ISSN 2039-1676


19 febbraio 2014 |

Quale tutela giurisdizionale della dignità degli stranieri detenuti nei C.I.E.? Una singolare pronuncia del Tribunale civile di Bari

Tribunale di Bari, Sezione I civile, ord. 3 gennaio – 9 gennaio 2014, giud. Caso

1. Pubblichiamo il testo dell'ordinanza emessa dal Tribunale civile di Bari nel contesto della complessa vicenda giudiziaria promossa in proprio da due avvocati baresi, che hanno proposto prima ricorso per accertamento tecnico preventivo (ex art. 696 c.p.c.), poi citazione nel merito e infine ricorso cautelare d'urgenza (ex art. 700 c.p.c.), al fine di contestare le condizioni di trattenimento dei migranti nella struttura del Centro di identificazione e di espulsione di Bari-Palese, già oggetto di attenzione mediatica per numerosi casi di rivolte e fughe dettati dalle condizioni inumane in cui veniva eseguito il trattenimento.

Riteniamo importante pubblicare tale provvedimento, che pur non riguarda la materia penale, perché il tema del trattenimento degli stranieri irregolari nei CIE, coinvolgendo il diritto alla libertà personale, è da tempo oggetto di attenzione da parte di questa Rivista, e perché l'ordinanza in esame costituisce il primo caso, a quanto ci risulta, in cui un giudice, preso atto delle condizioni inumane e degradanti in cui il trattenimento è in concreto eseguito, ordina all'autorità amministrativa di intervenire entro un breve lasso temporale per ripristinare condizioni di vita conformi a quanto richiesto dalla normativa italiana ed europea, disponendo - nel caso ciò non avvenga - il trasferimento di tutti i trattenuti in altre strutture.

A tale importante conclusione si perviene, come vedremo, all'esito di un percorso motivazionale a dir poco singolare. A fondamento della decisione del Tribunale non sta, infatti, in maniera diretta l'esigenza di tutelare i diritti fondamentali dei migranti, quanto piuttosto quella di evitare il protrarsi dell'offesa al diritto all'immagine del Comune e della Provincia di Bari, sul cui territorio si trova il CIE. Trattenendo i migranti in condizioni non dignitose, si mina la reputazione delle comunità locali presso cui si trova collocata la struttura ove il trattenimento avviene: è questo, in estrema sintesi, il ragionamento giuridico che sta alla base della decisione di ordinare la ristrutturazione del CIE.

Non è questa la sede per una disamina delle complesse problematiche (specie di natura processuale)  sollevate dal caso in esame, e di seguito ci si limiterà a ripercorrere in sintesi il percorso argomentativo dell'estensore. Si può qui solo constatare come il problema delle terribili condizioni in cui versano molti CIE sia sempre più avvertito dall'opinione pubblica e dai media, ma incontri ancora grandi difficoltà ad emergere in sede giudiziaria, tanto che per pervenire ad una decisione volta a ricondurre le condizioni del trattenimento nell'alveo della legalità viene seguito un percorso tortuoso, ponendo paradossalmente in primo piano non i diritti dei migranti, ma quelli delle comunità territoriali ove sorgono le strutture di trattenimento. L'ordinanza qui allegata lancia comunque un grosso "sasso nello stagno": non è più tollerabile che i migranti irregolari vengano trattenuti in condizioni non conformi agli standard minimi di decenza che ogni struttura detentiva deve garantire, ed in attesa che si pervenga finalmente ad una soluzione politica del problema, è il potere giudiziario a dover farsi carico della questione, anche ricorrendo, come nel caso in esame, a soluzioni fuori dal consueto.

 

2. A seguito di una fase istruttoria ante causam (svoltasi nel corso del 2011 e terminata con il deposito di relazione peritale avente ad oggetto le condizioni della struttura del CIE di Bari-palese), nel marzo 2012 due legali baresi avviano ai sensi dell'art. 9 co. 1 d.lgs. 267/2000, nella propria qualità di cittadini elettori del Comune e della Provincia di Bari, azione giudiziaria civile in sostituzione dei due enti citati e avverso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'Interno e la Prefettura di Bari-Ufficio Territoriale del Governo, avente ad oggetto le condizioni del CIE barese.

