28 maggio 2014 |
Applicazione delle misure di sicurezza innanzi al giudice di sorveglianza: una declaratoria di incostituzionalità "convenzionale" imposta dal principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari
Corte cost., 21 maggio 2014, n. 135, Pres. Silvestri, Rel. Frigo
Per scaricare il testo della sentenza in commento, pubblicata sul sito www.giurcost.it, clicca qui.
1. Nel solco tracciato dalle note sentenze "gemelle" (C. cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e 349) e rimarcato, a più riprese, sino ai giorni nostri (da ultimo, C. cost., 25 febbraio 2014, n. 30), con la pronuncia in esame la Consulta aggiunge un nuovo tassello per adeguare l'ordinamento interno ai precetti della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, norme "interposte" definitivamente assurte - nel significato loro attribuito dalla Corte di Strasburgo - a parametro di costituzionalità secondo la previsione che impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali» (art. 117 comma 1 Cost.).
Alla base dello scrutinio di legittimità, qui promosso dal Magistrato di Sorveglianza di Napoli in pendenza di un procedimento per la dichiarazione di abitualità nel reato, si pone la richiesta, avanzata dal difensore dell'interessato, di trattare la procedura «in forma pubblica». Opzione preclusa - come bene ricostruisce l'ordinanza di rimessione - dalle disposizioni che regolano "in combinato" il procedimento di applicazione delle misure di sicurezza. Più precisamente, fermo che compete al magistrato di sorveglianza la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato da premettere, ove occorra, all'accertamento della pericolosità sociale e all'adozione dei provvedimenti in materia di misure di sicurezza, diverse dalla confisca, che siano state ordinate con sentenza o che debbano essere successivamente ordinate (art. 679 comma 1 c.p.p.), è previsto che il magistrato, in siffatto contesto, proceda «a norma dell'art. 666» (art. 678 comma 1 c.p.p.), disposizione a sua volta inequivocabile nello stabilire che l'udienza abbia luogo «in camera di consiglio» (art. 666 comma 3 c.p.p.); cioè a dire - secondo la disciplina generale e in difetto di previsioni derogatorie - «senza la presenza del pubblico» (art. 127 comma 6 c.p.p.). Si deve peraltro evidenziare - è lo stesso giudice a quo a darne atto - che identico regime si applica pure innanzi al tribunale di sorveglianza in sede di appello avverso i provvedimenti del magistrato concernenti misure di sicurezza e dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato (art. 680 comma 1 c.p.p.), atteso che in tali casi anche il giudice collegiale procede secondo il richiamato art. 666 del codice di rito (art. 678 comma 1 c.p.p.).
Di qui, nella prospettiva del rimettente, il dubbio di incostituzionalità delle disposizioni interessate (artt. 666 comma 3, 678 comma 1 e 679 comma 1 c.p.p.): anzitutto, per contrasto - non superabile per via esegetica - con il principio di pubblicità dei procedimenti giudiziari di cui all'art. 6, par. 1, Cedu, norma "interposta" rilevante per la violazione dell'art. 117 comma 1 Cost.; per altro verso, tenuto conto dell'incidenza diretta sulla libertà personale dei provvedimenti adottabili in esito al procedimento di applicazione delle misure di sicurezza e in difetto della possibilità di svolgere in pubblica udienza la relativa procedura, per lesione dell'art. 111 comma 1 Cost. laddove è sancito che la giurisdizione si attua mediante il «giusto processo regolato dalla legge». Consequenziale e ben definito il petitum: prevedere che il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza possa avere luogo in forma pubblica, almeno su richiesta dei soggetti interessati.
2. Precisato, in via preliminare, di dover ritenere il quesito circoscritto ai soli procedimenti di sicurezza nei gradi di merito - prima istanza e appello - con esclusione dell'eventuale giudizio di cassazione (art. 666 comma 6 c.p.p.), la Consulta giudica la questione fondata in relazione ad ambedue i parametri evocati. Fulcro del percorso argomentativo è la dichiarata incompatibilità tra il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza - il cui carattere giurisdizionale, ribadisce la Corte, «non è in discussione» - e la garanzia di pubblicità delle procedure giudiziarie (art. 6, par. 1, Cedu) che, per costante giurisprudenza europea, tutela le persone soggette a giurisdizione «contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico». Vero è che deroghe al principio sono ammesse dalla stessa norma convenzionale, sia pure in casi eccezionali riconducibili inter alia al carattere altamente tecnico del contenzioso o alla protezione della vita privata delle parti in causa. Nondimeno, come ricordano i giudici costituzionali, è la stessa Corte europea a ritenere imprescindibili, nelle procedure considerate, l'entità della "posta in gioco" e gli effetti che le stesse possono produrre sulle persone; al punto che il controllo del pubblico, almeno su sollecitazione del soggetto coinvolto, può divenire condizione necessaria alla garanzia dei diritti dell'interessato.
