ISSN 2039-1676


11 dicembre 2014 |

Ne bis in idem e reati tributari: una questione ormai ineludibile

C. eur. dir. uomo, Quinta Sezione, sent. 27 novembre 2014, Lucky Dev c. Svezia

 

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1. Lo scorso 27 novembre, a pochi mesi dalla sentenza Nikänen c. Finalndia (in questa Rivista, 5 giugno 2014), la Corte EDU ha condannato la Svezia per violazione del divieto di ne bis in idem di cui all'art. 4 prot. n. 7 della Convenzione in relazione al doppio binario penale-amministrativo previsto dal legislatore svedese in materia tributaria.

Quest'ultimo importante intervento della Corte EDU, che ribadisce un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato con specifico riguardo alla materia tributaria, sembra imporre un profondo ripensamento della soluzione interpretativa adottata dalla Corte di cassazione che, al contrario, esclude pervicacemente qualsiasi dubbio di legittimità convenzionale dell'analoga duplicazione penale-amministrativa presente nell'ordinamento italiano [cfr. Cass., 8 aprile 2014 (dep. 15 maggio 2014), n. 20266, in questa Rivista, 5 giugno 2014; più di recente v. Cass., 8 aprile 2014 (dep. 1 ottobre 2014), n. 40526; Cass. 8 maggio 2014 (dep. 10 luglio 2014), n. 30267].

L'unica eccezione a questo "dialogo interrotto" tra Corti è costituita dal rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunale di Torino alla Corte di giustizia UE: si tratta di una questione che, pur essendo molto probabilmente destinata all'insuccesso, mostra quanto meno una rinnovata sensibilità sugli ormai ineludibili dubbi di legittimità convenzionale del bis in idem sanzionatorio in questo ambito (cfr. Trib. Torino, 27 ottobre 2014, in questa Rivista, 17 novembre 2014 con nota di Scoletta, Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento delle ritenute: un problematico rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia).

 

2. Occorre, innanzitutto, ripercorre brevemente il caso sottoposto alla Corte EDU.

Nel 2005, l'Agenzia delle entrate svedese ha contestato alla sig.ra Lucky Dev di non aver dichiarato redditi pari a circa 83.000 euro e di aver evaso l'IVA per un ammontare pari a circa 41.000 euro. Per queste violazioni la sig.ra Lucky Dev è stata condannata a pagare, rispettivamente, sovrattasse del 40 e del 20 percento.

Per questi fatti è iniziato, nello stesso anno, un procedimento penale, all'esito del quale la sig.ra Lucky Dev è stata condannata a una pena condizionalmente sospesa con l'obbligo di prestare 160 ore di lavoro di pubblica utilità (community service) per non aver correttamente tenuto le scritture contabili, mentre è stata assolta in relazione al reato di frode fiscale derivante dalla mancata dichiarazione dei propri redditi e dall'evasione dell'IVA.

I due procedimenti hanno proceduto parallelamente: quello penale è divenuto definitivo nel gennaio 2009, mentre quello amministrativo nell'ottobre dello stesso anno.

 

3. Adita dalla sig.ra Lucky Dev, la quale lamentava la violazione del divieto di ne bis in idem, la Corte ha preliminarmente affrontato le eccezioni del Governo svedese in relazione all'ammissibilità del ricorso.

Secondo il Governo svedese, sussistevano quattro ragioni in base alle quali la Corte avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso: a) la ricorrente non aveva esaurito le vie di ricorso interne, avendo rinunciato a proporre appello nei confronti della condanna (penale) pronunciata dalla Corte distrettuale; b) la violazione del principio del ne bis in idem non era mai stata in precedenza sollevata dalla ricorrente dinanzi alle autorità nazionali; c) il caso sottoposto all'esame della Corte EDU si è concluso, sul versante penale, l'8 gennaio 2009, ossia un mese prima della sentenza sul caso Sergey Zolotukhin c. Russia del 10 febbraio 2009, che ha imposto un revirement alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di ne bis in idem; d) nel 2004 la Corte EDU aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto nel caso Rosenquist c. Svezia, con il quale si lamentava la violazione del divieto di ne bis in idem in relazione al doppio binario penale-amministrativo previsto dalla legislazione svedese in materia tributaria.

