ISSN 2039-1676


3 luglio 2019

L'ordinanza del GIP di Agrigento sul caso Sea Watch (Carola Rackete)

Trib. Agrigento, Uff. GIP, ord. 2 luglio 2019, giud. Vella

 

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Diamo subito diffusione, in ragione della rilevanza della vicenda, all’ordinanza emessa dal GIP di Agrigento nella fase cautelare del procedimento penale nei confronti di Carola Rackete, comandante della motonave Sea Watch 3, indagata per i reati di resistenza o violenza contro nave da guerra (art. 1100 cod. nav.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), in relazione alle condotte tenute nella notte del 29 giugno durante l’ingresso nel porto di Lampedusa con a bordo i naufraghi tratti in salvo durante l’operazione di soccorso del 12 giugno al largo delle coste libiche (v. pp. 5-8 dell’ordinanza per la dettagliata ricostruzione della cronologia dei fatti).

Il GIP ha escluso la rilevanza penale delle condotte dell’indagata ed ha pertanto rigettato sia la richiesta di convalida del provvedimento di arresto eseguito dalla Guardia di Finanza di Lampedusa, sia la richiesta del PM di applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento.

Con riferimento al reato di cui all’art. 1100 cod. nav., l’ordinanza ha fatto propria l’opzione ermeneutica della Corte Costituzionale (sent. n. 35 del 2000), secondo la quale le unità navali della GdF sono considerate “navi da guerra” soltanto «quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia un’autorità consolare»: circostanze queste non sussistenti nel caso di specie, atteso che la nave della GdF stava operando in acque territoriali.

Quanto al reato di cui all’art. 337 c.p., il GIP ha ravvisato gli estremi della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere di soccorso di naufraghi (art. 51 c.p.), alla luce del quadro complessivo delle rilevanti fonti di diritto nazionale e internazionale (dettagliatamente ricostruito nell’ordinanza: v. pp. 2-5), che - ha evidenziato il GIP - coprono non soltanto la fase della presa a bordo dei naufraghi, ma anche quella successiva della loro conduzione fino ad un porto sicuro. A quest'ultimo proposito, l'ordinanza ha precisato altresì che gli obblighi gravanti sul capitano non possono venire meno nè per effetto delle direttive ministeriali in materia di "porti chiusi", nè in conseguenza del divieto di ingresso adottato il 15 giugno nei confronti della Sea Watch 3 ai sensi del c.d. decreto sicurezza-bis, trattandosi in entrambi i casi di atti destinati a retrocedere, secondo il criterio gerarchico, a fronte al diverso dettato di cui alle fonti ordinarie e sovranazionali regolanti la materia. 

La decisione presenta una motivazione ricca e articolata, meritevole senz'altro di ulteriori approfondimenti. Sin d'ora, peraltro, appaiono degni di nota gli espressi richiami alle recenti raccomandazioni del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, che ricostruiscono il quadro degli obblighi relativi al soccorso in mare ed alla successiva tutela delle persone tratte in salvo; nonché alla sentenza del Tribunale di Trapani nel caso Vos Thalassa, che ha riconosciuto la legittima difesa in capo ai migranti che si erano ribellati a fronte del pericolo attuale di essere ricondotti in Libia. La pronuncia in esame aggiunge così un nuovo tassello al sempre più fitto reticolo di interventi giurisdizionali e di soft law che, intorno alla questione della c.d. "crisi migratoria" e dei soccorsi in mare, stanno progressivamente riportando in primo piano i principi dello stato di diritto e, soprattutto, il primato dei diritti fondamentali rispetto alle (pur legittime, ma evidentemente di rango inferiore) esigenze di controllo dei confini territoriali.

Stefano Zirulia )