Scopo dei ricorrenti è quello di ricondurre le condizioni di vita nel centro barese al disposto dell'articolo 14, comma 2, T.U.imm., ove si prevede che "lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità". Lo strumento giuridico adottato a tale fine è quello dell'azione popolare ex art. 9, comma 1, T.U.E.L., che consente ad ogni cittadino di sostituirsi in giudizio all'ente locale, quando questi non agisca a tutela dei propri diritti. A fondare l'azione starebbe la constatazione che gli enti locali, Comune di Bari e Provincia di Bari, anche in ragione dell'assenza di alcuna loro partecipazione nella costruzione e nella gestione del centro collocato sul loro territorio, abbiano subito un danno diretto all'immagine dall'illiceità del trattenimento in esso operato[1]. L'azione, quindi (e se si vuole paradossalmente), non è proposta a tutela dei diritti dei migranti trattenuti, bensì a tutela delle posizioni soggettive delle comunità locali che si vedono loro malgrado coinvolte nelle scelte gestionali dell'amministrazione statale. Non sfuggirà tuttavia che il presupposto obiettivo dell'azione è pur sempre l'accertamento delle condizioni del trattenimento, che costituisce qui fondamento per le richieste risarcitorie da parte degli enti interessati, ma che potrebbe costituire in altro giudizio il fondamento per analoghe domande da parte dei migranti trattenuti (rilievo questo che non sfugge al Tribunale quando nota, a pag. 23, "che tanto finora non sia avvenuto si spiega verosimilmente perché queste persone umane, per fin troppo ovvie ragioni, ..., versano in situazioni di evidente "minorata difesa"").

Diverse le tipologie di domande avanzate (sostanzialmente identiche nella fase di merito e in quella cautelare): 1) accertare che il CIE "è una struttura di detenzione di esseri umani"; 2) accertare che in detta struttura manca un presidio del S.S.N. e che non sono state recepite le "Linee Guida per la progettazione del Centri di Identificazione e di Espulsione" redatte nell'aprile 2009 dal Comitato Tecnico del Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione (linee-guida peraltro mai recepite dai competenti organi deliberanti dell'amministrazione statale) ; 3) accertare che la detenzione in tale centro integra una "condotta materiale lesiva dei diritti universali dell'uomo" e una violazione delle carte fondamentali dei diritti dell'uomo e "degli standard minimi di vivibilità per i detenuti stabiliti dalla normativa interna e comunitaria e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo"; 4) ordinare di conseguenza la chiusura del centro, o in subordine l'effettuazione delle opere edilizie descritte come necessarie dal CTU nella fase di ATP; 5) condannare gli enti convenuti a risarcire agli enti locali, in sostituzione dei quali l'azione è promossa,i danni cagionati, con particolare riguardo a quelli relativi all'immagine di detti enti.

 

3. L'Avvocatura dello Stato, costituitasi per le tre p.a. convenute, eccepisce in primis il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo. Il Tribunale rigetta tale rilievo sulla base dei seguenti argomenti:

A) l'art. 14, co. 2, T.U.imm., garantisce ai trattenuti il diritto all'assistenza ed al rispetto della loro dignità, e tali situazioni giuridiche non possono che essere qualificate come diritti soggettivi. Il trattenimento dello straniero nei C.I.E.  - aggiunge poi il Tribunale - è misura incidente sulla libertà personale, e come tale ricompresa nelle garanzie di cui all'art. 13 Cost., non tanto in base ad una sua assimilazione alla detenzione carceraria, ma per il fatto che lo stesso T.U.imm. prevede l'impiego della forza pubblica per vigilare sullo straniero, per impedirgli l'indebito allontanamento e per ripristinare la situazione in caso di violazione, e perché la procedura di convalida del trattenimento riecheggia le cadenze imposte dalla norma costituzionale citata (l'estensore fa riferimento alla nota sentenza della C. cost., n. 105/2001): pertanto, come nel settore "parallelo" del sistema penitenziario opera pacificamente la cognizione del giudice ordinario e "la magistratura di sorveglianza è titolare della funzione tendenzialmente piena di garanzia dei diritti dei detenuti" (pag. 10 ordinanza), così anche la giurisdizione in ordine alle condizioni di trattenimento nei CIE non può che spettare al giudice ordinario;

B) la domanda di risarcimento del danno da illegittimo trattenimento (e in questo il Tribunale parifica l'illegittimità derivante dal superamento del periodo massimo di legge rispetto a quella derivante dalle condizioni di un trattenimento pur lecito nel proprio titolo: cfr. pag. 50 ordinanza) appartiene alla giurisdizione ordinaria (cfr. Cass. civ., S.U., n. 9596/2012), anche quando in contestazione non sia la liceità del titolo di trattenimento, ma solo il quomodo della sua attuazione;

C) anche il diritto all'immagine degli enti territoriali, che costituisce l'oggetto diretto della domanda, ha "indubbia valenza di diritto soggettivo", e la sua lesione fonda dunque la giurisdizione del giudice ordinario.

