29 maggio 2019 |
Autoriciclaggio e gioco d'azzardo: la 'speculazione' al vaglio della Suprema Corte
Cass., Sez. II, sent. 13 dicembre 2018 (dep. 6 marzo 2019), n. 9751, Pres. De Crescienzo, Rel. Pazienza, ric. PM in proc. Bresciani; Cass., Sez. II, 7 marzo 2019 (dep. 29 marzo 2019), n. 13795, Pres. Diotallevi, Rel. Filippini, ric. PM in proc. Sanna
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1. Due recenti pronunce della seconda Sezione penale della Corte regolatrice affrontano una questione complessa e sfaccettata in tema di autoriciclaggio, suscettibile di incidere non poco sulla portata dell’art. 648-ter.1 c.p. a proposito dell’impiego di proventi criminosi “in attività economiche, finanziarie o speculative”.
A ricorrere per cassazione è – in entrambi i casi – il Pubblico Ministero, a seguito dell’annullamento, ad opera del tribunale del riesame, di misure cautelari applicate nei confronti di indagati che avevano destinato a giochi e scommesse quanto ricavato da delitti contro il patrimonio.
Le decisioni di legittimità in discorso pervengono a esiti contrapposti: nel primo caso il gravame della pubblica accusa è rigettato, mentre alcune settimane dopo – in una fattispecie assai simile dal punto di vista strutturale – un differente collegio della medesima sezione annulla con rinvio il provvedimento liberatorio e confuta apertamente la pronuncia di poco precedente.
Il richiamato contrasto interpretativo sarà illustrato nel prosieguo tramite la disamina delle due sentenze in parallelo, svolgendo infine qualche considerazione critica sulla ratio decidendi di ciascuna pronuncia.
2. I fatti vagliati dalla Cassazione, nella prospettiva dell’applicabilità di vincoli cautelari, possono riassumersi come segue.
2.1. Nel primo caso (Cass. 9751/2019) l’indagato per delitti di appropriazione indebita e truffa aveva effettuato ingenti puntate al gioco del lotto utilizzando denaro di provenienza criminosa, così da integrare – in ipotesi d’accusa – gli estremi dell’autoriciclaggio, il cui profitto era conseguentemente attinto da un decreto di sequestro preventivo per equivalente (giusta art. 648-quater c.p.). Il tribunale del riesame travolge la misura cautelare per difetto del fumus commissi delicti, sul rilievo che tale condotta non poteva “essere annoverata tra le attività ‘speculative’ punibili ai sensi dell’art. 648-ter.1 c.p.”.
Il PM ricorre per cassazione avverso il provvedimento del giudice della cautela, deducendo violazione di legge penale sotto un duplice profilo: per un verso si contesta la conclusione del tribunale circa l’estraneità di giochi e scommesse al concetto di ‘speculazione’ costituente autoriciclaggio; per altro, si sottolinea l’idoneità dissimulatoria della destinazione al gioco di risorse ex delicto.
2.2. La seconda decisione qui commentata (Cass. 13795/2019) è resa anch’essa nell’ambito di un sub-procedimento cautelare, ove erano stati disposti gli arresti domiciliari a carico di un indagato che, dopo aver realizzato svariate truffe, impiegava una significativa parte dei relativi proventi “in attività speculative e, segnatamente, nel settore dei giochi e delle scommesse (quali slot machines, videogiochi on line di tipo casinò e poker, nonché scommesse sportive on line)”. Il collegio de libertate annulla l’ordinanza genetica della richiamata cautela personale per “insussistenza del presupposto indiziario” del contestato autoriciclaggio, statuendo – da un lato – che il significato letterale del vocabolo “speculazione” è incompatibile con il gioco in virtù del carattere prettamente aleatorio di quest’ultimo (di per sé estraneo alla nozione di investimento con finalità remunerative) e – dall’altro – reputando applicabile la clausola di non punibilità del quarto comma dell’art. 648-ter.1 c.p., che esclude dall’area del penalmente rilevante comportamenti di “mera utilizzazione” o “godimento personale” delle utilità ritratte dal predicate crime, posto che giochi e scommesse avrebbero l’esclusiva finalità di soddisfare esigenze ludiche (al limite patologiche), anziché risultare strumentali alla ‘ripulitura’ delle risorse utilizzate.
