ISSN 2039-1676


26 novembre 2010 |

Dalle Sezioni Unite alcuni punti fermi in tema di recidiva reiterata

Nota a Cass., Sez. Un., 27.5.2010 (dep. 5.10.2010), n. 35738, ric. Calibè

La sentenza delle Sezioni Unite qui annotata fornisce l’occasione per porre alcuni punti fermi nella controversa materia della recidiva, con specifico riguardo alla recidiva reiterata ex art. 99, c. 4, c.p.
 
 
1. La prima e più importante questione che viene risolta con questa pronuncia attiene alla nota problematica inerente la natura obbligatoria o facoltativa della recidiva reiterata, a seguito della nuova formulazione dell’art. 99, c. 4, c.p. conseguente alla l. 205/2005.
 
Come già affermato da diverse pronunce (Cass., sez. IV, 11 aprile 2007, CED 236412; sez. IV, 19 aprile 2007, CED 235835), la Corte ribadisce che la recidiva, anche quella reiterata di cui all’art. 99, c. 4, c.p., conserva tuttora natura di circostanza aggravante facoltativa, con conseguente possibilità per il giudice di escluderla laddove la ricaduta nel reato, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, non appaia in realtà sintomatica di una maggiore colpevolezza e pericolosità dell’agente.
 
L’unica eccezione è costituita dall’art. 99, c. 5, c.p. che disciplina l’ipotesi in cui il nuovo delitto non colposo rientri tra quelli indicati nell’art. 407, c. 2, lett. a) del codice di rito (tra i quali, ad es., associazione mafiosa e delitti commessi dagli associati, delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, traffico di stupefacenti, strage, omicidio doloso, rapina aggravata ed estorsione aggravata); con riguardo a tale peculiare ipotesi, infatti, il legislatore ha espressamente qualificato l’aumento di pena ivi previsto come “obbligatorio”. Da ciò, peraltro, si evince a contrario che, con riferimento alle figure di recidiva di cui ai commi da uno a quattro dell’art. 99 c.p., l’aumento di pena deve considerarsi facoltativo.
 
Alla base del dictum delle Sezioni Unite vi sono ragioni sia di ordine testuale sia di ordine costituzionale. La lettura che la Cassazione dà dell’art. 99, c. 4, c.p. risulta in effetti la più aderente alla formulazione testuale della norma.
 
L’unico aspetto su cui risulta aver inciso il legislatore del 2005, infatti, è relativo al solo quantum dell’aumento di pena (oggi, a differenza che in passato, previsto in misura fissa, anziché variabile tra un minino ed un massimo), e non già all’an dello stesso, il quale deve essere oggetto di un concreto apprezzamento da parte del giudice.
 
Inoltre, la Cassazione ricorda che le varie figure speciali di recidiva “non costituiscono autonome tipologie svincolate dagli elementi normativi e costitutivi della recidiva semplice, bensì mere specificazioni di essa, dalla quale si diversificano, espressamente richiamandola, per le differenti conseguenze sanzionatorie che comportano”, cioè, come visto, un aumento di pena nella misura determinata ope legis e non ope iudicis.
 
Infine, tale interpretazione è imposta anche dai principi costituzionali di ragionevolezza, proporzione, personalizzazione e funzione rieducativa della risposta sanzionatoria. Affidare al mero dato oggettivo della reiterazione degli illeciti il prodursi delle plurime conseguenze pregiudizievoli che discendono dall’applicazione della recidiva reiterata significa, infatti, introdurre una sorta di automatismo punitivo che risulta del tutto incompatibile con i fondamenti costituzionali della materia penale, poiché l’irrigidimento della risposta sanzionatoria non verrebbe ad essere agganciato ad una maggior colpevolezza e pericolosità dell’agente accertata in concreto dal giudice.
 
 
2. Ribadita quindi la natura facoltativa della recidiva, la Corte ha cura di affrontare un’ulteriore questione connessa a quella appena descritta e sulla quale persisteva un contrasto giurisprudenziale. Contrariamente a quanto si era sostenuto in alcune pronunce (Cass., sez. VI, 27 febbraio 2007, CED 236426), infatti, la Corte esclude che il principio di facoltatività della recidiva possa subire “scissioni” con riferimento agli effetti che conseguono al riconoscimento della stessa; non è cioè ammissibile che il giudice riconosca la recidiva in capo al condannato, aumentando la pena, ma si astenga dall’applicare tutte le altre conseguenze che dal riconoscimento della stessa derivano (ad es., non aumenti la nella misura prevista dall’art. 81 c.p. in caso di reato continuato).
 
