ISSN 2039-1676


02 luglio 2019 |

La Cassazione torna sul rapporto tra sequestri/confische e procedure concorsuali: rimessa alle Sezioni unite la vexata quaestio della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali

Cass., Sez. III, ord. 16 aprile 2019 (dep. 23 maggio 2019), n. 22602, Pres. Aceto, Est. Corbo

 

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1. Con l’ordinanza che si offre all’attenzione del lettore, resa in sede di giudizio cautelare, la Suprema Corte, nel rimettere alle Sezioni Unite la questione relativa alla legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali disposti su beni oggetto del fallimento (qualora la relativa dichiarazione sia successiva all’apposizione del vincolo penale), torna nuovamente sull’annoso problema del rapporto tra, da un lato, sequestri e confische e, dall’altro, procedure concorsuali[1].

La vicenda processuale trae origine da un provvedimento di sequestro, disposto su somme di denaro rinvenute sul conto corrente di una società poi dichiarata (a distanza, per vero, di pochi giorni) fallita, finalizzato alla confisca diretta – secondo il principio di diritto formulato nella nota sentenza Gubert delle Sezioni Unite [2] – del profitto del reato di omesso versamento dell’I.V.A. di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000. A seguito dell’ordinanza con la quale il Tribunale ha rigettato l’appello presentato dalla curatela, avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di dissequestro, la curatela medesima presenta ricorso ai sensi dell’art. 325 del codice di rito.

La verifica della legittimazione ad impugnare è questione preliminare rispetto all’esame di tutte le doglianze sottoposte al vaglio della Suprema Corte in quanto, all’evidenza, dalla sua risoluzione discende l’ammissibilità o meno del ricorso, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, a norma dell’art. 591, comma 1, 2 e 4 c.p.p.

 

2. Per inquadrare meglio la questione rimessa alle Sezioni Unite, occorre prendere le mosse dalla sentenza Focarelli del 2004, relativa ad un caso di sequestro preventivo, disposto in funzione della confisca facoltativa di cui all’art. 240, comma 1 c.p.p., avente ad oggetto il profitto di delitti tributari e truffe ai danni dello Stato commessi in forma organizzata[3]. In tale pronuncia, le Sezioni Unite, in mancanza di una specifica previsione normativa, escludono la tesi dell’incondizionata prevalenza delle misure cautelari reali rispetto alle esigenze della par condicio creditorum e ciò sulla base di due argomenti principali. In primo luogo, lo “spossessamento” patrimoniale, che il fallito subisce a seguito della dichiarazione di fallimento (ai sensi dell’art. 42, comma 1 L. Fall.), non implica la perdita di ogni disponibilità, sia diretta che indiretta, dei beni (il che, a ben vedere, eliderebbe lo stesso presupposto di ammissibilità oggettiva del sequestro), bensì un «semplice assoggettamento dei beni ai fini della procedura esecutiva concorsuale» (§ 3). In altri termini, «il fallito conserva, sino al momento della vendita fallimentare, la proprietà dei beni […] pur restando questi vincolati al fine di garantire una equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l’esecuzione forzata» (§ 3.1)[4]. In secondo luogo, la Corte confuta la perentoria esclusione del rilievo pubblicistico degli interessi perseguiti dalla procedura concorsuale, basata sulla presunta natura eminentemente privatistica della procedura medesima, segnalando – tra l’altro – che «la stessa Relazione ministeriale alla legge fallimentari evidenza che tale legge “assume la tutela dei creditori come un altissimo interesse pubblico» (§ 4). A fondamento della sua impostazione, la sentenza Focarelli si sofferma anche sul ruolo del curatore fallimentare, quale risultante, oltreché dalle finalità istituzionalmente collegate al suo agire, anche dai poteri allo stesso attribuiti e dai controlli posti a presidio della sua attività gestoria: egli, lungi dall’essere un mero soggetto privato che agisce in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori, è un organo che svolge, appunto, una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, incardinato nell’ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato (§ 5).