La pubblica accusa impugna in sede di legittimità la decisione del tribunale del riesame e censura in via principale l’interpretazione del sintagma “attività speculative”, sulla scorta di argomenti letterali, sistematici ed empirici (anche di fonte sovranazionale) che consentirebbero di qualificare come autoriciclaggio impieghi di denaro in gioco o scommessa; d’altro canto, il PM ricorrente evidenzia che nella vicenda di specie la destinazione prevalente delle somme di provenienza delittuosa era consistita in una pluralità di puntate effettuate con modalità razionali, senza potersi congetturare alcuna patologia connessa al gioco d’azzardo in capo all’indagato.
3. La motivazione della prima sentenza prende le mosse dall’inquadramento dell’art. 648-ter.1 c.p. nel complessivo assetto penalistico di contrasto al money laundering, soffermandosi in particolare sulle differenze strutturali rispetto all’ipotesi di riciclaggio, per poi esaminare la concreta fattispecie dell’impiego di denaro ‘sporco’ nel gioco del lotto.
3.1. Il Supremo Collegio rimarca, in prima battuta, come la scelta del legislatore del 2014 di configurare un’autonoma disposizione incriminatrice – anziché rimodulare l’art. 648-bis c.p. allo scopo di punire anche chi abbia preso parte al delitto-presupposto – implichi non soltanto il venir meno del c.d. privilegio di autoriciclaggio, ma abbia altresì significative ricadute sulle condotte punibili, dal momento che l’art. 648-ter.1 c.p. non menziona (in aggiunta a ‘sostituzione’ e ‘trasferimento’) le “altre operazioni” potenzialmente rilevanti a titolo di riciclaggio e richiede, inoltre, che i proventi illeciti siano indirizzati verso “attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative” con modalità idonee “a ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
A sostegno di tale importante premessa interpretativa sono richiamate le autorevoli posizioni dottrinali che, da una parte, individuano la ratio politico-criminale dell’autoriciclaggio nell’esigenza di “congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato presupposto (…) [allo scopo di proteggere] ‘l’ordine economico’”[1] e, dall’altra, attribuiscono centralità alla “proiezione dell’impiego, sostituzione o trasferimento su attività economiche (…) [da intendere quale] ferreo sintagma”[2]. In quest’ultima prospettiva andrebbe del resto letta una delle prime pronunce di legittimità in tema di autoriciclaggio, che ha escluso la rilevanza penale del versamento di denaro di origine furtiva su una carta prepagata tanto sul versante della (in)idoneità dissimulatoria della condotta, quanto sotto il profilo della carenza di natura ‘economica’ o ‘finanziaria’ dell’attività, ai sensi degli artt. 2082 c.c. e 106 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d. lgs. 385/1993, TUB)[3].
3.2. L’iter argomentativo della sentenza si dirige quindi – sulla scorta delle predette coordinate ermeneutiche – alla verifica di sussumibilità della partecipazione al gioco del lotto nello schema dell’art. 648-ter.1 c.p., adottando quali linee-guida “i principi di tassatività e determinatezza della norma penale incriminatrice, e del divieto di analogia in malam partem”. La questione da dirimere concerne, al fondo, il sintagma “attività speculative” e la carenza di una norma definitoria nell’ambito del money laundering impone di fare ricorso “agli ordinari ‘strumenti’ offerti dalle disposizioni sulla legge in generale”, nonché all’interpretazione sistematica.
Proprio sui richiamati criteri si misurano, in ottica contrapposta, la decisione liberatoria del tribunale del riesame e l’impugnazione della pubblica accusa.
Il giudice della cautela riconduce il concetto di ‘speculazione’ alla “gestione in modo razionale ed economico del rischio”, laddove il gioco costituisce “espressione di un intento non patrimoniale” che, seppure riconosciuto come valida fonte di arricchimento (arg. ex art. 1933 c.c.), rimane sprovvisto di tutela giuridica, a differenza di quanto accade con gli strumenti finanziari tipicamente ‘speculativi’ (come i c.d. derivati), ai quali non si applica la richiamata previsione del codice civile, ai sensi dell’art. 23 del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria (d. lgs. 58/1998, TUF).
