ISSN 2039-1676


13 maggio 2013 |

Brevi note sul caso fortuito come scusante del fatto colposo

Nota a Trib. Firenze, Sez. I, 18.6.2012 (dep. 15.11.2012), Giud. Boncompagni.

Il presente contributo è ora pubblicato anche nel n. 2/2013 della nostra Rivista trimestrale. Clicca qui per accedervi.

 

Ancora commossi e addolorati per la scomparsa del prof. Giorgio Marinucci pubblichiamo di seguito il suo ultimo lavoro: una breve quanto acuta nota a un'interessante sentenza in tema di scusanti nei reati colposi e, in particolare, di caso fortuito. Ci piace pensare che la nota, scritta per Diritto Penale Contemporaneo e chiusa nell'ultimo giorno in cui il Maestro ha lavorato nel suo studio, presso l'Università di Milano, rappresenti il saluto affettuoso a noi allievi, impegnati in questa iniziativa editoriale; un saluto che reca in sé uno dei fondamentali insegnamenti di Giorgio Marinucci, studioso che, come dimostrano queste Sue ultime parole, non si è mai sottratto al confronto con la prassi.

(Gian Luigi Gatta)

 

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1. Il tribunale di Firenze, nella sentenza che qui brevemente si annota, si è imbattuto in una ipotesi classica, ben nota alla letteratura di ogni paese[1]: l'improvviso dolore agli occhi provocato dalla puntura di un insetto, che provochi la reazione istintiva in un automobilista che, come nel caso di specie, invada la corsia di marcia riservata ad altri veicoli, nonché il marciapiede, provocando colposamente la morte di un motociclista e le lesioni personali ai danni di un pedone.

E' visibilissimo l'atteggiamento 'punitivo' che governa la motivazione della condanna. Ben tre certificati medici documentavano la presenza di un edema diffuso sulla palpebra superiore attribuibile alla puntura di un insetto, con prescrizione di terapia locale. Verosimilmente si era trattato della morsicatura di un tafano, o mosca cavallina. La sentenza non presta fede né all'imputato né ai medici, esigendo la prova rigorosa della puntura o della morsicatura.

 

2. Quel che comunque non persuade è l'approdo giuridico della motivazione. Si legge infatti - testualmente - che "anche ove si ritenesse credibile la versione fornita dall'imputato, deve escludersi che il malessere conseguente alla puntura d'insetto sia stato di tale intensità da escludere la capacità d'intendere e di volere".

E' un inquadramento poco persuasivo. Almeno dai tempi di Antolisei, con la teoria della "suitas", si sa infatti che il malore improvviso è ascrivibile non già alla capacità d'intendere e di volere, ma proprio e solo al caso fortuito, come scusante delle condotte colpose, espressione della inesigibilità di un comportamento diverso quando è incontestabile la violazione delle regole di diligenza, come è incontestabile che la violazione è stata realizzata in circostanze anormali imprevedibili - fortuite, per l'appunto - che la scusano avendola resa fisicamente necessitata.

D'altra parte è poco persuasiva la motivazione in fatto della sentenza, quando si legge che "l'imputato, non avendo perso conoscenza a seguito del dolore causato dalla puntura (o morsicatura), non ha neppure posto in essere alcuna manovra di emergenza, essendosi limitato a chiudere gli occhi e a tenere il volante". Il tribunale sembra ignorare quel che si sa da tempo. 'Sangue freddo e presenza di spirito' sono doti sicuramente necessarie per far fronte ai normali pericoli che presenta la circolazione stradale, specie quando "far fronte" vuol dire proprio comportarsi in modo riflesso e automatico. Tuttavia, all'unisono con la letteratura medica, si insegna che le reazioni 'errate' possono essere il portato di uno stato di pericolo così intenso - provocato da un'inusitata situazione di pericolo - da determinare l'irruzione di automatismi e reazioni insensate (le c.d. tempeste motorie), le quali rappresentano, nel linguaggio della teoria degli strati più profondi della personalità (quelli geneticamente più antichi), la "risposta dominante" che annulla, finche perdura lo spavento, ogni controllo sugli strati superiori, dove albergano le funzioni regolatrici della coscienza e della volontà.

 

3. E' in questa cornice concettuale che andavano inseriti lo spavento, il terrore, provocati al conducente dal tafano che lo avrebbe morsicato, nel caso di specie. Ha senz'altro reagito insensatamente sino ad occupare la corsia opposta della strada, e il marciapiede, provocando la morte del motociclista e le lesioni personali ai danni del pedone; ed ha incontestabilmente realizzato una condotta colposa; ma pretendere che quel momento di terrore e spavento potesse essere vinto, come si legge nella sentenza, con una "maggiore prudenza" nella condotta di guida, sembra un non senso.

 


[1] Cfr. l'ampio e dettagliato esame compiuto da Spiegel, Die strafrechtliche Verantworlichkeit des Kraftfahrers fur Fehlreaktionen, in DAR, 1968, p. 290 ss.; v. anche Weber, Bernerkungen zur Lehre von Handlungsbegriff, in Festschrift f. Karl Engisch, 1969, p. 333 ss. Per ulteriori citazioni, cfr. Marinucci, Il reato come azione, 1971, p. 212 ss.