Più in particolare, si afferma in sentenza – sulla scia di quanto aveva già osservato il Giudice delle leggi (sent. n. 192/2007) – che il giudice è sì titolare di un potere discrezionale in merito all’applicazione o meno della recidiva, ma se, nel caso concreto, egli ritiene che l’aggravante in parola debba essere applicata, questa opera necessariamente e determina tutte le conseguenze pregiudizievoli previste dalla legge.
 
Il giudice, quindi, se ritiene di applicare all’imputato la recidiva reiterata:
 
a) dovrà aumentare la pena nella misura prevista dalla legge (art. 99, c. 4, c.p.);
 
b) non potrà dichiarare la prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla recidiva in sede di giudizio di comparazione (art. 69, c. 4, c.p.);
 
c) non potrà determinare l’aumento di pena previsto in caso di concorso formale o reato continuato in misura inferiore ad un terzo della pena stabilita per la violazione più grave (art. 81, c. 4, c.p.);
 
d) se ritiene che la pena da irrogare in concreto sia superiore a due anni, non potrà ammettere l’imputato al c.d. “patteggiamento allargato” (art. 444, c. 1-bis, c.p.).
 
Il giudice, in definitiva, è posto dinnanzi ad un’alternativa “secca”: o esclude la recidiva reiterata, ed essa non spiegherà quindi nessuno degli effetti pregiudizievoli che ad essa la legge riconnette; ovvero la ritiene sussistente, e in tal caso procederà alla commisurazione della pena nel rispetto di tutte le limitazioni conseguenti al riconoscimento dello status di recidivo reiterato.
 
 
3. Da ultimo, la Cassazione con la sentenza in esame chiarisce che, ai fini dell’operatività delle conseguenze pregiudizievoli che derivano dall’applicazione dell’aggravante della recidiva reiterata, è sufficiente che essa sia, oltre che ritualmente contestata dal pubblico ministero in omaggio al principio del contraddittorio, ritenuta sussistente dal giudice in sentenza; non è cioè necessario che all’imputato l’aggravante in parola sia già stata applicata con una precedente sentenza. Le Sezioni Unite hanno peraltro cura di chiarire, in adesione all’orientamento dominante (Cass., Sez. Un., 18 giugno 1991, CED 187856), che la recidiva, al pari delle altre circostanze aggravanti, si deve ritenere “applicata” anche quando, in sede di giudizio di comparazione, è stata ritenuta equivalente alle eventuali circostanze attenuanti, poiché essa ha quanto meno avuto l’effetto di paralizzare la riduzione di pena.
 
Tale questione si era posta, in particolare, con riferimento alla preclusione al c.d. patteggiamento allargato prevista dall’art. 444, c. 1-bis, c.p.p. per coloro che siano stati, come recita testualmente tale norma, “dichiarati” recidivi reiterati; la formulazione letterale, infatti, inclinava l’interprete a ritenere che l’imputato, per vedersi precluso l’accesso al rito speciale, dovesse essere già stato riconosciuto recidivo reiterato con una precedente sentenza. La Corte, però, respinge tale lettura, in quanto ritiene che il termine di cui sopra sia stato utilizzato impropriamente dal legislatore con riferimento alla recidiva; tecnicamente, infatti, questa è una circostanza del reato, e quindi si applica, non si “dichiara”. Il legislatore ha verosimilmente utilizzato tale termine, in quanto l’art. 444, c. 1-bis, c.p.p. inibisce l’accesso al c.d. patteggiamento allargato non solo a coloro ai quali è stata applicata l’aggravante della recidiva reiterata, ma anche ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, cioè con riferimento a qualifiche soggettive per le quali, invece, si prevede espressamente un’apposita “dichiarazione” con la sentenza di condanna. Il legislatore sembra dunque aver utilizzato un unico termine per tutti gli status soggettivi richiamati dalla norma (compresa la recidiva), e per questo si deve ritenere che la preclusione di cui alla norma processuale in esame operi già nel momento in cui il giudice accerta i presupposti per applicare la recidiva reiterata, senza che sia necessaria una precedente condanna che tale forma di recidiva abbia già applicato.
 