A quest'ultimo riguardo vale la pena chiarire, in estrema sintesi, i motivi in base ai quali la Corte EDU, nel 2004, aveva dichiarato inammissibile il ricorso nel caso Rosenquist c. Svezia, pur trattandosi di una vicenda del tutto simile a quella in esame. Nella sentenza del 2004, la Corte EDU rilevava le profonde differenze tra l'illecito penale e quello amministrativo non solo in relazione agli elementi costitutivi, ma anche in riferimento agli scopi perseguiti: mentre per l'integrazione del reato è richiesto il dolo intenzionale o la colpa grave (intent or gross negligence), l'illecito amministrativo non prevede tale connotazione del profilo psicologico e ha il fine di garantire che i contribuenti adempiano il fondamentale dovere di fornire al fisco informazioni approfondite e accurate per gli accertamenti tributari.

Per respingere nel caso ora all'esame le eccezioni del Governo svedese, la Corte, dopo aver ribadito la necessità che le vie di ricorso interne siano accessibili ed effettive, osserva che la ricorrente non avrebbe avuto alcuna possibilità di vedersi accolta l'eccezione fondata sulla violazione del ne bis in idem da parte delle autorità nazionali, stante l'esistenza di un monolitico orientamento giurisprudenziale che, fino al 2013, ha costantemente ribadito la legittimità convenzionale del doppio binario penale-amministrativo in materia tributaria.

 

4. Dopo aver respinto le eccezioni del Governo svedese sull'ammissibilità del ricorso, la Corte passa all'esame di merito della violazione, nell'ambito del quale vengono altresì analizzate le eccezioni del Governo sub c) e d).

In relazione alla possibilità di applicare al presente caso il revirement giurisprudenziale espresso nella sentenza Zolotukhin c. Russia, i cui effetti hanno reso necessario rivedere i principi espressi nel precedente caso specifico Rosenquist c. Svezia del 2004, la Corte svolge alcune riflessioni di estremo rilievo.

I giudici di Strasburgo ritengono che questo caso debba essere deciso alla luce dell'attuale giurisprudenza della Corte, a nulla rilevando che tale giurisprudenza si sia formata soltanto in epoca successiva a quella nella quale si è svolto il procedimento penale nei confronti dell'attuale ricorrentet. In ogni caso, sottolinea la Corte, il procedimento amministrativo nei confronti di Lucky Dev è proseguito fino al 20 ottobre 2009, e dunque ben oltre la data in cui è stata pronunciata la sentenza nel caso Zolotukhin.

Svolta questa importante e delicata considerazione, sulla quale come vedremo sono stati sollevati peraltro alcuni dubbi da parte di alcuni giudici nella rispettiva concurring opinion, la Corte passa in rassegna i consueti quattro aspetti da verificare per stabilire se, nel caso di specie, vi sia stata una violazione del divieto di ne bis in idem: a) se la sanzione amministrativa (i.e. la sovrattassa) avesse natura penale; b) se i fatti di rilevanza penale per i quali la ricorrente è stata perseguita in sede penale siano gli stessi per i quali è stata imposta la sovrattassa (idem); c) se sia stata pronunciata una sentenza definitiva; d) se ci sia stata una duplicazione di procedimenti (bis).

In relazione al primo aspetto, la Corte ha gioco facile nell'affermare che la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una sovrattassa abbia natura penale. Ciò non solo perché la questione non è stata messa in dubbio neppure dal Governo svedese, che ne ha riconosciuto espressamente la natura penale, ma soprattutto perché tale conclusione è ormai affermata, in modo incontroverso, dalla giurisprudenza della Corte (oltre ai casi citati dalla sentenza Janosevic c. Svezia, Göktan c. Francia e Manasson c. Svezia, vi sono i numerosi altri casi che, più di recente, hanno vagliato la legittimità convenzionale del doppio binario penale-amministrativo previsto dall'ordinamento finlandese in materia fiscale: Nikänen c. Finlandia, Häkkä c. Finlandia, Glantz c. Finlandia e Pirttimäki c. Finlandia).

