ISSN 2039-1676


15 luglio 2013

Dubbi di legittimità  costituzionale sull'indennizzo per eccessiva durata del processo nei casi di prescrizione del reato

Corte app. Bari, 9 luglio 2013, est. V. Gaeta, ric. Schetter

1. Pubblichiamo la recente ordinanza con la quale, nell'ambito di una procedura per l'equa riparazione del danno in ipotesi derivato dalla durata irragionevolmente lunga di un procedimento penale, la Corte d'appello di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-quinquies, lettera d) della legge 24 marzo 2001, n. 189.

La norma è stata introdotta, insieme ad altre, con l'art. 55 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134). Essa testualmente recita che non è riconosciuto alcun indennizzo «nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte». La Corte di Bari ne desume che l'indennizzo è dovuto anche nei casi di prescrizione del reato, quando non si riscontrino, nel corso del procedimento, condotte dilatorie da parte dell'imputato. Del resto - nota sempre la Corte - la nuova norma riscontra un indirizzo che già si era manifestato nella giurisprudenza, la quale aveva ripetutamente escluso il carattere dirimente, in senso preclusivo, della intervenuta dichiarazione di estinzione del reato (da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 18 novembre 2012, n.  24376, in C.e.d. Cass., n. 620650).

Tuttavia la regola sarebbe incompatibile con la «più recente» giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, donde la prospettata violazione del primo comma dell'art. 117 Cost., in relazione al primo comma dell'art. 6 ed alla lett. b) del terzo paragrafo dell'art. 35 CEDU.

Il riferimento concerne essenzialmente la notissima sentenza della seconda sezione della Corte EDU del 6 marzo 2012 nel caso Gagliano Giorgi v. Italia (pubblicata in questa Rivista, con ampia nota di P. Gaeta, La prescrizione del reato come compensazione del processo irragionevolmente lungo: ovvero del criterio del 'pregiudizio importante' nella giurisprudenza di Strasburgo), 27 aprile 2012 divenuta definitiva per il diniego opposto dalla Grande Chambre alla richiesta di riesaminare il caso.

La sentenza, com'è noto, aveva valorizzato il portato del «nuovo» paragrafo 3 dell'art. 35 della Convenzione - ove è stabilita, con dichiarati fini di deflazione, la irricevibilità di ricorsi individuali promossi da chi non abbia subito «alcun pregiudizio importante» - e nel contempo era giunta ad assegnare un valore «compensativo» del danno da irragionevole durata alla «conseguita» impunità dal reato in ipotesi commesso.

Secondo la Corte barese, la protezione accordata dal  legislatore italiano eccede quella ricavabile dal parametro convenzionale, come interpretato dalla Corte di Strasburgo. E tale eccedenza implicherebbe illegittimità della norma interna. Il legislatore nazionale, infatti, «deve evitare di modularne l'attuazione [dei vincoli posti dalla norma convenzionale] in materia da riconoscere, a chi ne deduca la violazione, un bene che il giudice sovranazionale non riconoscerebbe». E ancora: «la sussidiarietà preclude ... di soddisfare una pretesa di apparente origine convenzionale, che la legislazione e giurisprudenza convenzionali non ritengano fondata».

 

2. Due rapide notazioni, tra le molte possibili, circa alcuni profili essenziali della questione.

La prima attiene alle effettive implicazioni della sentenza Gagliano Giorgi. La Corte barese ne desume un «divieto» di indennizzo nel caso di intervenuta prescrizione, ma la Corte di cassazione, ad esempio, sembra orientata nel senso opposto: «L'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo della definizione del processo penale abbia prodotto l'estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente, trovando conforto tale soluzione interpretativa nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza resa nel caso Gagliano Giorgi c. Italia del 6 marzo 2012)» (Cass. civ., Sez. VI, 12 giugno 2013, n. 14729, in C.e.d. Cass., n. 626769)

In secondo luogo, occorrerà stabilire i margini di compatibilità tra la ricostruzione operata dal rimettente ed il principio (cfr. C. cost., sent. 317/2009) del maximum standard nella tutela dei diritti fondamentali, ossia della prevalenza del livello più elevato di tutela tra quella assicurata dallo strumento convenzionale e quella apprestata dall'ordinamento nazionale. In altre parole, le garanzie convenzionali (così come quelle apprestate dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE) non possono essere utilizzate per abbassare gli standard di tutela già assicurati a un diritto nell'ordinamento interno, ma semmai soltanto per innalzarle.

