ISSN 2039-1676


05 maggio 2014 |

Una prevedibile declaratoria di manifesta inammissibilità  in tema di imputazione coatta

Corte cost., ord. 15 aprile 2014, n. 96, Pres. Silvestri, Rel. Frigo

1. È approdato ad una declaratoria di manifesta inammissibilità il tentativo del g.i.p. presso il Tribunale di Varese di sollecitare l'intervento della Corte costituzionale in ordine a uno degli snodi interpretativi più delicati del procedimento di archiviazione denunciando l'illegittimità dell'art. 409 comma 5 c.p.p. per contrasto con gli artt. 111 e 112 Cost., nella parte in cui, secondo un'interpretazione offertane in giurisprudenza, prevederebbe che, qualora il p.m. - nonostante l'ordine di formulare l'imputazione impartitogli dal g.i.p. - insista nel richiedere l'archiviazione della notizia di reato, l'organo giurisdizionale sia tenuto a disporla.

Alla Consulta non è sfuggito come lo strumento dell'eccezione di incostituzionalità nel caso di specie sia stato impropriamente attivato, con l'obiettivo di ottenere dal Giudice delle leggi «un avallo dell'interpretazione ritenuta dal rimettente corretta e costituzionalmente adeguata» circa gli effetti dell'ordine di formulare l'imputazione coatta ex art. 409 comma 5 c.p.p. e, soprattutto, di superare «lo stallo procedimentale (...) suscettibile di protrarsi sine die» conseguente alla reiterazione da parte del p.m. della richiesta di archiviazione disattesa dal g.i.p.

A questo scopo, il giudice a quo avrebbe "orientato" la stessa ricostruzione della prassi giurisprudenziale relativa alla dialettica fra p.m. e g.i.p. in materia, valorizzando come diritto vivente quello che appare, in realtà, orientamento minoritario, condiviso da due sole pronunce della Suprema Corte, peraltro cronologicamente distanti (si tratta di Cass., sez. I, 24 ottobre 1996, Laureti, in C.e.d. Cass., n. 203420 e di Cass., sez. IV, 25 novembre 2003, Garzilli ed altri, in C.e.d. Cass., n. 227907) e in contrasto con le indicazioni fornite al riguardo dalla stessa giurisprudenza costituzionale. In più occasioni, infatti, la Consulta ha chiarito come l'ordine di formulare l'imputazione rivolto dal g.i.p. al p.m. non possa che avere natura vincolante, nella prospettiva di assicurare il controllo giurisdizionale sulla determinazione dell'organo d'accusa di non agire (in questo senso si è espressa, a  «garanzia del rispetto sostanziale e non solo formale del principio di obbligatorietà dell'azione penale», Corte cost., sent. n. 130 del 1993; così anche Corte cost., sent. n. 263 del 1991, correlando al principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale l'esigenza che, ove le valutazioni di p.m. e g.i.p. divergano «in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla loro riconducibilità in determinate figure criminose», debba «prevalere la valutazione del giudice»; v. altresì Corte cost., ordd. n. 182 del 1992 e n. 253 del 1991).

 

2. Da tali premesse la decisione ricava, richiamando proprie precedenti statuizioni, due ragioni di inammissibilità della questione sollevata: per un verso, l'esito deriva dalla inesatta ricostruzione da parte del giudice a quo del diritto vivente di cui si denuncia l'illegittimità costituzionale (cfr. al riguardo Corte cost., sent. n. 320 del 2009; ordd. n. 90 del 2009, n. 251 e n. 64 del 2006); per l'altro, discende dalla impropria «finalità di avallo interpretativo» che l'ordinanza di rimessione intenderebbe perseguire (per analoghe conclusioni cfr., fra le altre, Corte cost. ordd. n. 26 del 2012, n. 139 del 2011, n. 219 del 2010).

Ad arricchire i profili di inammissibilità della questione sollevata vi è, inoltre, la constatazione che la stessa risulti «prematura»: l'ordinanza di rimessione individua come possibile alternativa al presunto obbligo per il g.i.p. di accogliere la richiesta di archiviazione reiterata dal p.m. la sollecitazione giurisdizionale rivolta al Procuratore generale presso la Corte d'appello affinché avochi le indagini ed eserciti l'azione penale, concludendo che, solo ove quest'ultimo resti inerte, l'adozione del provvedimento di archiviazione divenga per il g.i.p. inevitabile. Tuttavia, a ben vedere, il giudice a quo ha omesso di avvalersi in concreto di tale alternativa, nel presupposto che ogni sollecitazione nel caso di specie fosse inutile, avendo già il Procuratore avuto notizia ex art. 409 comma 3 c.p.p. della fissazione delle due udienze in camera di consiglio concluse con l'ordinanza di imputazione coatta, e che dunque - passaggio opportunamente non condiviso dalla Consulta - il mancato intervento avocativo dovesse intendersi come implicita adesione all'operato del p.m.

 

3. Al di là della prevedibile conclusione nel senso della inammissibilità dell'eccezione sottoposta all'attenzione della Consulta, la decisione rivela consapevolezza della problematica dialettica che può instaurarsi fra p.m. e g.i.p. nell'ipotesi in cui il secondo disattenda la richiesta di archiviazione avanzata dal primo e, ritenendo sussistenti le condizioni per esercitare l'azione penale, gli ordini di formulare l'imputazione. Fermo restando che l'organo dell'accusa debba intendere quella prescrizione come vincolante, la stessa Corte costituzionale pare cosciente che, nel caso in cui questi non vi ottemperi, possa prefigurarsi in concreto uno «stallo procedimentale (...) suscettibile potenzialmente di protrarsi sine die»; si fa carico perciò di individuare una gamma di possibili rimedi processuali, demandandone la scelta alla discrezionalità legislativa.

Nondimeno, rispetto ad una delle soluzioni ipotizzabili in astratto - assegnare al g.i.p. il potere di formulare direttamente l'imputazione in caso di "resistenza" del p.m. - la Corte sembra prendere posizione, rilevandone il contrasto con uno dei cardini del sistema accusatorio, il principio ne procedat iudex ex officio[1].

Fra i potenziali rimedi la decisione indica anche l'introduzione di una ipotesi di avocazione obbligatoria; non si pronuncia invece esplicitamente sulla possibilità, suggerita in dottrina, che a tale risultato si pervenga già de iure condito in via interpretativa, ai sensi dell'art. 412 comma 1 c.p.p., risultando «dimostrata per facta concludentia l'inosservanza del dovere di agire da parte del pubblico ministero procedente»[2].

 

 

 

 


[1] Per una diversa opinione, secondo cui sarebbe stato «più lineare e più efficace prevedere che il g.i.p., quando ritiene sussistenti gli estremi per l'imputazione, la formuli surrogandosi al p.m. e dismettendo ogni prerogativa decisoria per il prosieguo del dibattimento», v. Giostra, L'archiviazione, Giappichelli, 1994, p. 80, nota 65.

[2] In questo senso, Giostra, L'archiviazione, cit., p. 82.