, nella preoccupazione che l’interpretazione qui seguita possa incidere sull’annoso tema della compatibilità tra riciclaggio – e oggi autoriciclaggio – e reati tributari[13].

Allo stesso modo, appare persuasivo l’indirizzo seguito dalla Cassazione in punto di definizione del raggio di azione del delitto di autoriciclaggio. Seppur in modo implicito, la Suprema Corte sembra infatti aderire alla tesi secondo cui la condotta di mero trasferimento non può rilevare ai sensi dell’art. 648-ter.1 c.p., essendo necessario l’impiego in una delle attività indicate.

Rimane peraltro ferma la possibilità, come argomentano i Giudici di legittimità nell’ultima parte della sentenza, di applicare la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, allorché si tratti solo di un’utilità ‘riflessa’.

 

 


[1] Sull’istituto della voluntary disclosure, senza pretese di esaustività, si vedano M. Cardillo, La voluntary disclosure: aspetti critici, in Dir. prat. trib., 2015, p. 906 ss.; C. Glendi, Voluntary disclosure: le ripide procedure (per il purgatorio più o meno salvifico o il suicidio sanzionatorio del peccatore fiscale in via di non sempre spontaneo e totale pentimento), in Dir. prat. trib., 2015, p. 351 ss. Per un confronto tra voluntary disclosure e ravvedimento operoso, S. Galeazzi, Il nuovo ravvedimento oneroso, in Riv. dir. trib., 2014, p. 995 ss.; V. Mastroiacovo, Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie e riflessi fiscali delle definizioni bonarie delle vertenze penali, ivi, 2015, p. 143 ss.

[2] Per un approfondimento sull’autoriciclaggio, ex multis, A. Apollonio, Autoriciclaggio e diritto comparato, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 4/2017, p. 183 ss.; A. Gullo, Autoriciclaggio e reati tributari, in questa Rivista, 13 marzo 2018; Id., Autoriciclaggio. Voce per ‘Il libro dell’anno del diritto Treccani 2016’, ivi, 21 dicembre 2015; E. Mezzetti, D. Piva (a cura di), Punire l’autoriciclaggio. Come, quando e perché, Torino, 2016; F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2015, p. 108 ss.; M. Naddeo, Autoriciclaggio: i compromessi di un difficile inquadramento sistematico, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2016, p. 687 ss.; S. Seminara, Spunti interpretativi sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. proc., 2016, p. 1631 ss.; F. Sgubbi, Il nuovo delitto di autoriciclaggio: una fonte inesauribile di effetti perversi dell’azione legislativa, Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2015, p. 137 ss.; R. M. Vadalà, L’autoriciclaggio e la soluzione italiana nella recente riforma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, p. 711 ss.

[3] In tal senso, in dottrina, A. Ingrassia, Le (caleidoscopiche) ricadute penalistiche della procedura di voluntary disclosure: causa sopravvenuta di non punibilità, autodenuncia e condotta penalmente rilevante, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2/2015, p. 127 ss.

[4] Parlano di «metodo del bastone (autoriciclaggio) e della carota (voluntary disclosure)» di fronte ai patrimoni oggetto di evasione fiscale S. Cavallini, L. Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del ‘vicino ingombrante’, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2015, p. 107. Definisce l’autoriciclaggio come «puntello sanzionatorio» della voluntary disclosure G. F. Perilongo, Movimentazione di ‘denaro sporco’ e autoriciclaggio: una prima indicazione giurisprudenziale, in Giur. it., 2017, p. 188.

[5] Adotta siffatta sistematica A. Ingrassia, I tre volti della voluntary disclosure: causa di non punibilità, autodenuncia e fonte autonoma di responsabilità penale, in Le Società, 2017, p. 493 ss.; Id., Le (caleidoscopiche) ricadute penalistiche della procedura di voluntary disclosure, cit., 127 ss.