Per analizzare il secondo aspetto (se il fatto per il quale la ricorrente è stata sanzionata in sede penale sia lo stesso per il quale era già stata sanzionata con la soprattassa), la Corte prende le mosse dal caso Sergey Zolotukhin c. Russia che, come sottolineato più volte, ha costituito un fondamentale revirement su questo punto specifico.

Nel caso Zolotukhin,  la Grande Camera, dopo aver constatato nella giurisprudenza della Corte la coesistenza di criteri differenti, ha elaborato un'interpretazione uniforme del concetto "same offence". Secondo la Corte, porre l'accento sulla fattispecie astratta (legal characterisation) rischia di indebolire la garanzia di cui all'art. 4, prot. n. 7 della Convenzione. Per questo motivo il punto di riferimento deve essere il fatto concreto, non l'astratta previsione legislativa.

Come è facile osservare, si tratta di un criterio profondamente diverso da quello individuato dal più risalente indirizzo giurisprudenziale della Corte EDU che, come avvenuto nel caso Rosenquist c. Svezia del 2004, faceva riferimento alla differenza tra elementi costitutivi della fattispecie penale rispetto a quella amministrativa, con specifico riferimento al diverso criterio d'imputazione soggettiva richiesto dai due divieti.

Nell'applicare al caso di specie i criteri fissati nella sentenza Zolotukhin c. Russia, la Corte ha ritenuto che il procedimento tributario (tax proceeding) e quello penale (per frode fiscale), i quali si riferiscono al medesimo periodo temporale e allo stesso ammontare, dovessero essere considerati come idem factum ai sensi dell'art. 4, prot. n. 7 CEDU. Al contrario, la Corte ha stabilito che il reato contestato per l'irregolarità le scritture contabili fosse sufficientemente distinto dal fatto per il quale era stata applicata la sovrattassa.

Per quanto concerne il terzo aspetto, la Corte ha ribadito che lo scopo dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU è di vietare l'inizio di un nuovo procedimento quando è stata pronunciata una sentenza definitiva, ossia una decisione per la quale le parti hanno esaurito tutti i mezzi di impugnazione ordinari. Secondo la Corte, la sentenza definitiva nel caso Lucky Dev deve essere individuata nell'assoluzione pronunciata, in relazione al reato di frode fiscale, dalla Corte distrettuale il 16 dicembre 2008, che è divenuta definitiva il successivo 8 gennaio 2009.

Per quanto, infine, riguarda la verifica della duplicazione dei procedimenti, la Corte ha ribadito che l'art. 4 prot. n. 7 CEDU non preclude la contemporanea apertura e celebrazione di procedimenti paralleli per lo stesso fatto, bensì il fatto che uno dei procedimenti non venga interrotto nel momento in cui l'altro è divenuto definitivo. 

Occorre tuttavia precisare che questo indirizzo giurisprudenziale della Corte EDU subisce una deroga rilevante nel caso in cui la duplicazione delle sanzioni sia stata inflitta da autorità diverse, ma nell'ambito di procedimenti strettamente collegati dal punto di vista sostanziale e temporale: così, ad esempio, è stata esclusa la violazione del divieto di ne bis in idem nel caso Nilsson c. Svezia, nel quale il ritiro della patente da parte dell'autorità amministrativa si è aggiunto, per il medesimo fatto, alla condanna (penale) sospesa condizionalmente per guida in stato di ebbrezza.