In ordine poi ai "limiti interni della giurisdizione del giudice ordinario", il tribunale ritiene che "il divieto imposto al giudice ordinario dall'art. 4 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E di condannare la p.a. ad un facere specifico potrebbe essere reputato, forse, ostativo all'accoglimento della domanda di chiusura del centro", ma non è d'ostacolo all'accoglimento delle richieste volte a pretendere un adeguamento delle strutture, " in quanto in tal caso non viene in discussione l'esercizio del potere, normalmente discrezionale, della p.a. ma la necessità del ripristino delle condizioni di legalità per il che non può configurarsi la possibilità di una scelta diversa dispetto a quella costituita da tale ripristino)" (pag. 15 ordinanza, che richiama sul punto. Cass., sez. III, 25.2.1999, n. 1636).

 

4. Quanto alla legittimazione processuale, per quanto concerne la legittimazione attiva, è lo stesso strumento dell'azione popolare a costituire un'ipotesi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., tale per cui il singolo cittadino elettore può esercitare in proprio azioni che spettino agli enti locali che lo rappresentano senz'altro limite se non la previa pendenza della medesima azione. Sul fronte passivo, per il quale la difesa erariale indicava legittimate non le p.a. convenute bensì gli enti privati che hanno in gestione il centro a seguito di affidamento da parte dello Stato, il Tribunale rigetta l'eccezione sulla base del rilievo per cui le carenze segnalate non discendono da violazioni nella gestione ordinaria ma da caratteristiche strutturali del centro, come tali imputabili al soggetto che lo ha realizzato e che ne consente l'utilizzo ai fini del trattenimento di esseri umani.

 

5. Superate le eccezioni preliminari, il Tribunale esamina il merito della controversia, sotto il profilo della sussistenza del fumus boni iuris (si rammenti la sede cautelare nella quale è reso il provvedimento in commento). Due le scansioni dell'argomentazione: in prima battuta il Giudice verifica la consistenza astratta delle doglianze sollevate, passando poi a giudicare delle condizioni materiali del centro. Per operare tale ultima valutazione, il Giudice utilizza le risultanze dell'ATP espletato ante causam, del quale era stata ritualmente richiesta l'acquisizione, nonché gli esiti della CTU, affidata al medesimo consulente tecnico, disposta in corso di causa per verificare la persistenza delle criticità evidenziate nel primo accertamento e l'incidenza dei lavori medio tempore svolti.

 

5.1. In primo luogo il Giudice indaga la natura del danno lamentato, che costituisce fondamento e presupposto dell'azione: in che cosa gli enti locali rappresentati dagli attori possono dirsi danneggiati dalle ipotetiche condizioni di illegalità del trattenimento?

L'estensore ricorda innanzitutto come sia "ormai consolidato l'indirizzo secondo il quale anche le persone giuridiche, ..., possono essere lese in quei diritti immateriali della personalità, che sono compatibili con l'assenza di fisicità, quali i diritti all'immagine, alla reputazione, all'identità storica, culturale, e politica costituzionalmente protetti ed in tale ipotesi possono agire per il ristoro del danno subito" (pag. 24 ordinanza). E ricorda altresì il ruolo di "enti esponenziali" delle rispettive comunità locali ricoperto dagli enti locali nell'ordinamento italiano a mente dell'art. 3 TUEL, della normativa statutaria del Comune e della Provincia di Bari nonché della giurisprudenza "che riconosce in particolare ai Comuni il titolo a costituirsi parte civile in sede penale e/o il concreto diritto al risarcimento del danno subito" (pag. 25).

Poste queste premesse, sotto il profilo oggettivo il danno si concretizza in due aspetti: innanzitutto, nel "processo metonimico" (così, efficacemente, pag. 19 ordinanza) per il quale il nome di un luogo che sia associato dall'opinione pubblica a fatti di cronaca di particolare gravità resta indissolubilmente legato a tali fatti, come è accaduto[2] per la cittadina polacca di Auschwitz, per Guantanamo, per Alcatraz e - in relazione a fatti analoghi - per Lampedusa in tempi più recenti; in secondo luogo, le condizioni illegali del trattenimento sono un'importante causa scatenante degli episodi di fuga dal centro, i quali a loro volta possono rappresentare un problema di ordine pubblico per le comunità coinvolte (pag. 26 ordinanza).