[6] Cfr., tra gli altri, E. M. Ambrosetti, I reati tributari, in E. M. Ambrosetti, E. Mezzetti, M. Ronco, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2016, p. 553 s.; E. Mezzetti, Prove tecniche del legislatore su una rivisitazione del rapporto autore/vittima in funzione riparatoria o conciliativa, in Cass. pen., 2016, p. 3094 ss.; D. Piva, Effetti penali della voluntary disclosure, in Corr. trib., 2015, p. 259 ss.

[7] In tal senso, si sofferma sugli aspetti problematici della trasmissione all’autorità giudiziaria della documentazione fornita dal contribuente per la procedura di voluntary disclosure M. Grotto, Aspetti penali della voluntary disclosure, in Cass. pen., 2015, p. 2152 ss.

[8] Cfr. M. Naddeo, Autoriciclaggio: i compromessi di un difficile inquadramento sistematico, cit., p. 705 s.

[9] In tal senso, A. Gullo, Il delitto di riciclaggio al banco di prova della prassi: i primi (rassicuranti) chiarimenti della Cassazione, in Dir. pen. proc., 2017, p. 482 ss.; F. Mucciarelli, La struttura del delitto di autoriciclaggio. Appunti per l’esegesi della fattispecie, in E. Mezzetti, D. Piva (a cura di), Punire l’autoriciclaggio. Come, quando e perché, cit., p. 8.

[10] Cfr. A. Lanzi, P. Aldrovandi, Diritto penale tributario, Padova, 2017, p. 399 ss.

[11] A. D’Avirro, M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, in Dir. pen. proc., 2015, p. 149; conformemente, L. Ferrajoli, Autoriciclaggio a rischio incroci, in Il Sole 24 Ore – Norme e tributi, 28 maggio 2018, p. 34, il quale sottolinea come sia necessaria una rigorosa prudenza interpretativa di fronte alla possibilità di applicazione congiunta dell’art. 11 d. lgs. 74/2000 e dell’art. 648-ter.1 c.p.; infatti, secondo l’impostazione in esame, le due fattispecie, al di là dell’elemento distintivo dato dall’impossibilità di identificare i proventi del reato a monte, tutelerebbero beni giuridici differenti e non potrebbero strutturalmente dar vita ad un concorso apparente. A tale ultimo proposito, F. Di Vizio, Il delitto di sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte ed i rapporti con i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di riciclaggio. Tra finte nullatenenze e diffidenze esasperate rispetto all’autonomia negoziale, in www.discrimen.it, 1 ottobre 2018, p. 63, inquadra il rapporto tra autoriciclaggio e sottrazione fraudolenta nella «specialità reciproca bilaterale per aggiunta».

[12] In tal senso si esprime M. Giglioli, I reati esterni alla dichiarazione ovvero i delitti in materia di documenti e pagamento d’imposte, in A. D’Avirro, M. Giglioli, M. D’Avirro, Reati tributari e sistema normativo europeo, Milano, 2017, p. 513 ss.

[13] Cfr., tra gli altri, S. Cavallini, L. Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del ‘vicino ingombrante’, cit., p. 95 ss.; R. Cordeiro Guerra, Reati fiscali e riciclaggio, in Riv. dir. trib., 2013, p. 1163 ss.; A. D’Avirro, M. Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, cit., p. 1 ss.; A. Gullo, Autoriciclaggio e reati tributari, cit., p. 1 ss.; C. Romeo, Autoriciclaggio e reati tributari: questioni applicative e problemi legati all’utilizzo fiscale della legge penale, in Dir. prat. trib., 2017, p. 540 ss.; L. Troyer, Autoriciclaggio e risparmio di spesa: una preoccupante (ma prevedibile) evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Riv. dott. comm., 2018, p. 747 ss. Per una panoramica dell’analogo dibattito nel diritto penale spagnolo, anche in ottica di diritto comparato, si veda I. Blanco Cordero, El delito fiscal como actividad delictiva previa del blanqueo de capitales, in Revista Electrónica de Ciencia Penal y Criminología, 30.03.2011, p. 1 ss.