Il PM ricorrente – pur condividendo l’approccio metodologico del gravato provvedimento – sostiene per contro che il significato del termine “speculazione”, riportato dai dizionari, non è di per sé incompatibile con situazioni aleatorie come quelle caratterizzanti giochi e scommesse, giacché “a ben vedere il giocatore-investitore tiene un comportamento simile [a quello dell’investitore ‘puro’], quando tenta di governare la sorte, affidandosi a competenze e criteri razionali nell’effettuazione delle giocate-puntate”, senza contare che la provenienza illecita delle somme renderebbe pressoché irrilevante l’alea per il giocatore.
3.3. La Corte regolatrice respinge il gravame dell’accusa mediante tre ordini di considerazioni.
In primis, dal punto di vista letterale, il vocabolo “speculazione” ha un campo semantico estraneo alle attività ludiche, come il lotto, nelle quali non rileva la personale abilità del partecipante: quest’ultimo, “semplicemente, si affida alla sorte per ricavare, con il meccanismo casuale delle estrazioni, una somma maggiore di quella di cui dispone”.
In secondo luogo (e correlativamente), la nozione di “attività speculative” cui è collegato il rimprovero a titolo di autoriciclaggio non può risentire dell’illiceità dell’origine delle risorse impiegate, ché – altrimenti – si metterebbe in discussione il canone giuspenalistico di legalità, dando luogo a una vera e propria analogia in malam partem.
Sul piano sistematico è infine richiamata, in aggiunta al peculiare regime civilistico di ‘obbligazioni naturali’ dei debiti di gioco (giusta art. 1933 c.c.), la disciplina tributaria applicabile alle relative vincite, tassate quali “redditi diversi” in misura e con modalità del tutto distinte dalle plusvalenze derivanti da attività speculative stricto sensu, come si ricava dagli artt. 67 e 68 del Testo Unico delle imposte sui redditi (d.P.R. 917/1986, TUIR) e – per quanto specificamente concerne il lotto – dall’art. 6 d.l. 50/2017.
4. Ben più articolato il percorso motivazionale della seconda sentenza in rassegna, che – come anticipato – non si limita ad annullare con rinvio il provvedimento oggetto di gravame, ma respinge senza mezzi termini le conclusioni della pronuncia di poco precedente, tramite argomenti testuali e teleologici.
4.1. L’interpretazione letterale rappresenta il più immediato banco di prova per la tesi che intenderebbe escludere attività prettamente aleatorie (quali giochi e scommesse) dalla sfera della ‘speculazione’ e – in ultima analisi – dal perimetro applicativo dell’autoriciclaggio. Al riguardo il Supremo Collegio premette una considerazione, assai significativa, sull’ammissibilità dell’interpretazione estensiva delle norme penali, “anche al di là della dizione strettamente letterale”, allorché esigenze logiche impongano di “ricondurre alla previsione normativa ipotesi non completamente delineate e tuttavia configurabili in base alla stessa lettera della legge”. In altre parole, conformemente a remoti precedenti della Cassazione, si intende accertare l’esatta portata di una norma incriminatrice “attraverso i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica”.
4.2. Sul piano del significato, l’espressione “attività speculative” ha portata molto ampia e – all’esito di una approfondita digressione enciclopedica – la Corte rileva come la dimensione dell’alea non rimanga affatto estranea alla ‘speculazione’ economica in sé, spesso dotata di valenza sinonimica rispetto ai concetti di “gioco d’azzardo” o “scommessa”, il che trova peraltro conferma nel linguaggio comune (es. ‘giocare in borsa’).
Alle puntuali notazioni sul campo semantico di “attività speculative” si aggiungono rilievi empirici – in parte ricavati dal ricorso del PM – circa le moderne tecniche di gioco e scommessa tramite sistemi matematici o algoritmi, suscettibili di contenere grandemente o “addirittura quasi azzerare il rischio di perdita del capitale, assicurandone, invece, la ripulitura”. D’altronde – osserva acutamente la sentenza – il ‘costo’ sopportato in conseguenza della parziale e controllata perdita delle somme in gioco può senza dubbio costituire “un conveniente metodo di sostituzione del profitto delittuoso, persino più vantaggioso rispetto ai tradizionali ‘costi’ di altri sistemi di riciclaggio o del ‘prezzo’ che generalmente l’autore del reato presupposto riconosce al ricettatore” (rectius, riciclatore).
4.3. Passando alla dimensione teleologica, la pronuncia in commento ripercorre la storia dell’art. 648-ter.1 c.p., a partire dal corposo dibattito che ne ha preceduto l’introduzione e dalle sollecitazioni sovranazionali cui è ricollegabile l’intervento del legislatore domestico nel 2014.