Proprio sulla scorta di tali premesse la Corte di Strasburgo, in due specifiche occasioni indicate dal giudice rimettente e riprese quale argomento dalla sentenza in esame, ha ritenuto «essenziale» riconoscere la possibilità di richiedere la pubblica udienza alle persone soggette a talune procedure da svolgersi, secondo la legge italiana, in camera di consiglio. E' il caso del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia; sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri c. Italia), le cui previsioni (art. 4 della l. 27 dicembre 1956, n. 1423 e art. 2-ter della l. 31 maggio 1965, n. 575), successivamente, sono state dichiarate incostituzionali nella parte in cui non consentono che la procedura, su istanza degli interessati, segua le forme dell'udienza pubblica (C. cost., 12 marzo 2010, n. 93); e, più recentemente, del procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione (sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti c. Italia). E allora, osserva oggi la Consulta, se la pubblicità del giudizio rappresenta un «principio connaturato ad un ordinamento democratico», fermo restando che la norma convenzionale, nella lettura dei giudici europei, non contrasta con le tutele offerte dalla Carta fondamentale (così, C. cost., 12 marzo 2010, cit.), le medesime conclusioni devono valere per il procedimento di applicazione delle misure di sicurezza.
3. Per il giudice delle leggi, infatti, non vi è dubbio che scopo del procedimento di sicurezza è accertare la concreta pericolosità sociale del soggetto che dovrebbe essere sottoposto alla misura; contenzioso privo, quindi, del carattere altamente tecnico che consentirebbe di derogare al controllo del pubblico sull'esercizio della giurisdizione. D'altra parte, pure l'esigenza di proteggere la riservatezza delle persone coinvolte - segnatamente, del soggetto cui si riferisce il giudizio sulla personalità - perde qui rilevanza proprio perché, nella prospettiva del rimettente, è demandata al diretto interessato la scelta di richiedere la pubblica udienza. A ciò si aggiunga il tenore particolarmente elevato della "posta in gioco" nel procedimento in esame: nella generalità dei casi, la valutazione di pericolosità sociale è preliminare all'applicazione di misure di sicurezza personali, fortemente limitative per la libertà del soggetto se non addirittura, in ipotesi di misure detentive, afflittive tanto quanto le pene detentive. Ragioni tutte, secondo la pronuncia, che esaltano le esigenze di garanzia e controllo sottese al principio di pubblicità delle udienze, qui rese imprescindibili dalla diretta incidenza del provvedimento giurisdizionale su un bene primario dell'individuo quale è, per l'appunto, la libertà personale costituzionalmente protetta. Di talché - conclude la Consulta - è «indispensabile» che le persone coinvolte nel procedimento abbiano la possibilità di chiederne lo svolgimento, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme della pubblica udienza.
Questi gli argomenti da cui discende la declaratoria di incostituzionalità "convenzionale" delle norme che regolano il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza (artt. 666 comma 3, 678 comma 1 e 679 comma 1 c.p.p.): conformemente la petitum, le disposizioni sono illegittime «nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell'udienza pubblica». Pronuncia "additiva", dunque, il cui effetto immediato è l'innesto di uno schema del tutto originale nel catalogo dei procedimenti di sorveglianza normativamente previsti. Invero, al rito camerale "tradizionale" (art. 666 c.p.p.) e alla procedura de plano a contraddittorio differito (art. 667 comma 4 c.p.p.) - recentemente ridefiniti ratione materiae dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito in l. 21 febbraio 2014, n. 10 (art. 678 commi 1 e 1-bis c.p.p.) - si affianca un modulo sui generis per il procedimento di sicurezza: d'ora in avanti, in siffatto contesto, l'interessato può "aprire" la procedura camerale ordinaria alla pubblica udienza, a semplice richiesta.