30 marzo 2015 |
La Consulta e la tela di Penelope. Osservazioni a primissima lettura su C. cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, Pres. Criscuolo, Red. Lattanzi, in materia di confisca di terreni abusivamente lottizzati e proscioglimento per prescrizione
Editoriale
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Non è una novità: i diritti umani fanno paura. Da sempre infastidiscono, irritano, turbano il sonno dei potenti, ponendo ostacoli alla loro ragion di Stato, e alla realizzazione dei loro obiettivi politici; e ciò anche quando i potenti sono democraticamente legittimati, perché la funzione più importante dei diritti umani è proprio quella di tutelare le minoranze, e in definitiva ogni individuo, contro gli abusi delle maggioranze di turno. Quel che però non cessa di sorprendermi è perché i diritti umani debbano fare paura anche alla Corte costituzionale: e cioè all'istituzione che, nel nostro ordinamento, annovera tra le sue responsabilità primarie anche la tutela dei diritti che la Costituzione "riconosce" (art. 2) come ad essa pre-esistenti, e che la Costituzione stessa individua come diritti "dell'uomo". Quei diritti, dunque, che nello spazio giuridico europeo sono stati riconosciuti dalla Convenzione firmata proprio a Roma del 1950, la quale affida alla Corte di Strasburgo il compito di "interpretare" le proprie previsioni, e di fissare così - in maniera uniforme per tutti gli Stati parti della Convenzione - gli standard di tutela dei diritti medesimi, adeguandoli alle sempre nuove condizioni di vita degli uomini e delle donne che di tali diritti sono titolari. Eppure, la nostra Corte - dopo avere aperto coraggiosamente le porte, con le sentenze gemelle del 2007, al diritto di Strasburgo - continua a mantenere verso la giurisprudenza europea un atteggiamento diffidente, e a dir poco ambiguo. Da un lato, la Consulta è ben consapevole di non potere più opporsi alla penetrazione nel nostro ordinamento del diritto di Strasburgo, che sempre maggiore fascino esercita presso la giurisprudenza ordinaria: e forse anche per questo motivo continua, in effetti, a muovere passi significativi nella direzione dell'apertura del nostro ordinamento in quella direzione. Dall'altro, però, i nostri giudici delle leggi non cessano al tempo stesso di erigere steccati, più o meno robusti, a difesa - formalmente - della nostra Costituzione, e nella sostanza degli equilibri del sistema italiano vigente, oltre che del loro ruolo di 'controllori' delle valvole di ingresso nell'ordinamento di quel diritto. La sentenza 49 del 2015, fresca di deposito, si iscrive appieno in questo trend. Anche qui, la Corte muove da premesse di grande apertura al diritto di Strasburgo, in termini ancora più netti di quanto non sia accaduto nel recente passato, e molto concede alla giurisprudenza europea sulla sostanza del problema oggetto dell'ordinanza di rimessione; ma si affretta poi ad opporre - mediante la sanzione dell'inammissibilità - un'energica fin de non recevoir a entrambi i giudici a quibus, sulla base di nuovi quanto discutibili steccati contro il diritto di Strasburgo. [...]