Ciò detto, secondo le Sezioni Unite, il rapporto tra sequestri e confische, da un lato, e fallimento, dall’altro, è legato a doppio filo alla natura e alle finalità che caratterizzano i provvedimenti disposti dal giudice penale.

Per quanto qui maggiormente interessa, nel caso di sequestro c.d. impeditivo, di cui al comma 1 dell’art. 321 c.p.p., presupposto della misura cautelare è – come noto – il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso ovvero agevolare la commissione di altri illeciti: trattasi, quindi, di uno strumento che, a fronte della pericolosità sociale dell’agente, assolve una funzione di prevenzione speciale, «del tutto estranea e poziore rispetto ai fini della procedura fallimentare». Ne consegue che il giudice, per poter disporre l’applicazione, il mantenimento o la revoca del sequestro in questione senza essere vincolato dagli effetti del fallimento, dovrà «effettuare una valutazione di bilanciamento (e darne conto con adeguata motivazione) del motivo della cautela e delle ragioni attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori, anche attraverso la considerazione dello svolgimento in concreto della procedura concorsuale» (§ 4.1).

Discorso diverso vale, invece, per il sequestro funzionale alla confisca di cui al comma 2 dell’art. 321 del codice di rito. Infatti, quando si tratta di (sequestro finalizzato alla) confisca obbligatoria, la misura «deve ritenersi assolutamente insensibile alla procedura fallimentare» in quanto «la valutazione che viene richiesta al giudice della cautela reale sulla pericolosità della cosa non contiene margini di discrezionalità, in quanto la res è considerata pericolosa in base ad una presunzione assoluta» e «le finalità del fallimento non sono in grado di assorbire la funzione assolta dal sequestro»: in altri termini, «[l]e ragioni di tutela dei creditori sono destinate ad essere pretermesse rispetto alla prevalente esigenza di tutela della collettività» (§ 4.1.a).

Viceversa, la confisca facoltativa (e il sequestro ad essa finalizzato), basandosi non sulla pericolosità della res in sé, bensì sulla relazione che lega quest’ultima al reo, «[…] postula il concreto accertamento, da parte del giudice, della necessità di evitare che il reo resti in possesso delle cose che sono servite a commettere il reato o che ne sono il prodotto o il profitto, e che quindi potrebbero mantenere viva l’idea del delitto commesso e stimolare la perpetrazione di nuovi reati»; tale finalità, peraltro, ben potrebbe essere realizzata anche dallo spossessamento derivante dalla declaratoria fallimentare, la sola in grado di assicurare, al contempo, la garanzia dei creditori sul patrimonio del fallito (§ 4.2.b)[5].

Da una simile impostazione discende, tra l’altro, il riconoscimento della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare, previa autorizzazione del giudice delegato, provvedimenti cautelari reali, al fine di rimuovere un atto che possa avere effetti pregiudizievoli rispetto alla reintegrazione del patrimonio.

 

3. Al di là del rilievo attribuito alla natura e all’oggetto delle diverse misure ablatorie, la regola di giudizio formulata dalla sentenza Focarelli, improntata alla logica del bilanciamento degli gli opposti interessi concorrenti in gioco, trova condivisibilmente – ad avvio di chi scrive – largo seguito nell’elaborazione giurisprudenziale anche più recente. Tuttavia, il punctum dolens del percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite sta nel fatto che non tutte le ipotesi di confisca obbligatoria, previste dalla legge, hanno ad oggetto cose intrinsecamente pericolose. Da qui il contrasto interpretativo – qui riassunto in termini davvero essenziali – tra due generali indirizzi: il primo, che lega il principio della insensibilità assoluta al fallimento alla configurazione, facoltativa ovvero obbligatoria, della confisca[6]; il secondo il quale, al contrario, guarda alla natura, intrinsecamente pericolosa o meno, del bene che ne forma oggetto[7].