La proiezione dell’autoriciclaggio verso “attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative” mira in effetti a “perseguire (…) qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale”[4], ma siffatta estensione potenzialmente illimitata del tipo è circoscritta dalla legge – in forza del ne bis in idem sostanziale – tanto in chiave oggettiva, quanto soggettiva: sotto il primo profilo si richiede che la condotta ‘autoriciclatoria’ debba “ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa” delle risorse movimentate; sul versante soggettivo è invece valorizzabile la clausola di non punibilità del quarto comma dell’art. 648-ter.1 c.p. (in tema di “mera utilizzazione” e “godimento personale” dei proventi del predicate crime: v. infra).
Sulle orme dei primi arresti giurisprudenziali circa la portata della disposizione incriminatrice in esame si afferma – conclusivamente – che la particolare capacità dissimulatoria “costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile)”[5].
Alla predetta ricostruzione della ratio legis il Supremo Collegio affianca penetranti considerazioni politico-criminali, facendo propri gli argomenti del PM ricorrente a proposito dei caratteri del moderno gioco d’azzardo e delle scommesse, con i correlati rischi di riciclaggio, accentuati dall’uso di sofisticate tecnologie telematiche e dall’ingresso sul mercato “di nuovi soggetti attratti dagli alti flussi finanziari generati dall’industria del gioco”. Nella delineata prospettiva “non può logicamente negarsi che, mediante l’impiego di denaro nel gioco d’azzardo o nelle scommesse, si raggiunga proprio il risultato che la norma incriminatrice vuole sanzionare”, nonostante tali attività comportino anche il rischio di perdita (parziale o totale) del capitale, dal momento che i relativi proventi costituiscono una fonte lecita di arricchimento, “sebbene non meritevole di tutela mediante apposite azioni giudiziarie” (arg. ex art. 1933 c.c.).
L’approdo della sentenza è dunque il seguente: “la neutralità linguistica funzionale allo sviluppo di una grammatica comune richiede una inferenza logica capace di reificare le norme e rendere concreta l’interpretazione proposta (…) [così da] inglobare la pratica sociale e ricategorizzare la norma attraverso l’elemento assiologico presente nella legge” (id est: la concreta idoneità dissimulatoria dell’origine delittuosa dei proventi autoriciclati).
4.4. Per corroborare l’ermeneutica imperniata sui canoni letterale e teleologico, la pronuncia in rassegna utilizza quale argumentum a fortiori l’interpretazione estensiva (ammissibile anche in materia penale: v. supra), ribadendo che “il termine polisenso di ‘speculazione’ (…) [può essere inteso senza sforzo] quale sinonimo di ‘gioco d’azzardo’”[6], tanto più sul rilievo che le due espressioni – dal punto di vista strutturale – sono sostanzialmente riportabili alla nozione di “investimento”. Ancora sul piano logico, con argumentum a contrario, si evidenzia l’antinomia dell’opposta soluzione ‘riduttiva’ sostenuta dal tribunale del riesame nella vicenda di specie, tendente a negare la configurabilità del riciclaggio tramite un “canale diffusamente riconosciuto”.
Agevole, in definitiva, ritenere che “nel concetto di ‘attività speculativa’ di cui all’art. 648 ter1 cod. pen. ben possano rientrare anche i giochi o le scommesse caratterizzati da azzardo (intendendosi per tali quelli praticati con fine di lucro e nei quali la vincita o la perdita sia in buona parte aleatoria, avendovi l’abilità del partecipante un’importanza non discriminante rispetto all’esito)”.
4.5. La motivazione della pronuncia in commento – come anticipato – non trascura di confrontarsi con il diverso orientamento prospettato dalla Suprema Corte nella sentenza 9751/2019 di poco precedente (v. supra) e, dopo averne puntualmente ripercorso i passaggi salienti, li sottopone a serrate critiche.
