26 febbraio 2013 |
Revirement della Cassazione sulla legittimità dei prelievi ematici per l'accertamento del tasso alcolemico: non serve il consenso, basta che manchi il dissenso.
Cass., Sez. IV, 6 novembre 2012 (dep. 11 febbraio 2013), n. 6755, Pres. Marzano, Rel. D’Isa
1. Con la sentenza 11 febbraio 2013, n. 6755, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, affermando che, in caso di sinistro stradale, il prelievo ematico effettuato dai sanitari su richiesta della polizia giudiziaria ai fini della verifica del tasso alcolemico è utilizzabile anche in assenza di un consenso verbalmente espresso dall'interessato, purché costui non abbia opposto un esplicito rifiuto.
La decisione si segnala perché esprime, sul punto, un revirement della Quarta Sezione Penale rispetto ad un ormai consolidato orientamento dei medesimi giudici di legittimità, secondo il quale, mentre i risultati del prelievo ematico effettuato per le terapie sanitarie costituiscono prova documentale utilizzabile in sede processuale, senza che rilevi il mancato consenso dell'interessato, al contrario «il prelievo ematico effettuato in assenza di consenso e non nell'ambito di un protocollo medico di pronto soccorso, e dunque non reso necessario ai fini sanitari, è inutilizzabile ex art. 191 c.p.p. per violazione dell'art. 13 Cost.»[1].
L'episodio dal quale trae origine la pronuncia in esame ha ad oggetto un sinistro stradale nel corso del quale un automobilista era finito con la sua vettura contro la base di un ponte e all'arrivo delle forze dell'ordine appariva in stato di incoscienza, tanto da rendere necessario l'intervento di un'ambulanza del 118. Giunto in ospedale, il soggetto veniva sottoposto a prelievo del sangue per le terapie di pronto soccorso e, nel corso di tali accertamenti, emergeva un'alcolemia superiore a 2,04 g/l, il che conduceva ad una condanna in primo grado ai sensi dell'art. 186 C.d.S. (guida in stato di ebbrezza), sostanzialmente confermata dal giudice di appello.
L'imputato ricorreva allora in Cassazione, sostenendo che le sue condizioni di salute non erano tali da richiedere un prelievo ematico a fini diagnostici, con la conseguente inutilizzabilità dei risultati di tale prelievo perché l'accertamento sarebbe stato eseguito in difetto di consenso.
Tanto sarebbe bastato ai giudici di legittimità per dichiarare il ricorso inammissibile, risolvendosi la censura del ricorrente in una diversa prospettazione del fatto, in quanto tale sottratta al sindacato di legittimità.
Pur optando per una dichiarazione di inammissibilità, la Corte di Cassazione coglie, comunque, l'occasione per affermare in diritto che il difetto di consenso al prelievo ematico eseguito su richiesta della polizia giudiziaria non costituisce causa di inutilizzabilità patologica dell'accertamento compiuto.
Nel suo iter argomentativo, la Corte ribadisce sostanzialmente la distinzione tra prelievi compiuti "a fini terapeutici" e prelievi compiuti "a fini di accertamento penale".
Nel primo caso, è rimessa ai sanitari la valutazione se si debba o meno sottoporre l'interessato al prelievo ematico, onde predisporre adeguate cure farmacologiche. A fronte di un prelievo già effettuato per tali fini, gli organi di polizia giudiziaria sono legittimati a richiedere la verifica del tasso alcolemico, i cui risultati possono essere utilizzati ai fini penali indipendentemente dal consenso prestato dal guidatore. Peraltro, in questo caso - secondo la Cassazione - non è neppure necessario che l'interessato sia avvertito della facoltà di nominare un difensore.
Nel secondo caso, ove i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre il conducente a cure mediche ed a prelievo ematico, detto prelievo può essere comunque richiesto dagli organi di polizia giudiziaria ai fini penali.
È con specifico riferimento a tale seconda ipotesi che la Corte cambia sorprendentemente rotta, affermando l'esistenza di una netta distinzione tra "dissenso espresso" e "mancato consenso" dell'interessato: secondo l'odierna pronuncia l'inutilizzabilità dei risultati è sanzione processuale che riguarda la sola eventualità in cui il prelievo sia stato eseguito nonostante un esplicito rifiuto del soggetto, e non anche il caso in cui la persona, previamente informata delle finalità penali per cui è effettuato il prelievo, abbia tenuto un «atteggiamento positivo», sebbene non verbalmente espresso.
In altri termini, nell'ipotesi da ultimo citata, la Quarta Sezione sembra affermare l'esistenza di un mero obbligo di informare l'interessato delle reali finalità (penali, e non mediche) cui è preordinato il prelievo, senza l'ulteriore esigenza di accertarne il consenso espresso, salvo l'obbligo di arrestarsi in presenza di una iniziativa di esplicito dissenso manifestato dal soggetto.