 

4. A dirimere la querelle intervengono di nuovo le Sezioni Unite, a distanza di dieci anni, con la sentenza Uniland[8]. Tale pronuncia, per vero, ha ad oggetto la confisca e il sequestro disciplinati dal d.lgs. n. 231/2001, rispettivamente agli artt. 19 e 53 d. cit., entrambi qualificati dalla Corte come misure obbligatorie e, in quanto tali, insensibili all’esigenza di garantire la par condicio creditorum. La motivazione, tuttavia, non manca di fornire indicazioni di carattere sistematico suscettibili di trovare applicazione, come in effetti avviene nella giurisprudenza successiva, anche oltre il perimetro del d.lgs. n. 231/2001. In particolare, le Sezioni Unite, muovendo dal presupposto dell’astratta compatibilità giuridico-formale dei due vincoli (quello imposto dall’apertura della procedura concorsuale e quello derivante dal sequestro/confisca) sul medesimo bene, opera un mutamento di prospettiva rispetto alla sentenza Focarelli, guardano non alla natura e alla finalità dei sequestri/confische, bensì alle situazioni giuridiche correlate alla procedura fallimentare. Dopo aver precisato che solo i titolari di diritti reali sui beni oggetti del vincolo penale possono trovare tutela ai sensi dell’art. 19, comma 1, ultima parte d.lgs. n. 231/2001, che fa appunto «salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede», negli ultimi passaggi della motivazione si afferma che: i) i creditori, prima dell’assegnazione dei beni a conclusione della procedura concorsuale, vantano una semplice pretesa, non certo la titolarità di diritti reali sugli stessi, la sola che potrebbe conferire loro legittimazione; ii) il curatore fallimentare – e sul punto si richiamano i passaggi della sentenza Focarelli, seppur giungendo a conclusioni opposte – «è un soggetto gravato da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il giudice delegato al fallimento ed il tribunale per consentire il perseguimento degli obiettivi […] propri della procedura fallimentare», per cui lo stesso non vanta alcun diritto sui beni oggetto della procedura concorsuale; iii) l’art. 53, comma 1 d.lgs. n. 231/2001 rinvia – tra l’altro – alle norme del codice di rito sui mezzi di impugnazione contro le misure cautelari reali e, quindi, ai soggetti legittimati, tra i quali non rientra, per le ragioni anzidette, il curatore fallimentare; iv) residuerebbero, in ogni caso, dubbi circa la sussistenza di un interesse concreto, giuridicamente tutelabile, ad opporsi ai provvedimenti di sequestro e confisca « perché la massa fallimentare […] non subisce alcun pregiudizio da tali provvedimenti, in quanto lo Stato […] potrà far valere il suo diritto sui beni sottoposti a vincolo fallimentare, salvaguardano i diritti riconosciuti ai creditori, soltanto a conclusione della procedura» (§ 9).

Le Sezioni Unite, dunque, giungono ad escludere la legittimazione della curatela ad impugnare provvedimenti di sequestro preventivo funzionali alla confisca. È senz’altro agevole osservare come l’operatività di tale principio di diritto non dipenda dalla tipologia del sequestro e della confisca alla quale è finalizzato, bensì dalle differenti situazioni giuridiche configurabili in capo ai creditori prima e dopo la conclusione della procedura concorsuale.

 

5. Sennonché, nemmeno la sentenza Uniland riesce ad acquietare il contrasto interpretativo.

Invero, nel caso in cui il fallimento sia stato dichiarato in epoca precedente all’adozione della misura cautelare reale, la curatela – come si osserva in talune pronunce di legittimità successiva – risulta titolare di un vero e proprio “potere di gestione” della massa fallimentare, al fine di evitarne il depauperamento o la dispersione, sicché l’acquisita «disponibilità dei beni è quel che le conferisce la legittimazione»[9]. Invero, «[…] il concetto di disponibilità, nel settore delle cautele reali, ivi compresa quella penale ha un contenuto esclusivamente fattuale, corrispondendo in sostanza all’istituto civile del possesso, inteso quale potere di fatto sul bene che ne è l’oggetto»; tale concetto di disponibilità «[…] in sede penale costituisce proprio lo strumento per contrastare la titolarità di diritti “vuoti” su beni che in realtà sono esclusivamente a disposizione di soggetti diversi da chi ne è il proprietario o comunque è titolare di un diritto su di essi»[10].

