ISSN 2039-1676


20 febbraio 2012 |

Le Sezioni unite sulla recidiva in caso di estinzione della pena pregressa per esito positivo dell'affidamento in prova

Cass., Sez. un., 27.10.2011 (dep. 15.2.2012), n. 5859, Pres. Lupo, Rel. Conti, ric. Marcianò (l'estinzione di qualsiasi effetto penale conseguente all'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta che della relativa condanna non si possa tener conto agli effetti della recidiva)

1. Fa sempre piacere registrare che la Corte di suprema di cassazione, specie se nella sua più alta espressione, prende posizione per interpretazioni in favorem rei piuttosto che contra reum.

Non fa mai piacere, però, quando si debba prendere atto che queste posizioni "virtuose" si prestano a rilievi in chiave critica o lasciano senza risposta alcuni interrogativi.

È il caso della sentenza in rassegna. Risparmiamo volentieri al lettore il riepilogo della questione controversa sottoposta all'esame del Collegio per avervi già accennato in sede di presentazione dell'ordinanza di rimessione ex art. 618 c.p.p., in questa Rivista, 2011: si trattava di stabilire se possa essere contestata la recidiva in relazione a condanna a pena per la quale sia stato concesso affidamento in prova conclusosi con esito positivo.

Al clou la soluzione prescelta dal massimo Collegio si regge, in modo quasi obbligato - pena il profilarsi di più di una questione di costituzionalità della pertinente disciplina legislativa - sull'argomento che l'art. 106, comma primo, c.p., quando afferma che «agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, si tiene conto altresì delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena», non esige «espressamente una estinzione totale della pena, e, per altro verso, l'art. 47, comma 12, ord. pen. comunque fa conseguire alla estinzione di una pena - quella detentiva, totale o residuale - l'ulteriore effetto della estinzione di "ogni altro effetto penale"».

Basta, dunque, una estinzione anche parziale della pena perché possa applicarsi la disposizione derogatoria stabilita nel comma secondo dell'articolo citato, che preclude l'operatività del comma precedente se la causa estintiva si estende anche agli effetti penali: argomento necessitato, nell'economia della decisione, dall'esigenza di contrastare l'indirizzo giurisprudenziale che voleva solo eventuale, o addirittura impossibile, l'estinzione della pena pecuniaria all'esito dell'affidamento in prova.

Affermazione però non incontrovertibile, perché, se è vero che l'art. 106 c.p. non richiede espressamente l'estinzione totale, è del pari indubbio che esso non prevede neanche che l'estinzione possa essere parziale e che, in assenza di un dato "specializzante", il termine "estinzione" non può intendersi che come "estinzione totale". E il profilo sarebbe stato tanto più meritevole di una riflessione meno tranchante, quando si pensi che, non essendo prevista, né comunque concepibile, una causa di estinzione "parziale" del reato, appare arduo immaginare un legislatore propenso a disciplinare gli effetti dell'estinzione della pena in termini di maggior favore rispetto a quelli propri dell'estinzione del reato. La quale - non va dimenticato -, prevalendo sulla causa di estinzione della pena, in caso di concorso con essa (art. 183, comma secondo, c.p.), potrebbe lasciare in vita, in caso appunto di concorso, effetti penali ostativi all'applicazione della appena citata disposizione derogatoria.

Del resto, in un settore non particolarmente "distante", si è affermato che l'esclusione dell'applicazione delle misure di sicurezza in conseguenza dell'estinzione della pena postula che la pena stessa sia estinta nella sua totalità e non soltanto in parte (Cass., sez. I, 24 novembre 2009 n. 1415/2010, in C.e.d. Cass., n. 245940; sez. I, 21 novembre 1994 n. 5556/1995, ivi, n. 200846).

In proposito è stato affermato (Cass. pen., sez. I, 1° ottobre 2009 n. 41584, ivi, n. 245567) che «l'art. 210 c.p., alla stregua del quale l'applicazione delle misure di sicurezza è impedita dall'estinzione della pena, va interpretato nel senso che la misura di sicurezza si estingue solo nel caso in cui si sia verificata una causa estintiva dell'intera pena, mentre se una parte della pena e precisamente quella detentiva è stata scontata, tale effetto estintivo della misura di sicurezza non può più verificarsi».

Ma, al di là della discutibilità dell'affermazione, non è presente alcun cenno, in sentenza, a una valutazione storica del complesso di disposizioni che disciplinano questa delicata materia e, in particolare, alla circostanza che l'art. 106 c.p. è stato da Rocco inserito in un contesto nel quale il richiamo alle "cause di estinzione del reato e della pena" non può che rimandare direttamente ed esclusivamente agli istituti disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 150-170 e 171-184 c.p.: con la conseguenza della necessità di dare un'interpretazione restrittiva alla nozione di "cause di estinzione della pena" o, comunque, di dare una risposta all'interrogativo se un istituto che disciplina solo una modalità alternativa di espiazione della pena, della quale prevede come effetto soltanto eventuale l'estinzione, possa farsi rientrare a buon titolo nella logica di un codice che, di certo, nel suo tessuto originario è difficilmente accreditabile di magnanimità verso il reo e che, ai fini dell'estinzione, sia del reato, sia della pena, tende ad evitare, per quanto possibile, interventi largamente discrezionali del giudice. Sulla stessa lunghezza d'onda rilievo simile fu formulato dal primo studioso che si occupò dell'argomento (Fassone, Affidamento in prova al servizio sociale e riforma penitenziaria, in Alternative alla detenzione e riforma penitenziaria, a cura di Grevi, Bologna, 1982, p. 65, il quale censurò l'ampiezza delle conseguenze della "sanatoria" di cui all'art. 47, comma dodicesimo, della legge n. 354 del 1975, affidate, in modo anomalo, non già al codice penale, bensì alla legge di ordinamento penitenziario).