Sulla scorta dei principi così enunciati, la Corte previene agevolmente alla soluzione del caso di specie. Si trattava, in particolare, di valutare la legittimità di una sentenza di patteggiamento che condannava a pene superiori ai due anni due imputati per reati in materia di stupefacenti, nella quale il giudice aveva (motivatamente) escluso la recidiva reiterata per un imputato, mentre nessuna indicazione sul punto aveva fornito con riferimento all’altro, al quale pure era stata contestata la recidiva qualificata. In applicazione del principio di diritto da ultimo affermato, la Corte evidenzia che, mentre nessun problema si pone per il primo imputato, in quanto il giudice ha ritenuto di escludere la recidiva ex art. 99, c. 4, c.p. e quindi ha legittimamente ammesso quest’ultimo al c.d. patteggiamento allargato, diverso è il discorso con riferimento alla condanna del secondo imputato, poiché in quest’ultimo caso la recidiva non era stata esclusa dal giudice e quindi essa doveva ritenersi operante, con la conseguenza che l’imputato non poteva avere accesso al rito speciale ed alla relativa riduzione di pena. Pertanto, la Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla condanna del secondo imputato, per essere stata a questi irrogata una pena inferiore al minimo previsto dalla legge.
 
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4. La sentenza in commento fornisce, infine, occasione per riflettere su un nodo ancora aperto in tema di recidiva - peraltro non affrontato nella pronuncia -, relativo ai dubbi di legittimità costituzionale dell'unica residua ipotesi di recidiva obbligatoria, prevista in termini inequivoci dall'art. 99, c. 5, c.p. ("l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio").
 
Nel motivare il normale regime di facoltatività della recidiva in tutte le altre ipotesi contemplate dall'art. 99 c.p., le Sezioni Unite evidenziano come tale facoltatività sia una diretta conseguenza dell’operare del principio di colpevolezza. Non è infatti sufficiente, perché sia applicabile l’aggravante della recidiva, il dato meramente oggettivo rappresentato dalla reiterazione dell’illecito, ma è necessario che il nuovo delitto risulti in concreto espressivo di una maggiore colpevolezza e pericolosità sociale del reo, sì da giustificare in concreto l’aumento della pena, nonché l’irrigidimento della disciplina processuale e penitenziaria. Diversamente, la produzione delle conseguenze sfavorevoli previste dalla legge per il recidivo reiterato verrebbe ad essere priva di un legame soggettivamente rilevante con l’agente, con conseguente pregiudizio dei principi di personalizzazione e necessaria finalizzazione della risposta sanzionatoria al reato.
 
Tuttavia, se il principio di facoltatività della recidiva risulta intimamente connesso con il principio (costituzionale) di colpevolezza, non è chiaro come tale principio possa essere derogato con riferimento alla recidiva ex art. 99, c. 5, c.p.
 
Non pare infatti potersi sostenere che, essendo la recidiva di cui al c. 5 fondata sulla particolare gravità del nuovo delitto commesso (uno tra quelli previsti dall’art. 407, c. 2, lett. a), c.p.p.), sarebbe ragionevole ritenerlo senz’altro espressivo di una maggiore riprovevolezza della condotta dell’agente, senza necessità di un accertamento in concreto da parte del giudice.
 
La recidiva ex art. 99, c. 5, infatti, si applica anche a coloro che sono stati riconosciuti recidivi ex art. 99, c. 1, c.p., cioè ai recidivi semplici, i quali potrebbero quindi aver commesso in precedenza un qualunque delitto non colposo, per nulla connesso a quello che dà luogo alla forma obbligatoria di recidiva; senza considerare poi che quest’ultimo potrebbe essere stato commesso svariati anni addietro.
 
Per tali ragioni, l’art. 99, c. 5, c.p. sembra porre seri problemi di compatibilità con il quadro costituzionale, che l’interprete difficilmente potrebbe risolvere mediante una interpretazione costituzionalmente conforme di tale norma che abbia l’effetto di estendere il principio di facoltatività della recidiva anche all’ipotesi ivi prevista. Il testo dell’art. 99, c. 5, infatti, risulta inequivoco sul punto, ed una diversa ipotesi ricostruttiva del suo significato si risolverebbe inevitabilmente in un’interpretazione contra legem. La sola strada percorribile, pertanto, sembra quella di sollevare un’eccezione di incostituzionalità della norma innanzi alla Corte costituzionale per contrasto con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 co. 1 Cost, nonché con lo stesso principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in relazione alla irragionevolezza della presunzione assoluta di maggiore colpevolezza e pericolosità sottesa al regime di obbligatorietà dell'ipotesi di recidiva in parola.