Svolte queste premesse sulla duplicazione dei procedimenti, la Corte ha ritenuto che, in mancanza di quella stretta connessione sostanziale e temporale ravvisata nel caso Nilsson c. Svezia, la sig.ra Lucky Dev fosse stata punita due volte per lo stesso fatto nell'ambito di procedimenti indipendenti e privi di qualsiasi meccanismo di coordinamento. Una volta verificata la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dall'art. 4, prot. n. 7 CEDU, la Corte ha condannato la Svezia per violazione del divieto di ne bis in idem, poiché il procedimento amministrativo, invece di essere interrotto dopo che la sentenza penale era divenuta definitiva, aveva continuato il proprio corso.

 

5. Prima di analizzare criticamente il più recente orientamento della giurisprudenza italiana sul doppio binario penale-amministrativo in materia tributaria, vi sono due aspetti che, come anticipato, meritano di essere messi in rilievo.

Il primo riguarda l'applicazione retroattiva del revirement giurisprudenziale sancito, nel febbraio del 2009, dalla sentenza Zolotukhin c. Russia. Sul punto i giudici Villiger, Nussberger e De Gaetano, pur avendo votato insieme alla maggioranza sulla violazione del divieto del ne bis in idem, hanno manifestato, nella concurring opinion, il loro profondo dissenso rispetto alla scelta della maggioranza di applicare retroattivamente il mutamento di indirizzo giurisprudenziale.

A parere di questi ultimi, «un cambiamento radicale nella giurisprudenza della Corte - come nel presente caso - pregiudica la certezza del diritto e, più specificamente, l'interazione tra le corti nazionali e la Corte. Per le corti nazionali è dirompente seguire fedelmente la giurisprudenza della Corte per trovarsi - senza alcun preavviso - accusati di una violazione della Convenzione». Per questa ragione, secondo i giudici Villiger, Nussberger e De Gaetano, è necessario trovare un giusto bilanciamento tra cambiamento e flessibilità, da un lato, e certezza del diritto, dall'altro lato.

Nel far proprie le argomentazioni della Corte nel caso Marckx c. Belgio del 1979, i giudici estensori della concurring opinion hanno affermato che le corti nazionali sono perfettamente legittimate ad applicare il nuovo orientamento giurisprudenziale solo ex nunc. E ciò è tanto più vero nel caso in cui le corti nazionali accettino di cambiare il proprio indirizzo giurisprudenziale in forza degli effetti erga omnes prodotti dalle sentenze della Corte EDU.

Sebbene, nel caso di specie, i procedimenti svolti in sede nazionale avessero continuato il proprio corso dopo la sentenza Zolotukhin c. Russia, ciò nonostante i giudici Villiger, Nussberger e De Gaetano hanno ritenuto che l'effetto retroattivo delle sentenze della Corte avrebbe meritato particolare attenzione e avrebbe dovuto essere trattato con molta cautela, al fine di non minare la fiducia della corti nazionali nell'efficacia delle autorevoli decisioni della Corte.

 

6. Il secondo aspetto da tenere in considerazione riguarda la soluzione giurisprudenziale adottata in Svezia per far fronte alla violazione del divieto del ne bis in idem. Si tratta di un aspetto puntualmente ricostruito dalla Corte EDU nella sentenza in commento, che assume particolare rilievo, perché fornisce preziose indicazioni ai giudici degli altri Stati.

Nel 2013, dopo una lunga serie di sentenze che negavano l'illegittimità della duplicazione sanzionatoria, la Corte suprema svedese, in composizione plenaria, si è conformata alla giurisprudenza della Corte EDU, riconoscendo l'incompatibilità, con l'art. 4 prot. n. 7 della Convenzione, del doppio binario penale-amministrativo previsto, in materia tributaria, per l'IVA, l'imposta sui redditi, le ritenute contributive e altri simili pagamenti.

Secondo la Corte suprema svedese deve essere fissato uno standard ancora più garantista di quello richiesto dalla Corte EDU: nel caso in cui il procedimento amministrativo sia iniziato prima, la semplice litispendenza preclude l'avvio di un procedimento penale per lo stesso fatto. Non solo: la Corte suprema svedese, in una sentenza di poco successiva, ha sancito la possibilità di riaprire i procedimenti penali che, dopo il 10 febbraio 2009 (ossia la data della sentenza Zolotukhin c. Russia), si sono conclusi con una condanna pronunciata a seguito di una decisione (amministrativa) che aveva imposto una sovrattassa.