 

5.2. Accertata in astratto la consistenza giuridica del danno, e venendo alla misura concreta della violazione, il Tribunale è costretto previamente a individuare un criterio, un parametro alla cui stregua valutare lo stato del centro come descritto dalle consulenze tecniche disposte.

Pur rilevando l'estrema laconicità del dettato normativo, costituito dal solo art. 14, co. 2, cit., e dagli artt. 20-22 del d.p.R. 394/99 (recante il regolamento di attuazione del T.U.imm.) i quali "ben poco di significativo aggiungono" al dato legislativo, il Tribunale rifiuta tuttavia il tentativo operato dagli attori di assimilare il trattenimento ad una vera e propria condizione detentiva, non solo al fine di acuirne i passaggi di problematicità ma anche e soprattutto per domandare l'applicazione dell'assai più articolata e garantista disciplina del sistema penitenziario: se è vero, ritiene il Tribunale, che "si è certamente in presenza di una misura incidente sulla libertà personale", è anche vero che "l'adozione di un determinato lessico ... non è decisiva" e soprattutto che "la nostra Carta fondamentale neppure definisce il "carcere" o "la detenzione" e piuttosto detta direttamene regola sul se e come le persone possano essere ristrette nella libertà personale", e pertanto "il termine di raffronto per giudicare della condizione del "trattenuto" nei CIE non è costituito da astratte ed in parte sfuggenti nozioni comuni di carcere e/o di detenzione, ma dal nostro ordinamento penitenziario", la cui applicazione consentirebbe - almeno in teoria -agli stranieri di godere di una "condizione migliore e comunque molto più "garantista", quanto meno sul piano formale", ma resta allo stato tuttavia esclusa dalla diversità delle situazioni sostanziali regolate che richiederebbero quanto meno la posizione di una questione di costituzionalità circa la disparità di trattamento tra il detenuto e lo straniero[3].

Pertanto, come già evidenziato in sede di ATP[4], unici parametro di riferimento restano lo scarno dettato dell'art. 14, comma 2, T.U.imm. e le citate Linee Guida ministeriali del 2009, alla cui stregua il Tribunale procede quindi ad analizzare le risultanze della CTU (pagg. 32-46 dell'ordinanza).

All'esito dell'indagine, il Tribunale non ha ritenuto pienamente adeguata la struttura barese alla propria funzione di struttura detentiva, né correttamente adempiuti i lavori di miglioria edilizia ordinati nel 2011 a seguito dell'ATP all'epoca disposto, e ha ordinato l'esecuzione di una serie di puntuali interventi strutturali[5] da realizzare entro 90 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza, stabilendo che "in caso di mancata o parziale esecuzione di quanto così disposto entro tale termine, tutti gli stranieri ancora ivi 'trattenuti' in quel momento debbano essere trasferiti, a cura e spese e sotto la responsabilità delle stesse p.a., in analoghi CIE, rispondenti ai requisiti previsti dalle norme vigenti".

 

6. Dalla lettura dell'ordinanza (e si rammenti che il processo prosegue nel merito, con ogni possibile esito in punto di conferma dell'ordinanza cautelare e di determinazione dei termini del risarcimento del danno) emergono infine due ulteriori profili probematici cui si ritiene opportuno fare brevemente cenno.

A) In caso di mancata o parziale esecuzione dei lavori nel termine stabilito, come abbiamo appena visto, "tutti gli stranieri ancora ivi "trattenuti" in quel momento [dovranno] essere trasferiti [...] in analoghi [CIE] rispondenti ai requisiti previsti dalle norme vigenti". Non è chiaro tuttavia chi dovrà eseguire questo ordine giudiziale. Esso non appare infatti idoneo a costituire una posizione giuridica in capo ai singoli stranieri trattenuti ma non parte del giudizio; ma, soprattutto, chi e con quali criteri sceglierà i diversi centri di destinazione in un contesto nel quale il sovraffollamento e l'inidoneità strutturale dei CIE appaiono costituire più delle costanti che delle eccezioni? Ci si domanda sommessamente se non sarebbe stato più efficace disporre altresì una misura di astreinte ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., con la determinazione di una somma di denaro da corrispondersi agli Enti danneggiati per ogni giorno di ritardo.

B) Il Tribunale più volte nel testo dell'ordinanza precisa che non è accoglibile la richiesta di radicale "chiusura" del centro (peraltro formulata solo in sede di merito), in quanto (pag. 14) tale ordine andrebbe a violare i c.d. limiti interni alla giurisdizione ordinaria rispetto ai provvedimenti amministrativi "[svuotando] inammissibilmente di qualsiasi efficacia i provvedimenti in virtù dei quali i singoli stranieri sono stati trattenuti" ed eliminando de facto uno specifico provvedimento amministrativo, nonché in quanto (pag. 53) l'"incontrollata liberazione dei soggetti trattenuti, ..., risulterebbe contraria al loro stesso interesse, sia dal punto di vista dell'assistenza di cui abbisognano ... sia ... per le ricadute negative immediate [che comporterebbe], anche a livello di ordine pubblico e di sicurezza".