A fondamento di tali conclusioni, la Corte richiama il tenore letterale dell'art. 186, co. 7 C.d.S., «laddove il legislatore ha specificamente utilizzato il termine "rifiuto" da parte del conducente, con riferimento all'accertamento del tasso alcolemico», sicché l'opposizione dell'interessato all'esecuzione del prelievo acquisirebbe rilevanza soltanto ove si concretizzasse in un "dissenso espresso", e non anche nel caso di "mancato consenso".
3. La soluzione pare improntata ad esigenze di snellezza e, al contempo, di conservazione dell'attività probatoria che caratterizzano, per certi aspetti, i procedimenti e le sanzioni in materia di circolazione stradale. E ciò, verosimilmente, anche in considerazione dell'incalzante necessità di contrastare la diffusione di comportamenti di grave allarme sociale, come la guida in stato di ebbrezza.
Tuttavia, la posizione accolta dalla pronuncia in esame solleva alcuni dubbi di natura processuale che non possono essere sottaciuti.
I profili di maggiore criticità riguardano, segnatamente, l'affermata utilizzabilità del prelievo ematico eseguito a fini probatori, anche ove sia mancato un esplicito consenso dell'interessato. Sul punto, non convincono appieno le motivazioni adottate dalla Corte, che fonda l'assunto sulla circostanza che nel reato di cui all'art. 186, co. 7 C.d.S. (rifiuto dell'accertamento), si valorizza espressamente il "rifiuto" (i.e. l'espresso dissenso) e non anche la semplice "assenza di consenso".
Vero è che la contravvenzione di cui all'art. 186, co. 7 C.d.S. prevede tra i suoi elementi costitutivi il «rifiuto» dell'accertamento, inteso come un qualsiasi dissenso manifestato espressamente (seppure in forma non verbale). Si tratta, tuttavia, di un requisito che non ha rilevanza sul piano processuale, ambito nel quale operano, invece, le nuove norme in materia di prelievi e accertamenti medici coattivi introdotte dalla L. 30 giugno 2009, n. 85 (di ratifica ed attuazione del Trattato di Prüm)[2].
In particolare, l'art. 359-bis c.p.p. oggi prevede che quando debbano essere eseguiti prelievi del DNA o altri accertamenti medici, «e non vi è il consenso della persona interessata», il pubblico ministero presenta richiesta al giudice per le indagini preliminari, che le autorizza con ordinanza, sempre che ricorrano le condizioni previste nell'art. 224-bis c.p.p.[3]
Detto altrimenti, quando «non vi è il consenso» dell'interessato, ogni tipo di prelievo biologico o di accertamento medico deve seguire la nuova disciplina stabilita negli artt. 224-bis e 359-bis c.p.p., a pena di inutilizzabilità dei risultati acquisiti.
Si consideri, peraltro, che nei procedimenti per il reato di guida in stato di ebbrezza, ove manchi il consenso dell'interessato non vi sarebbe spazio neppure per un prelievo coattivo su autorizzazione del giudice. La legge, infatti, subordina l'applicabilità dell'art. 359-bis c.p.p. all'esistenza di un procedimento per delitto non colposo, consumato o tentato, punito con l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a tre anni; requisito evidentemente non soddisfatto nell'ipotesi in cui si proceda per il reato contravvenzionale punito dall'art. 186 C.d.S.
La verifica del consenso assurge allora a vero e proprio requisito di legittimità del prelievo da cui dipende l'utilizzabilità processuale dell'accertamento. Sicché esso non può certo essere trascurato al punto tale da dedurne l'implicita sussistenza in base al mero dato circostanziale che non risulti documentata alcuna chiara iniziativa di dissenso.
Per tale ragione, pare ragionevole ritenere che, nell'ipotesi di un prelievo ematico per l'accertamento della responsabilità penale, agli organi di polizia giudiziaria incombe l'obbligo sia di informare l'interessato delle suddette finalità, sia di accertare la presenza o meno del suo consenso, documentando quest'ultimo a mezzo di processo verbale redatto nelle forme ordinarie.
Quanto alla necessità di una tale documentazione, essa deriva dall'ovvia considerazione che l'alcolemia tende a ridursi man mano che l'alcol viene sottoposto a degradazione enzimatica. L'accertamento del tasso alcolemico rientra dunque pleno titulo nella categoria degli "accertamenti urgenti sulle persone" (art. 354 c.p.p.), per la quale l'art. 357, co. 2, lett. e) c.p.p. prevede espressamente l'obbligo di redigere verbale.
4. Un'ultima considerazione attiene, infine, al profilo delle garanzie difensive e all'obbligo di avvisare l'interessato della facoltà di farsi assistere da un difensore, espressamente previsto per gli accertamenti urgenti dall'art. 114 disp. att. c.p.p. Si tratta di un obbligo la cui violazione dà luogo ad una nullità generale a regime intermedio, che deve essere eccepita, ai sensi dell'art. 182 c.p.p., o prima del compimento dell'atto o immediatamente dopo (cioè subito dopo la nomina del difensore, ovvero entro il termine di cinque giorni che l'art. 366 c.p.p. concede a quest'ultimo per l'esame degli atti) [4].