Nel caso opposto, ossia quello in cui è il procedimento penale ad essere iniziato prima, l'assemblea plenaria della Corte suprema amministrativa svedese ha ritenuto che ciò costituisce un ostacolo procedurale all'imposizione di una sovrattassa per il medesimo fatto.

A seguito di questo mutamento di indirizzo giurisprudenziale, il Procuratore Generale e l'Autorità per la Criminalità Economica svedesi hanno deciso di esaminare tutti in casi nei quali vi era il rischio che lo stesso fatto fosse stato punito due volte. Gli effetti sono stati particolarmente dirompenti: sono stati esaminati 3000 casi relativi a sanzioni amministrative tributarie; su 110 detenuti ne sono stati scarcerati 42; su 800 persone che avevano già scontato la condanna, 128 casi sono stati riesaminati; in alcuni di questi casi la condanna è stata annullata, mentre in altri il processo deve essere celebrano nuovamente. Per questi casi, infine, è previsto un rimedio compensatorio.

 

7. All'esito di questa ricostruzione, è facile immaginare quali travolgenti ricadute potrebbero abbattersi sull'ordinamento italiano alla luce della giurisprudenza della Corte EDU sul doppio binario penale-amministrativo in materia tributaria. Ricadute che saranno ancora più incisive di quelle (ancora parzialmente) prodotte dalla sentenza Grande Stevens c. Italia, poiché i procedimenti in materia tributaria sono assai più numerosi (a tal riguardo v. A. Alessandri, Prime riflessioni sulla decisione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. comm., 2014, 855/I; F. D'Alessandro, Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. pen. proc., 2014, 614; G. de Amicis, Ne bis in idem e 'doppio binario' sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza 'Grande Stevens' nell'ordinamento italiano, in questa Rivista, 30 giugno 2014; G. M. Flick, V. Napoleoni, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto?, in Riv. soc., 2014, 953; F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta?, in questa Rivista, 30 giugno 2014).

Ma vi è di più: le ricadute saranno tanto più significative, quanto più la giurisprudenza italiana continuerà a negare la violazione del ne bis in idem in questi casi. Le difficoltà di porre rimedio, come avvenuto in Svezia, agli effetti prodotti dall'illegittimità del doppio binario non possono che accumularsi nel tempo a causa del costante diniego da parte della giurisprudenza, che pure avrebbe gli strumenti interpretativi per limitare le ricadute delle (poco ragionevoli) scelte del legislatore.      

A quanto consta, vi sono state, di recente, almeno tre pronunce della Corte di cassazione [v. supra § 1] che, esplicitamente o implicitamente, hanno trascurato questo delicato e ormai ineludibile problema, prendendo come esclusivo punto di riferimento la sentenza delle Sezioni unite del 2013 (sent. 28 marzo 2013, n. 37425, Favellato, in questa Rivista con nota di A. Valsecchi, Le Sezioni Unite sull'omesso versamento delle ritenute per il 2004 e dell'IVA per il 2005: applicabili gli artt. 10 bis e 10 ter, ma con un'interessante precisazione sull'elemento soggettivo).

Non essendo possibile ripercorrere nel dettaglio le singole vicende processuali, ci si limita a ribadire che il confronto fra fattispecie astratte (fatto proprio dalla Cassazione) non soddisfa gli standard di garanzia della Corte EDU, perché è il fatto nella sua concreta materialità a orientare il giudizio sul principio del ne bis in idem. Non solo, a mettere a nudo la palese illegittimità convenzionale del doppio binario sanzionatorio in materia tributaria è proprio la scelta di inquadrare il rapporto tra illecito amministrativo e penale nell'alveo della progressione illecita.