Ribadito l’approccio ermeneutico di carattere letterale e teleologico, corroborato dall’interpretazione estensiva, la più recente decisione di legittimità afferma a chiare lettere che “l’indicazione normativa delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, lungi dal rappresentare un elenco formale (…), appare piuttosto diretta ad individuare delle macro aree, tutte accomunate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa”. La “ricerca (…) di un utile”, anche a costo di considerevoli perdite, rappresenta dunque il minimo comun denominatore delle condotte sussumibili nella fattispecie di autoriciclaggio, laddove l’alea connessa a determinate iniziative è un elemento ‘neutro’ in prospettiva penalistica, giacché tale fattore può caratterizzare molteplici attività speculative in senso ‘classico’ (come gli investimenti sui mercati finanziari) e non soltanto la partecipazione al gioco d’azzardo o al sistema delle scommesse, che “costituisce certamente un impiego idoneo ad ostacolare concretamente l’individuazione della provenienza delittuosa dei capitali impiegati”.
D’altronde – prosegue la Cassazione – il peculiare regime tributario dei proventi del gioco non soccorre ai fini dell’interpretazione dell’art. 648-ter.1 c.p.: da un lato rimane confermata l’attitudine degli impieghi in discorso rispetto alla ‘sostituzione’ dei capitali; dall’altro, non è infrequente riscontrare trattamenti fiscali ad hoc per talune categorie di redditi, fermo restando che l’ordinamento ben può attribuire “significati disomogenei ai medesimi concetti giuridici”, come ad esempio accade con la nozione di “possesso” in ambito civilistico e penalistico.
4.6. La disamina della questione prosegue sul versante della determinatezza e tassatività delle norme incriminatrici e il Supremo Collegio nega qualsivoglia rottura del canone giuspenalistico di legalità in relazione alla fattispecie di autoriciclaggio, dal momento che, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, l’uso di un linguaggio aspecifico da parte del legislatore è suscettibile di interpretazione teleologica e sistematica, così da contenere entro limiti accettabili la discrezionalità del giudice e fornire al destinatario del precetto linee-guida sufficientemente chiare per orientare il proprio comportamento.
Si prospetta, quindi, la necessità di un’interpretazione su base casistica allo scopo di valutare “se una determinata attività, alla luce delle sue generali caratteristiche, possa ritenersi economica, finanziaria, imprenditoriale o speculativa, nonché (…) se l’impiego dei proventi illeciti sia compiuto ‘in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa’”.
Ma non basta. In aggiunta all’elemento oggettivo della concreta idoneità dissimulatoria, occorrerà riscontrare il “dolo generico che abbracci l’intera condotta prevista dal comma 1 dell’art. 648-ter.1, (…) [id est la] coscienza e volontà di impiegare sostituire o trasferire proventi delittuosi nelle attività considerate dalla norma medesima”.
4.7. L’ultimo tratto della motivazione della pronuncia in rassegna è diretto a confutare l’argomento (prospettato dal tribunale de libertate in via subordinata) dell’applicabilità al caso di specie del secondo capoverso della disposizione incriminatrice dell’autoriciclaggio, ai sensi del quale non sono punibili le condotte di “mera utilizzazione” o “godimento personale” dei proventi del predicate crime.
La Corte regolatrice – pur consapevole del carattere altamente controverso della richiamata norma di favore, soprattutto per quanto concerne le parole d’esordio (“Fuori dei casi di cui ai commi precedenti”) – ritiene di allinearsi alla recente presa di posizione di una sentenza di legittimità sul punto, che ha circoscritto l’ambito di operatività dell’esimente ai casi di utilizzazione o godimento delle utilità ritratte dal delitto-presupposto “in modo diretto e senza che [l’agente] compia su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”[7]. Conseguentemente, la decisione qui commentata ribadisce che il connotato distintivo dell’autoriciclaggio va ravvisato nella “concreta idoneità di camuffamento[, accompagnata] dal corrispondente elemento psicologico”.
Applicando i suesposti principi di diritto al caso di specie, con precipuo riferimento a impieghi di denaro ‘sporco’ in gioco d’azzardo e scommesse, si ritiene senza dubbio configurabile il delitto previsto dall’art. 648-ter.1 c.p. qualora la condotta sia dotata di attitudine dissimulatoria.
4.8. La conclusiva statuizione di annullamento con rinvio dell’ordinanza del tribunale del riesame è preceduta da due interessanti precisazioni.