Ma soprattutto, secondo quanto si segnala in altre recenti sentenze, le Sezioni Unite, nel richiamare le disposizioni di cui agli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., omettano di considerare che le stesse attribuiscono la legittimazione ad impugnare anche alla «persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione[11]. Ebbene anche qualora il vincolo penale intervenga per primo, la curatela sarebbe comunque legittimata ad impugnare, atteso che, secondo la costante giurisprudenza formatasi in materia, è ammissibile il gravame proposto da chiunque sia in grado di dimostrare che il provvedimento cautelare o ablativo ha prodotto una lesione nella sua sfera giuridica o che, comunque, lo scopo perseguito consiste in un risultato giuridicamente favorevole. Applicando tale principio all’ipotesi di riesame, appello ovvero ricorso proposto dal curatore, è agevole osservare come questi, pur non essendo titolare di un diritto sui beni del fallito, sia sicuramente investito della custodia degli stessi e del loro impiego per le finalità della procedura, «sicché può vantare un titolo giuridico, peraltro correlato all’esercizio di una funzione pubblicistica, che gli attribuisce un diritto alla restituzione dei beni indebitamente sottoposti a sequestro preventivo»[12].

Da qui la decisione del Giudice di legittimità di rimettere alle Sezioni Unite, con l’ordinanza qui annotata, la questione «se il curatore fallimentare sia legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento» (§ 13).

 

* * *

 

6. Trattandosi di una questione ancora sub iudice, converrà attendere il responso delle Sezioni Unite per un più compiuto commento al riguardo. Ci si limiterà, pertanto, a qualche breve riflessione, segnalando sin d’ora che il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14/2019, interviene – tra l’altro – a disciplinare finalmente la materia[13]. L’art. 320 d. cit., infatti, prevede espressamente che «[c]ontro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro il curatore può proporre richiesta di riesame e appello nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale. Nei predetti termini e modalità il curatore è legittimato a proporre ricorso per cassazione». Tale disposizione, tuttavia, entrerà in vigore, in virtù dell’art. 389 d. cit., solo dal 15 agosto 2020, per cui non si applica ai giudizi pendenti: da qui l’evidente rilevanza dell’attesa pronuncia (la terza sulle medesime questioni) delle Sezioni Unite.

Volendo, anzitutto, inquadrare il tema che ci occupa in una prospettiva di più ampio respiro, può muoversi dalla constatazione – per vero assai scontata – secondo la quale “l’ultimo imperativo” della lotta alla criminalità economica è quello di impedire, attraverso misure cautelari (prima) e ablatorie (poi) di vario tipo, il consolidamento dei proventi illeciti[14]. Tale scelta di politica criminale, per quanto opportuna, è foriera di “effetti indesiderati” tra i quali, appunto, il potenziale sacrificio dei diritti che soggetti terzi eventualmente vantino sui beni oggetto di sequestro o confisca. È di palmare evidenza, infatti, che dall’apposizione del vincolo penale derivi la sottrazione, dal patrimonio dell’autore dell’illecito, di un cespite che sarebbe potuto servire per soddisfare, ad esempio, i diritti dei creditori dell’imputato (o condannato) debitore. Qualora il legislatore non provveda al bilanciamento ex ante dei contrapposti interessi in gioco, il problema si riversa inevitabilmente sul giudice, chiamato ad individuare, in ossequio ai canoni generali della ragionevolezza-proporzionalità[15], il punto di equilibrio tra, da un lato, le istanze di prevenzione e repressione proprie dello ius puniendi e, dall’altro, la tutela delle situazioni giuridiche riferibili a persone estranee al reato. Come si osserva efficacemente in dottrina, «[i]l legislatore decide di non decidere. E quando non decide la legge, decide il giudice»[16].