La sfera applicativa di tale garanzia è stata, tuttavia, ridimensionata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto modo di precisare - peraltro, proprio nel campo affine della prova spirometrica per l'"alcooltest" - che «l'obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore non ricorre qualora l'accertamento venga eseguito in via esplorativa, risultando espressione di una attività di polizia amministrativa», mentre «tale obbligo sussiste qualora la polizia giudiziaria al momento dell'accertamento ritenga già di poter desumere lo stato di alterazione del conducente da qualsiasi elemento sintomatico dell'ebbrezza»[5].
Adottando lo stesso criterio nella materia dei prelievi ematici, sembra ragionevole ritenere che l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore si prospetti come obbligatorio in ogni caso di prelievo richiesto dalla polizia giudiziaria in seguito a sinistro stradale. In quest'ipotesi, infatti, è difficile sostenere che si tratti di un semplice accertamento "di routine", eseguito in via esplorativa, poiché la verifica del tasso alcolemico richiesta nei confronti di un soggetto ospedalizzato configura un atto investigativo di polizia giudiziaria effettuato - verosimilmente - a fronte di uno stato di alterazione o di dinamiche del sinistro che appaiono "sospette", e cioè di elementi che lasciano intendere l'avvenuta commissione del reato di guida in stato di ebbrezza.
Nel quadro così delineato, non pare, insomma, che il prelievo ematico per finalità di accertamento della responsabilità penale possa essere privato delle ordinarie garanzie previste dal codice di rito per tutti gli "accertamenti urgenti sulla persona". E ciò - va ribadito - sia sul versante della necessaria verifica di un consenso dell'interessato, che deve essere opportunamente documentata, sia sul terreno delle formalità previste dall'art. 114 disp. att. c.p.p. (avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore).
La consapevolezza che la guida in stato di ebbrezza è un fenomeno di grave allarme sociale che impone interventi decisi del legislatore e di tutti gli altri operatori coinvolti, non pare tuttavia che possa giustificare un costo in termini di garanzie processuali e diritti fondamentali.
In questo senso, è forse auspicabile che la pronuncia in esame rimanga un caso isolato nel più ampio panorama giurisprudenziale della Corte di Cassazione, notoriamente sensibile al rispetto del principio costituzionale di inviolabilità della libertà personale[6].
[1] Così Cass., Sez. IV, 21 settembre 2007 (dep. 18 ottobre 2007), n. 38537, in C.E.D., rv. 237780. Cfr., ex pluribus: Cass., Sez. IV, 9 dicembre 2008 (dep. 28 gennaio 2009), n. 4118, in C.E.D., rv. 242834; Cass., Sez. IV, 4 novembre 2008 (dep. 6 marzo 2009), n. 10286, in C.E.D., rv. 242769; Cass., Sez., IV, 16 maggio 2012 (dep. 5 luglio 2012), n. 26108, in C.E.D., rv. 253596.
[2] Per approfondimenti sulle novità legislative introdotte dalla L. 85/2009, v. Marafioti - Luparia (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010.
[3] L'art. 359-bis, co. 2, c.p.p. prevede, inoltre, che nei casi di urgenza, «quando vi è il fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini», il pubblico ministero dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto motivato, presentando richiesta di convalida al giudice per le indagini preliminari nelle successive quarantotto ore. Per un approfondimento sul tema si veda, volendo, Stramaglia, "Prelievi coattivi e garanzie processuali", in Marafioti - Luparia (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, cit., p. 254 e ss.
[4] Si veda, da ultimo, Cass., Sez. III, 28 marzo 2012 (dep. 18 aprile 2012), n. 14873, in C.E.D., rv. 252397. Si vedano, tra le tante: Cass., Sez. II, 12 aprile 2011 (dep. 16 maggio 2011), n. 19100, in C.E.D., rv. 250191; Cass., Sez. II, 23 marzo 2011 (dep. 1 aprile 2011), n. 13392, in C.E.D., rv. 250046; Cass., Sez. I, 4 febbraio 2010 (dep. 1 marzo 2010) n. 8107, in C.E.D., rv. 246382; Cass., Sez. IV, 14 marzo 2008 (dep. 16 aprile 2008), n. 15739, in C.E.D., rv. 239737; Cass., Sez. IV, 25 settembre 2003 (dep. 7 novembre 2003), n. 42715, in C.E.D., rv. 227303.
[5] Cosi, Cass., Sez. IV, 12 febbraio 2008 (dep. 11 marzo 2008), n. 10850, in C.E.D., rv. 239404.
[6] Cfr. Cass, Sez. IV, 9 dicembre 2008 (dep. 28 gennaio 2009), n. 4118, cit., secondo la quale: «il prelievo ematico effettuato, in assenza di consenso, non nell'ambito di un protocollo medico di pronto soccorso - e dunque non necessario a fini sanitari - sarebbe inutilizzabile ex art. 191 c.p.p. per violazione del principio costituzionale che tutela l'inviolabilità della persona (art. 13 Cost.)». Nello stesso senso, si veda Cass., Sez. IV, 21 settembre 2007 (dep. 18 ottobre 2007), n. 38537, cit.