Nella sentenza in commento anche l'altro argomento utilizzato nell'interpretazione ripudiata dalle Sezioni unite - che pure appariva fragile o comunque non rilevante nella soluzione della questione - della differente terminologia adoperata dalla legge ("effetti penali" tout court o "effetti penali della condanna") viene superato in termini di apodittica generalizzazione, tanto che la soluzione, sia pure in obiter, non sembra del tutto esatta («deve dunque ritenersi che quando la legge parla di "effetti penali" non può che riferirsi a quelli che scaturiscono da una condanna»): ci possono essere, infatti, effetti penali che non sono riconducibili a una decisione di condanna.

Che poi sia difficilmente cancellabile dal mondo degli eventi reali una condanna, la cui pena, anche solo parzialmente, sia stata espiata nelle forme alternative dell'affidamento in prova (e potrebbe essere stata parzialmente estinta mediante indulto che non fa venire meno gli effetti penali della condanna) è fatto indiscutibile ed è stato già da altri sottolineato (Fassone, Affidamento cit., ivi, secondo il quale «rimane estraneo all'estinzione proprio l'effetto penale che più sta a cuore al condannato, vale a dire l'eliminazione della sentenza di condanna dal mondo degli "antecedenti giuridici" che potranno dispiegare effetti pregiudizievoli in eventuali procedimenti successivi»).

Infine, problematica appare l'identificazione di una ratio, appena accennata e peraltro indirettamente, che vorrebbe la conclusione coerente anche con "linee di politica premiale" collegate a comportamenti virtuosi del condannato. Se si pensa che una pena, anche di entità non modesta e anche per reati gravi, può essere estinta, tenuto conto di eventuali e non improbabili fruizioni di indulto, mediante brevissimi periodi trascorsi in affidamento in prova, si può avere la misura delle "maglie larghe" dell'interpretazione fatta propria dalle Sezioni unite e del rischio di vanificazione del principio di effettività della pena che essa può determinare in più di un caso tutt'altro che meritevole di interpretazioni "premiali".

 

2. Un rapido sguardo ad alcuni effetti collaterali della decisione assunta.

Si accennava poc'anzi proprio a possibili questioni e interferenze che possono nascere con l'indulto. Poiché, infatti, per pena detentiva inflitta, ai fini dell'art. 47 ord. pen., va intesa quella da espiare in concreto e quindi quella residuale a seguito di eventuali condoni applicati, ci si può domandare se possa tenersi conto, ai fini della recidiva, di una condanna a pena ridotta per effetto dell'indulto ed espiata, per la parte residua, in regime (eventualmente anche) di affidamento in prova al servizio sociale. Difatti, da un lato l'indulto non fa cessare gli effetti penali della condanna (tra le ultime Cass. pen., sez. I, 6 maggio 2010 n. 18124, in C.e.d. Cass., n. 247079; sez. I, 18 ottobre 2007 n, 39547, ivi, n. 237755) e, dall'altro, non si potrebbe attribuire a un affidamento in prova conclusosi con esito positivo, e quindi tale - secondo il dictum della sentenza in rassegna - da non consentire l'applicazione della recidiva - prevalenza su un "effetto" (quello di precludere la cessazione degli effetti penali) già irretrattabilmente prodottosi a seguito del parziale condono della pena inflitta. Né esistono, com'è ovvio, regole che disciplinino i casi di concorso di titoli di estinzione della pena di diversa origine (come si è già accennato, l'affidamento in prova al servizio sociale può avere come effetto l'estinzione della pena, ma non è, a stretto rigore, una causa di estinzione della pena assimilabile a quelle disciplinate in via generale dal codice).

Di conseguenza, in un caso del genere, a meno di non pensare che la decisione del tribunale di sorveglianza che ritenga conclusa positivamente la prova cancelli gli effetti penali sopravvissuti alla concessione dell'indulto, con obliterazione sostanziale dell'art. 174, comma primo, secondo periodo, c.p., si deve concludere che il decisum di questa sentenza non possa trovare applicazione.

Inoltre, tenuto conto di quanto poc'anzi si è sottolineato circa la prevalenza delle cause di estinzione del reato su quelle di estinzione della pena, rimangono non semplici problemi di coordinamento (e anche di possibili ricadute di questa decisione su future applicazioni anche in ambiti contigui) con quanto la giurisprudenza di legittimità ha affermato costantemente in ordine agli effetti di determinate pronunce ai fini della recidiva (basterà qui solo far cenno al fatto che l'estinzione del reato conseguente alla sospensione condizionale della pena non si estende agli effetti penali della condanna della quale pertanto deve tenersi conto ai fini della recidiva: così Cass. pen., sez. IV, 23 novembre 2010 n. 45351, in C.e.d. Cass., n. 249069; o all'altro, per cui neanche l'amnistia impropria fa venir meno gli effetti penali della condanna: Cass., sez. I, 19 ottobre 2004 n. 45521, ivi, n. 229820).

Neanche si può passare sotto silenzio la sorte delle misure di sicurezza, avuto riguardo alla articolata disciplina prevista nell'art. 210 c.p. per i diversi effetti su di essa dell'estinzione del reato e di quella della pena.

Di questo e di altri problemi che la pratica certamente si premurerà di sottoporre all'attenzione della giurisprudenza si avrà modo di discutere in prossime occasioni.

Sempre che frattanto il dictum della sentenza non sia rimesso in discussione, come tante altre volte accaduto in passato, da dissensi delle sezioni semplici, e quindi da rinnovati contrasti.