In questa cornice problematica si inserisce, appunto, la questione della legittimazione della curatela ad impugnare provvedimenti in materia cautelare reale. Dall’evoluzione giurisprudenziale, sopra appena tratteggiata, emerge come sia senz’altro insoddisfacente ricorrere a “generalizzazioni” basate su aprioristiche considerazioni della natura della confisca, del bene oggetto di ablazione ovvero delle situazioni giuridiche ricollegabili alla singola procedura fallimentare; così come appare non risolutivo il criterio temporale riferito alla dichiarazione di fallimento, dal momento che i mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito, nel far riferimento alla «persona alla quale le cose sono state sequestrate e [a] quella che avrebbe diritto alla loro restituzione», sono a disposizione di chiunque sia titolare di una posizione giuridicamente protetta, coincidente non solo con un diritto soggettivo assoluto, ma anche con un rapporto di fatto tutelato dal diritto o comunque rilevante ai fini del giudizio. Più in generale, come si rileva in alcune recenti pronunce, «[d]all’esame delle norme fallimentari emerge un sistema complesso in cui si realizza una scissione tra titolarità “nominalistica” del diritto di proprietà e titolarità “della gestione” di questo diritto, derivante dall’esecuzione coattiva del patrimonio del debitore […] Tale complessità rende difficile generalizzazioni, specie quando si deve procedere all’interpretazione delle norme sui sequestri penali, che diventa vieppiù difficile a causa della scelta legislativa della loro moltiplicazione per ogni singola legge speciale»[17]. Del resto, la ricerca di una tutela che guardi non alla forma, bensì alla sostanza delle situazioni e dei rapporti che vengono di volta in volta in rilievo, è una costante nella “materia penale”, proprio in ragione della natura eccezionalmente invasiva dello ius puniendi, capace di incidere sulla sfera giuridica soggettiva non solo di chi è sottoposto a procedimento penale, ma anche di quanti vedono sacrificati i propri diritti per preminenti ragioni di difesa sociale.

In assenza di norme ah hoc (almeno fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 14/2019) volte a risolvere i problemi di disallineamento tra corpi normativi distinti, pare allora preferibile richiedere al giudice, secondo le più elastiche indicazioni di metodo fornite dalla sentenza Focarelli e richiamate – come si è detto – anche in talune recentissime pronunce di legittimità, di «[…] apprezzare nel caso concreto il diritto e l’interesse del curatore fallimentare all’impugnativa delle misure cautelari reali, avuto riguardo alla specialità delle norme fallimentari, da un lato, ed alle specialità delle norme penali dall’altro e formulando di volta in volta un giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi anche tenuto conto del principio di prevenzione»[18].

In altri termini, si tratterebbe di valutare la sussistenza non solo e non tanto la legittimazione in astratto, ma anche e soprattutto di un interesse concreto ed attuale ad impugnare, secondo un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze che vengono in rilievo, ossia quelli propri della tutela penale (impedire che i proventi illeciti possano giovare al reo), da un lato, e quelli tipici della procedura concorsuale (tutela dei legittimi interessi del fallimento), dall’altro[19]. Requisito, quest’ultimo, previsto – come noto – tra le regole generali delle impugnazioni (ex artt. 568, comma 4 e 591, comma 1, lett. a) c.p.p.) e valevole anche (in quanto implicito nelle richiamate norme di riferimento) per i gravami in materia cautelare reale. Pertanto, chi si avvale di un mezzo di impugnazione, sarà gravato dell’onere di dimostrare di averne interesse, a pena di inammissibilità del gravame; in ogni caso, il giudice sarà tenuto a motivarne la sussistenza, trattandosi di questione preliminare rilevabile anche d’ufficio[20]. Del resto, la stessa sentenza Uniland si esprime in termini assai dubitativi (e senz’altro opinabili) circa l’assenza di un generale e perdurante interesse ad impugnare in capo alla curatela[21].