In primis, la sentenza in commento esclude che per integrare l’autoriciclaggio sia necessario conseguire una qualche vincita al gioco, in quanto il concetto di ‘impiego’ rimane di per sé insensibile a eventuali perdite (o finanche all’azzeramento) del capitale investito, esattamente come accade nella speculazione in ambito finanziario, il che contribuisce in modo decisivo a etichettare l’art. 648-ter.1 c.p. come “reato a consumazione anticipata”. Del resto – osserva il Supremo Collegio per mera concessione retorica – se anche si richiedesse il conseguimento di un risultato economico per poter configurare il delitto in esame, lo stesso sarebbe pur sempre integrato in forma tentata nei casi di perdita integrale del denaro in gioco.
In secondo luogo, il margine applicativo della clausola di non punibilità di cui al quarto comma dell’art. 648-ter.1 c.p. è limitato a “quelle residuali forme di gioco o sommessa che, per le caratteristiche intrinseche, non presentino, sotto il profilo oggettivo o soggettivo, i caratteri costitutivi (…) della fattispecie prevista dal primo comma”.
* * *
5. Le due pronunce in rassegna offrono molteplici spunti di riflessione e, nonostante gli esiti contrapposti, risultano entrambe apprezzabili nei rispettivi apparati motivazionali, tanto sotto il profilo dell’attenzione ai principi fondamentali, quanto per l’ampio respiro sistematico e la disponibilità al confronto con la dottrina sull’interpretazione di una fattispecie problematica come l’autoriciclaggio. L’approccio ‘dialogico’ delle sentenze qui segnalate rappresenta invero una costante delle decisioni di legittimità (in materia cautelare) intervenute nei primi anni di vigenza della previsione di reato introdotta nel 2014.
Non essendo possibile svolgere considerazioni approfondite sulle numerose e interessanti tematiche affrontate dalla Suprema Corte, ci si limiterà a qualche cursoria notazione, a partire da una premessa politico-criminale: le incertezze che tuttora ammantano l’art. 648-ter.1 c.p. sono frutto dell’imperfetta tecnica redazionale di tale disposizione incriminatrice, che sconta la necessità di trasmettere una sorta di messaggio ‘tranquillizzante’ rispetto alle dinamiche di pan-penalizzazione evocate da più parti in conseguenza dell’abolizione del ‘privilegio di autoriciclaggio’[8]. Nella delineata prospettiva, appare pregevole l’impegno interpretativo congiunto dei formanti giurisprudenziale e dottrinale, allo scopo di mettere ordine in una materia delicata come il contrasto al money laundering, cruciale anche nella dimensione sovranazionale.
6. La prima sentenza (Cass. 9751/2019) si attiene scrupolosamente alla lettera della legge, come impone l’art. 25, cpv., Cost.: se l’interpretazione letterale è senza dubbio connaturata all’osservanza del nullum crimen sine lege, risulta nondimeno pacifico – con riferimento alle “attività” incriminate dall’art. 648-ter.1, co. 1, c.p. – che l’attributo “speculative” (come pure “economiche”, a differenza di “finanziarie” e “imprenditoriali”) ha un campo semantico talmente ampio da essere irriducibile a uno specifico settore dell’ordinamento, ovvero a una precisa cornice normativa.
Più in generale, non riesce del tutto convincente il confronto strutturale tra autoriciclaggio e riciclaggio, sia con riferimento alle condotte contemplate dall’art. 648-bis c.p., sia (soprattutto) a proposito dell’inciso “in attività…”.
6.1. Il mancato inserimento nell’art. 648-ter.1 c.p. delle “altre operazioni” (ricomprese nel fatto tipico del solo riciclaggio) non produce uno scostamento sul terreno della tipicità, dal momento che – come acutamente notato in dottrina – l’“estensione semantica dei termini « sostituisce » e « trasferisce » giunge (…) a svuotare del tutto la portata selettiva del richiamo al compimento di « altre operazioni », essendo difficile, se non impossibile, immaginare operazioni di riciclaggio che si realizzino attraverso comportamenti diversi da quelli di sostituzione o di trasferimento”[9].