Ci pare tuttavia che la richiesta di chiusura del C.I.E. non possa essere interpretata come implicante la liberazione degli stranieri trattenuti, bensì come accertamento dell'inidoneità della struttura ad eseguire ordini di trattenimento in se stessi legittimi: l'associazione operata dal Tribunale tra "chiusura del centro" e "liberazione dei migranti" non appare affatto corretta, ben potendosi appunto immaginare la chiusura del C.I.E. e il trasferimento degli ospiti.

In ogni caso, la più recente giurisprudenza ha certamente acquisito come pacifica la possibilità per il giudice ordinario di ordinare alla P.A. di astenersi da condotte illecite. Leggasi da ultimo Cass. civ., sez. un., n. 20571 del 6.9.2013, per la quale "l'inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella gestione (e manutenzione) dei beni che ad essa appartengono, (delle regole tecniche, ovvero) dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della p.a. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove miri alla condanna della stessa ad un facere (o ad un non facere), giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (cfr., ex ceteris, Cass., sez. un., nn. 599/2005, 20117/2005, 25221/2006, 26108/2007, 25982/2010, 5926/2011, 4848/2013, ...)[, in particolar modo quando non sia in discussione la liceità del]l'atto amministrativo inciso dall'emesso ordine di non fare, che non costituiva dunque oggetto del giudizio, per essersi fatta valere in causa unicamente l'illiceità della condotta dell'ente pubblico, suscettibile di incidere sulla salute e sui diritti patrimoniali del terzo (cfr. la citata Cass., sez. un., n. 20117/2005); mentre l'ordine inibitorio, lungi dal fissare le modalità di esercizio [dell'attività pubblica], s'è limitato ad inibire [una delle possibili modalità dell'esercizio stesso]".

Pertanto ben può il giudice ordinario inibire la P.A. dal tenere un determinato comportamento quando esso, ed è proprio il presente caso, abbia quale diretta conseguenza la causazione di un danno, per di più a un diritto fondamentale[6].


[1] Deve segnalarsi come, nel corso del giudizio, si siano costituiti, con posizioni meramente adesive a quelle attoree, tanto il Comune di Bari (interveniente necessario ex art. 9, comma 2, T.U.E.L.) quanto la Regione Puglia, restando invece contumace la Provincia di Bari (altro interveniente necessario, per tale ragione chiamato in giudizio). L'intervento dell'Ente la cui azione sia esercitata in sostituzione dal cittadino ha un importante valore simbolico, mentre sul piano processuale l'intervento adesivo dell'Ente territoriale implica solo la sua compartecipazione alle spese in uno col cittadino attore in caso di soccombenza.

[2] Gli esempi sono tratti dalla pronuncia.

[3] Qui l'argomentazione si fa, a sommesso parere di chi scrive, non particolarmente nitida, poiché non è francamente dato comprendere per quali ragioni "ogni ipotetico incidente di legittimità costituzionale a riguardo parrebbe destinato all'insuccesso" sul rilievo della "limitata temporaneità ... della misura del trattenimento" (argomento che potrebbe forse incidere sull'interesse ad agire del migrante ma non certo di quello dell'ente esponenziale che tollera il CIE sul proprio territorio) oltre che sul rilievo della "diversità delle situazioni che la inducono in confronto alla detenzione vera e propria" (l'eventuale questione di costituzionalità ben potrebbe essere fondata non tanto sull'equivalenza/indifferenza dei regimi detentivi, ma piuttosto sostenendo che i livelli di garanzia concessi ai detenuti non possono che costituire perlomeno un minimum intangibile anche per il migrante). Il tema necessiterebbe tuttavia di ben maggiori spazi di approfondimento.

[4] Il testo dell'ATP è disponibile sul sito http://www.classactionprocedimentale.it/files/ordinanzaimmigrati.pdf

[5] Oggetto di intervento devono essere, ad esempio, la questione dell'oscuramento delle finestre, l'ampliamento della sala mensa, la manutenzione dei moduli abitativi, ecc.

[6] La giurisprudenza sopra richiamata si riferisce a casistiche di gran lunga meno drammatiche della presente.