In sostanza, come si è detto, proprio perché il legislatore non si è (pre)occupato di compiere la citata opera di bilanciamento, la soluzione difficilmente potrà rinvenirsi in norme generali ed astratte, ma piuttosto in un giudizio in concreto. Nella vicenda processuale dalla quale trae origine il provvedimento qui annotato, ad esempio, la Corte rileva come l’interesse della curatela alla caducazione del vincolo penale (il primo intervenuto, in ordine di tempo), sia di «immediata evidenza» in quanto: i) il sequestro è stato disposto, per importi significativi, anche su somme che sono pervenute sui conti della società (poi dichiarata fallita) a distanza di tempo dal tempus commissi delicti; ii) tali somme, secondo un diffuso orientamento della giurisprudenza di legittimità, non sono qualificabili come profitto del reato[22]; iii) secondo i criteri interpretativi forniti dalla citata sentenza Gubert, in relazione ai delitti di cui al d.lgs. n. 74/2000, non è possibile disporre la confisca per equivalente, ma solo confisca diretta del prezzo o profitto del reato nei confronti di un ente collettivo, salvo che la stessa non costituisca un mero schermo[23].

Tornando al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, da una lettura complessiva del Titolo VIII del d.lgs. n. 14/2017, che disciplina i rapporti tra la nuova liquidazione giudiziale (rispetto alla vecchia procedura liquidatoria del fallimento) e misure cautelari reali, emerge come lo stesso, pur rafforzando la tutela dei terzi attraverso l’estensione delle norme previste dal codice antimafia[24], non intacchi la generale prevalenza della confisca, e del correlato sequestro preventivo, rispetto alle procedure concorsuali[25]. Tuttavia, facendo salve le ipotesi nelle quali opera l’opposto principio della preferenza per le ragioni creditorie[26] ed eccettuati i casi di sequestro “impeditivo” e conservativo[27], cedevoli di fronte alla liquidazione giudiziale, non pare potersi escludere un interesse del curatore ad impugnare i provvedimenti di applicazione del vincolo penale, allorquando la doglianza verta sulla mancanza dei presupposti per confiscare il bene (e, quindi, sequestrarlo), l’accoglimento della quale comporterebbe – tra l’altro – l’impossibilità di escludere o separare il bene medesimo dalla gestione concorsuale[28]. È evidente come la partita si giochi per lo più (come, del resto, è accaduto sinora) sul terreno della nozione di “profitto” oggetto di ablazione[29]; da questo punto di vista, il settore del diritto penale tributario, con le sue specificità, rappresenta – ancora una volta – un “banco di prova” senz’altro formidabile per testare tali tensioni insite nell’ordimento giuridico e, più in generale, il delicato rapporto tra giurisdizione civile e quella penale[30].

 

 


[1] Per i più recenti contributi sul tema, v. Bontempelli M., Paese R., La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, in questa Rivista, fasc. 2/2019, p. 123 ss.; Pagani D., La legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare il provvedimento di sequestro, in Arch. Pen., 2017, n. 1 (versione Web). Tra le opere monografiche più recenti, v. Menditto F., Le confische di prevenzione e penali. La tutela dei terzi, Giuffrè, 2015.

[2] Cass. Pen., SS.UU., sent. 30 gennaio 2014 ud. (dep. 5 marzo 2014), n. 10561. Per la manualistica di settore, v. Lanzi A., Aldrovandi P., Diritto penale tributario, II ed., Wolters Kluwer, 2017, p. 243 ss.

[3] Cass. Pen., SS.UU., sent. 24 maggio 2004 ud. (dep. 9 luglio 2004), n. 29951. Tra i vari commenti alla citata sentenza, v. Iacoviello F.M., Fallimento e sequestri penali, in Fall., 2005, n. 11, p. 1265 ss.; Pacileo V., Sui rapporti tra procedimento penale e procedura fallimentare, in Cass. Pen., 2005, fasc. 7-8, p. 2437 ss.

[4] Sul punto, la sentenza Focarelli richiama Cass. civ., Sez. Lav., sent. 16 luglio 1992, n. 8616, in Giust. Civ., 1993, vol. I, pag. 653.