6.2. Il principale aspetto problematico della tesi che attribuisce pregnanza alla proiezione delle condotte di autoriciclaggio “in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative” consiste, invece, nel carattere omnicomprensivo del primo e dell’ultimo attributo (‘economiche’ e ‘speculative’), ambedue costituenti un genus nel cui ambito possono senza difficoltà trovare collocazione, quali species, i rimanenti termini[10]. Ne segue che la destinazione dei proventi criminosi verso determinate “attività” non riveste alcuna funzione selettiva del tipo penalmente rilevante, mentre il fuoco dell’incriminazione si concentra sulla potenziale dissimulazione, in concreto, della provenienza ex delicto delle risorse movimentate. Indipendentemente dal dato letterale, un ulteriore elemento normativo milita a sostegno dell’irrilevanza della destinazione dei proventi oggetto di autoriciclaggio: la “mera utilizzazione” e il “godimento personale”, non punibili a mente del secondo capoverso dell’art. 648-ter.1 c.p., ben possono presentare connotati di ‘economicità’ e/o carattere ‘speculativo’. Con immediata esemplificazione: l’acquisto di un immobile da destinare ad abitazione dell’‘autoriciclatore’ mira certamente al soddisfacimento di esigenze ‘personali’, ma non per questo è da escludere che tale compravendita possa costituire un buon affare in virtù del prezzo contenuto o rispetto ad altre pattuizioni contrattuali (ad esempio il pagamento dilazionato senza interessi). D’altronde, come già notato in altra sede, le situazioni ‘eterogenee’ (ove coesistono finalità economico-speculative e personalistiche nell’impiego di proventi delittuosi) sono tutt’altro che infrequenti nella prassi e determinerebbero difficoltà probatorie insormontabili qualora si attribuisse valenza decisiva alla finalità perseguita dal reo[11].
Allo scopo di individuare i comportamenti punibili non resta che attribuire centralità alla nota modale della concreta idoneità ad ostacolare l’identificazione dell’origine delle utilità ritratte dal predicate crime. Nell’ottica testé indicata, all’espressione “in attività…” ex art. 648-ter.1, co. 1, c.p. andrebbe pertanto riconosciuta natura di presunzione relativa (iuris tantum) del carattere dissimulatorio delle condotte di ‘investimento’ che meglio si prestano a realizzare l’effetto vietato dall’ordinamento, ferma comunque la necessità di accertamento in giudizio di tale estremo della fattispecie. L’esimente del quarto comma, seppure per certi versi ridondante, servirebbe invece a ribadire – come acutamente notato in giurisprudenza – che la carenza di idoneità ingannatoria connota la “mera utilizzazione” e il “godimento personale” dei proventi delittuosi[12].
Applicando le predette coordinate ermeneutiche all’ipotesi di partecipazione al gioco del lotto, è evidente come tale condotta possa essere classificata senza sforzo tra le “attività speculative”, ma ciò non basta ancora ai fini della rimproverabilità a titolo di autoriciclaggio, dovendosi altresì verificare se le modalità di effettuazione delle puntate siano in concreto idonee ad alterare il paper trail del denaro utilizzato. Sebbene l’indagato nel caso deciso dalla prima sentenza in rassegna avesse formulato apposite difese sul punto, il criticabile approccio della Corte regolatrice imperniato sull’estraneità del gioco d’azzardo al concetto di ‘speculazione’ ha determinato la superfluità dell’accertamento di attitudine dissimulatoria del fatto.
7. La seconda pronuncia qui brevemente commentata (Cass. 13795/2019) presenta un impianto motivazionale condivisibile sul piano dogmatico e sistematico, ma non del tutto privo di criticità.
7.1. Un profilo non poco controverso del decisum è riscontrabile in una sorta di automatismo istituito tra l’impiego di denaro proveniente da delitto nel gioco d’azzardo (o nelle attività di scommessa) e l’integrazione degli estremi dell’autoriciclaggio. Vero è che la sentenza doveva misurarsi con l’opposta conclusione raggiunta dal tribunale del riesame, ma non va trascurato il rischio di scivolamento verso inammissibili presunzioni assolute di illiceità di determinati comportamenti, al punto da annullare il filtro selettivo del disvalore oggettivo d’azione che caratterizza l’art. 648-ter.1 c.p.[13]. In altri termini, non ogni comportamento suscettibile di alterare l’‘ordine economico’ costituisce reato, giacché – come detto – anche la ‘mera utilizzazione’ di proventi criminosi può inquinare l’‘economia pulita’: soltanto quando a tale effetto potenzialmente perturbatore si accompagnano peculiari note modali della condotta l’ordinamento reagisce criminalizzando l’autoriciclaggio.