Infine, è tutt'altro che certo che la sentenza Gagliano Gaggio abbia inteso escludere, tout court, che l'imputato il quale abbia beneficiato di una pronuncia di prescrizione del reato in esito a un processo di durata comunque eccessiva rispetto agli standard desumibili dall'art. 6 CEDU non debba ricevere alcun indennizzo. Una propnuncia di irricevibilità del ricorso da parte della Corte EDU ai sensi dell'art. 35 § 3 lett. b) CEDU, infatti, non equivale affatto a una pronuncia di infondatezza del ricorso medesimo, dal momento che - come la sentenza stessa precisa (§ 55) - questa nuova condizione di ricevibilità introdotta dal Protocollo XIV, ispirata al principio de minimis non curat praetor, "rinvia all'idea che la violazione di un diritto, quale che sia la sua realtà dal punto di vista strettamente giuridico, deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare un esame da parte di una giurisdizione internazionale". Il che non significa che quella stessa violazione possa, e anzi debba, essere apprezzata ed eventualmente sanzionata dal giudice interno nelle sue funzioni di "primo garante" dei diritti convenzionali; tant'è vero che lo stesso art. 35 § 3 lett. b) subordina la dichiarazione di irricevibilità, tra l'altro, alla condizione che la doglianza sia stata in precedenza "doverosamente esaminata da un tribunale interno". Ed in effetti, nel caso di specie deciso in Gagliano Giorgi, la Corte aveva rilevato (§ 64) che la richiesta di indennizzo formulata dal ricorrente ai sensi della legge Pinto era stata esaminata a due riprese dalla Corte d'appello e poi dalla Corte di cassazione, le quali avevano motivatamente concluso che - nelle specifiche circostanze del caso - non vi fosse spazio per un indennizzo; ciò che escludeva la necessità per la stessa Corte EDU di pronunciarsi nuovamente su un caso, nel quale comunque il pregiudizio allegato dal ricorrente (fondato o meno che fosse) non era comunque "importante".

La Corte EDU non si concepisce del resto - ciò che molto spesso l'interprete italiano dimentica - come un giudice di ultima istanza chiamato a garantire l'applicazione di ogni diritto fondamentale in ogni caso concreto: tale compito spetta primariamente ed essenzialmente alle giurisdizioni interne, la Corte di Strasburgo riservandosi invece il ruolo di garante ultimo della corretta interpretazione della Convenzione, affinché siano poi i giudici nazionali ad assicurarne l'applicazione ad ogni singolo caso concreto. Nessuna meraviglia dunque - ed è questo il senso della modifica introdotta all'art. 35 con il Protocollo XIV - che la Corte miri a limitare il proprio (macchinoso e costoso) intervento soltanto ai casi in cui si discuta di pregiudizi "rilevanti", o omunque ai casi in cui sia indispensabile intervenire per risolvere importanti questioni di interpretazione della Convenzione, lasciando - per così dire - la gestione "quotidiana" della Convenzione nelle mani dei giudici nazionali.

Il significato della sentenza Gagliano Giorgi per l'interprete italiano della legge Pinto (il cui art. 2 vale la pena di rammentarlo, conforma l'estensione del diritto all'indennizzo da ragionevole durata a quella assegnata a tale diritto dalla Convenzione europea, così come interpretata dal 'suo' giudice, la Corte EDU) non può, pertanto, essere sopravvalutato: prima di concludere che la giuriprudenza della Corte EDU non riconosce il diritto all'indennizzo allorché l'imputato abbia beneficiato della prescrizione, ancorché in esito a un processo irragionevolmente lungo per cause a lui non imputabili, occorrebbe insomma attendere che tale principio venisse affermato in una sentenza di merito della Corte, nella quale si riconosca l'infondatezza (e non la mera irricevibilità) della relativa pretesa. (F.V.)