[5] Per completezza, va detto che la sentenza Focarelli si occupa anche di altri tipi di sequestro, come ad esempio quello conservativo di cui all’art. 316 c.p.p., di cui si afferma l’assoluta cedevolezza rispetto alle ragioni concorsuali: tale misura cautelare, infatti, mira a preservare pretese creditorie che ricadono in piano nel divieto di azioni esecutive di cui all’art. 51 L. Fall.

[6] L’indirizzo interpretativo secondo il quale, quanto ai rapporti tra sequestro/confisca e fallimento, si deve aver riguardo alla natura della misura ablativa è seguito, ad esempio, da Cass. Pen., Sez. VI, sent. 4 marzo 2008 ud. (dep. 30 luglio 2008), n. 31890 e Cass. Pen., Sez. I, sent. 7 aprile 2010 ud. (dep. 3 maggio 2010), n. 16783, in materia di misure di prevenzione antimafia; e da Cass. Pen., Sez. VI, sent. 10 gennaio 2013 ud (dep. 2 maggio 2013), n. 19051 in tema di sequestro disposto ai sensi dell’art. 53 d.lgs. n. 231/2001.

[7] Tra le pronunce che ricollegano la sensibilità o meno della confisca al fallimento alla natura della res, v. ex multis Cass. Pen., Sez. III, sent. 2 febbraio 2007 ud. (dep. 25 maggio 2007), n. 20443 e Cass. Pen., Sez. I, sent. 1° maro 2013 ud. (dep. 10 maggio 2013), n. 20216, entrambe pronunciatesi in materia di confisca disposta ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv. mod. l. n. 356/1992.

[8] Cass. Pen., SS.UU., sent. 25 settembre 2014 ud. (dep. 17 marzo 2015), n. 11170, in questa Rivista, 3 aprile 2015, con nota di Riverditi M., Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex d.lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito. In argomento, v. anche – tra gli altri – Di Geronimo P., La confisca del profitto del reato, tra responsabilità da reato delle società ed esigenze di garantire il soddisfacimento dei creditori nella procedura fallimentare: pregi e limiti della soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, in Cass. pen., 2015, n. 9, p. 3031 ss.; Romano E., Confisca e tutela dei terzi: tra buona fede e colpevole affidamento, in Cass. pen., 2016, nn. 7-8, p. 2894 ss.

[9] Cass. Pen., Sez. III, sent. 29 maggio 2018 ud. (dep. 10 ottobre 2018), n. 45574.

[10] Cass. Pen., Sez. III, sent. 12 luglio 2016 ud. (dep. 7 ottobre 2016), n. 42469.

[11] L’espressione tra virgolette è tratta da Cass. Pen., Sez. III, sent. 21 giugno 2016 ud. (dep. 25 ottobre 2016), n. 44936.

[12] Di Geronimo P., La confisca del profitto del reato, tra responsabilità da reato delle società ed esigenze di garantire il soddisfacimento dei creditori nella procedura fallimentare, cit., pag. 3048.

[13] Tra i primi commenti alla riforma, v. Chiaraviglio P., Osservazioni penalistiche ‘a prima lettura’ sul progetto di codice della crisi e dell’insolvenza, in questa Rivista, 10 maggio 2018.

[14] Prendendo a prestito il titolo del contributo di Manes V., L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, n. 3, p. 1259 ss. In argomento, v. tra molti Maugeri A.M., Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Giuffrè, 2001; Fondaroli D., Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bononia University Press, 2007.

[15] Sui principi di ragionevolezza e proporzionalità, spesso utilizzati congiuntamente o comunque in modo fungibile nella giurisprudenza costituzionale, si rimanda per tutti a Cartabia M., I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, relazione tenuta nella Conferenza trilaterale delle Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola (Roma, 24-25 ottobre 2013), in www.cortecostituzionale.it; per un’applicazione di tali principi ai trattamenti sanzionatori, v. di recente C. Cost., sent. 10 novembre 2016, n. 236, annotata da Viganò F., Un’importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in questa Rivista, n. 2/2017, p. 61 ss. Peraltro, come noto, il principio di proporzionalità è espressamente riconosciuto, sia pure con effetti limitati all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea, dall’art. 43, § 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Per quanto riguarda, invece, i giudizi di bilanciamento tra interessi concorrenti, si rinvia – tra gli altri – a Bin R., Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza costituzionale, Giuffrè, 1992, passim.