Non superfluo ribadire, in conclusione, che l’art. 648-ter.1 c.p. riveste fondamentale funzione sistematica con riguardo alle rimanenti previsioni codicistiche di contrasto al money laundering (artt. 648-bis e 648-ter c.p.), dal momento che la natura di reato di pericolo concreto dell’autoriciclaggio è decisiva per attribuire la medesima etichetta dogmatica a riciclaggio e impiego, da intendere come ipotesi connotate da identico disvalore d’azione (id est: la concreta idoneità dissimulatoria dell’origine illecita dei proventi oggetto di ‘lavaggio’)[14].
7.2. Ulteriore questione problematica nella sentenza in rassegna attiene all’elemento soggettivo della disposizione incriminatrice introdotta nel 2014. Nessun dubbio che si tratti – come segnala la Corte regolatrice – di reato a dolo generico; a non convincere fino in fondo è, tuttavia, la centralità probatoria assegnata al coefficiente psichico dell’autoriciclaggio. Al di là della portata squisitamente oggettiva della nota modale cui è ricollegato il rilievo penalistico del comportamento (v. supra), l’accertamento del dolo – operazione di per sé altamente complessa – presuppone pur sempre che il fatto tipico presenti le caratteristiche enucleate dall’art. 648-ter.1 c.p., con la conseguenza di collocare sullo sfondo la componente psicologica (pure indefettibile). In altre parole, la pronuncia in esame sembrerebbe allinearsi all’orientamento interpretativo, autorevolmente sostenuto, che sulla base del dolo di riciclaggio traccia il confine tra iniziative economiche lecite (dotate in quanto tali di fondamento nell’art. 41 Cost.) e condotte di money laundering. A tale posizione può nondimeno ribattersi – tanto più dopo l’introduzione del delitto di autoriciclaggio – che la ratio puniendi rimane estranea alla “finalizzazione soggettiva, volta a mascherare la fonte (illecita) dei mezzi economici che alimentano l’operazione”[15] posta in essere dal reo, essendo al contrario preponderante la dimensione di Handlungsunwert insita nel carattere ingannatorio del comportamento.
[1] F. Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2015, 112.
[2] S. Seminara, Spunti interpretativi sul delitto di autoriciclaggio, in Dir. pen. proc., 2016, 1641.
[3] Cass. pen., sez. II, 28 luglio 2016 (c.c. 14 luglio 2016), n. 33074, pres. Fiandanese, est. Pardo, ric. PM in proc. Babuleac, in Dir. pen. proc., 2017, 482 ss., con nota di A. Gullo, Il delitto di autoriciclaggio al banco di prova della prassi: i primi (rassicuranti) chiarimenti della Cassazione.
[4] Sottolineature nel testo.
[5] Cass. pen., sez. II, sent. 33074/2016, cit.
[6] Sottolineatura nel testo.
[7] Cass. pen., sez. II, 5 luglio 2018 (ud. 7 giugno 2018), n. 30399, pres. Davigo, est. Rago, ric. Barbieri, in Giur. it., 2018, 2741 ss., con nota di E. Basile, Autoriciclaggio, “mera utilizzazione” e “godimento personale”: soluzione di un enigma solo apparente.
[8] In argomento si veda, volendo, E. Basile, L’autoriciclaggio nel sistema penalistico di contrasto al money laundering e il nodo gordiano del concorso di persone, in Cass. pen., 2017, 1277 ss.
[9] Così F. Mucciarelli, Autoriciclaggio e concorso di persone nel reato (nota a Cass. pen., sez. II, 18 aprile 2018 -ud. 17 gennaio 2018-, n. 17235, pres. Diotallevi, est. Beltrani, ric. Tucci), in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 2218.
[10] Sul punto sia permesso rinviare a E. Basile, Autoriciclaggio, “mera utilizzazione”, cit., 2748. In ottica parzialmente diversa v. F. Mucciarelli, Autoriciclaggio e concorso, cit., 2119 s., ad avviso del quale il genus è rappresentato in via esclusiva dall’aggettivo “economiche”.
[11] E. Basile, Autoriciclaggio, “mera utilizzazione”, cit., 2748.
[12] Cass. pen., sez. II, sent. 30399/2018, cit.
[13] Per la lettura imperniata sull’Handlungunswert sia consentito il rinvio a E. Basile, L’autoriciclaggio, cit., 1281 ss.
[14] Ibidem, 1289 s.
[15] Così C.E. Paliero, Il riciclaggio nel contesto societario, in Riciclaggio e imprese, a cura di M. Arnone e S. Giavazzi, Milano, 2011, 93 (corsivi nel testo).