[16] Iacoviello F.M., Fallimento e sequestri penali, cit., pag. 10 (versione Web).

[17] Cass. Pen., Sez. III, sent. 7 marzo 2017 ud. (dep. 27 luglio 2017), n. 37439, la quale prosegue osservando – in modo senz’altro efficace – «[…] ogni qualvolta si affronta ex professo il tema dei rapporti tra sequestri penali, confisca e fallimento si rischia di rendere affermazioni suscettive di essere smentite alla prima applicazione, e ciò per la crescente complessità della materia dei sequestri che sollecita l’interprete a continui approfondimenti» (§ 3.3).

[18] Principio di diritto formulato da Cass., Sez. III, sent. n. 36439/2017, cit.

[19] Soluzione, quest’ultima, che già si rinviene in talune pronunce di legittimità: cfr., ad esempio, Cass. Pen, Sez. III, sent. n. 37439/2017, cit.

[20] Sul punto, v. ex multis Cass. Pen., Sez. III, sent. 24 settembre 2018 ud. (dep. 19 ottobre 2018), n.47737.

[21] In senso critico, infatti, si afferma che «[è] di palmare evidenza come l’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca imponga sul bene un vincolo aggiuntivo rispetto a quello del fallimento che, pur potendo coesistere, determina ugualmente delle limitazioni considerevoli nella gestione e disponibilità del bene da parte del curatore»: così – Di Geronimo P., La confisca del profitto del reato, tra responsabilità da reato delle società ed esigenze di garantire il soddisfacimento dei creditori nella procedura fallimentare, cit., p. 3046-3047.

[22] Cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. III, sent. 4 ottobre 2018 ud. (dep. 11 febbraio 2019), n. 6348.

[23] Cass. pen., SS.UU., sent. n. 10561/2015, cit.

[24] Ai sensi del nuovo art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo, disp. att. c.p.p., come modificato dall’art. 373, lett. a), d.lgs. n. 14/2019.

[25] Art. 317 d.lgs. n. 14/2019, rubricato “Principio di prevalenza delle misure cautelari reali e tutela dei terzi”. Sul punto, v. Bontempelli M., Paese R., La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, cit., p. 123-124. In argomento, si rinvia anche a Mezzetti E., Codice antimafia e codice della crisi: la regolazione del traffico delle precedenze in cui spunta sempre la confisca, in Arch. Pen., 2019, n. 1 (versione Web).

[26] Secondo il nuovo regime fissato dall’art. 317 d.lgs. n. 14/2019, il riconoscimento della prevalenza delle ragioni dei creditori sulle misure cautelari reali, in caso di apertura della liquidazione giudiziale, è subordinato alla ricorrenza delle stesse condizioni previste dagli artt. 52 ss. d.lgs. n. 159/2011.

[27] Da un lato, infatti, l’art. 318, comma 1 d.lgs. n. 14/2019 sancisce il divieto di disporre il sequestro di cui all’art. 321, comma 1 c.p.p. in pendenza della procedura di liquidazione giudiziale; dall’altro, tale divieto è replicato dal successivo art. 319 d. cit. per il sequestro conservativo ai sensi dell’art. 316 c.p.p.

[28] In questi termini, Bontempelli M., Paese R., La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, cit., pag. 137.

[29] In argomento, v. tra gli altri Mucciarelli F., Paliero C.E., Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in questa Rivista, 20 aprile 2015.

[30] Sul punto, con specifico riguardo al tema qui in esame, v. Iacoviello F.M., Fallimento e sequestri penali, cit., pag. 1265 ss.; Pacileo V., Sui rapporti tra procedimento penale e procedura fallimentare, cit., p. 2437-2438.