ISSN 2039-1676


12 febbraio 2015 |

Le Sezioni Unite: il concomitante impegno professionale del difensore può costituire legittimo impedimento che dà  luogo ad assoluta impossibilità  a comparire

Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2014 (2 febbraio 2015), n. 4909, Pres. Santacroce, Rel. Romis, Ric. Torchio

1. Il 18 dicembre 2014 le Sezioni Unite si sono pronunciate in merito alla questione "se, ai fini della sospensione del corso della prescrizione del reato, il contemporaneo impegno professionale del difensore in altro procedimento possa integrare un caso di 'impedimento', con conseguente congelamento del termine fino ad un massimo di sessanta giorni dalla sua cessazione".

Senza deludere le aspettative il Supremo Collegio ha dato risposta affermativa al quesito, fornendo un'analisi dettagliata delle ragioni giustificatrici di tale scelta interpretativa. Prima di affrontare il cuore della problematica, è opportuno accennare in sintesi al caso concreto che ha dato origine all'intervento delle Sezioni Unite.

Il Tribunale di Asti condannava l'imputato per il reato di diffamazione. Contro tale sentenza la difesa proponeva tempestivo appello, facendo valere, tra gli altri motivi, l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Il giudice del gravame disattendeva le doglianze sollevate ed, in particolare, con riferimento alla richiesta declaratoria di improcedibilità per prescrizione, escludeva che fosse maturato il termine finale, sottolineando come il procedimento fosse stato oggetto di molteplici rinvii ottenuti dalla difesa dell'imputato. Quindi veniva proposto ricorso per Cassazione sviluppando due motivi di impugnazione per vizi di violazione di legge e di difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

Limitando l'attenzione a ciò che qui maggiormente interessa, la difesa denunciava inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 159 c.p., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Partendo dalla data di decorrenza del termine - coincidente con la data di consumazione del reato nel marzo 2006 - avrebbe dovuto tenersi conto del minore termine sospensivo di 147 giorni anziché sette mesi, con esclusione dei cinque periodi di rinvio disposti nel corso del giudizio di primo grado per impedimento del giudice, per la pendenza di trattative volte alla rimessione della querela, per omessa citazione dei testimoni da parte del Pm e per impedimento del difensore di parte civile.

Secondo la ricostruzione proposta dalla difesa, i rinvii richiesti dall'imputato erano solo tre: due rinvii per impedimento ritenuto legittimo del difensore con la conseguente applicabilità della sospensione non superiore a 60 giorni pur in presenza di un rinvio disposto per un tempo superiore, e un altro rinvio a seguito dell'adesione del difensore all'astensione dalle udienze indetta dall'Unione delle Camere Penali. In tale ultimo caso non opererebbe il meccanismo di cui all'art. 159 co. 1 n. 3 c.p.

Riscontrata l'esistenza di un contrasto interpretativo sul tema nella giurisprudenza di legittimità, la Sezione Feriale invocava con ordinanza n. 42800 del 21 agosto 2014 l'intervento dirimente delle Sezioni Unite.

 

2. In primis, occorre precisare l'essenza del problema, vale a dire se sia possibile attribuire o meno la natura di legittimo impedimento per il difensore, con connessa sua impossibilità assoluta di comparire (art. 420-ter c.p.), all'ipotesi di concomitante impegno professionale in altro procedimento. Da qui, l'applicabilità del limite temporale di 60 giorni della sospensione del decorso del termine prescrizionale di cui all'art. 159 co. 1 n. 3, secondo periodo c.p., così come modificato dalla l. 251 del 2005.

Come ampliamente evidenziato dalle Sezioni Unite, sul tema si contrappongono due differenti filoni giurisprudenziali, a seconda della qualificazione data alla natura del diritto del difensore al differimento dell'udienza nel caso di concomitante impegno professionale in altro procedimento[1].

Una parte della giurisprudenza nomofilattica[2] ritiene che il concomitante impegno professionale del difensore, benché meritevole di riconoscimento dall'ordinamento attraverso il diritto al rinvio dell'udienza, non costituisca un'ipotesi di legittimo impedimento e di impossibilità assoluta a partecipare all'attività difensiva.

L'inapplicabilità dell'art. 159 co. 1 n. 3 c.p. in tale circostanza deriverebbe dal fatto che si tratta di una istanza ricollegabile ad una scelta dello stesso difensore, per quanto legittima, non costituendo un impedimento in senso tecnico, non essendo espressione di una impossibilità assoluta e oggettivamente insuperabile a comparire.

Quindi, secondo questa interpretazione la fattispecie relativa al rinvio per concomitante impegno professionale del difensore dovrebbe essere trattata in modo conforme a quella del rinvio per astensione collettiva dalle udienze. Rispetto a questa evenienza la giurisprudenza di legittimità si è già espressa, come accennato, attribuendo al difensore un diritto costituzionalmente tutelato il cui esercizio non è tuttavia qualificabile come legittimo impedimento, ed assoluta impossibilità a comparire in udienza, con l'effetto di non consentire l'operatività del limite temporale di 60 giorni di cui all'art. 159 del codice penale.

Di contro, si pone quell'orientamento della Cassazione che riconosce al concomitante impegno professionale la natura di legittimo impedimento in tutte quelle ipotesi in cui esso sia stato tempestivamente comunicato, documentato con riferimento all'essenzialità e non sostituibilità della presenza del difensore in altro processo[3].

In presenza di tali presupposti, il giudice del processo di cui si chiede il rinvio dovrà effettuare un bilanciamento tra l'interesso difensivo e l'interesse pubblico all'immediata trattazione del procedimento, per es. imminenti cause estintive, esaurimento dei termini di fase della custodia cautelare.

Qualora il giudice, a seguito di un rigoroso vaglio, ritenesse indispensabile la presenza del difensore nell'altro procedimento, si determinerebbe una "assoluta impossibilità a comparire", con conseguente applicazione dell'art. 159 co. 1 n. 3 del codice penale[4].

Un altro argomento utilizzato per foraggiare la tesi muove dall'interpretazione delle norme che disciplinano la materia in esame, vale a dire gli artt. 159 co. 1 n. 3 c.p. e l'art. 420-ter del codice di rito[5]. Se la prima disposizione si limita ad assimilare all'impedimento dell'imputato quello del difensore, la seconda, di carattere procedimentale, dopo aver circoscritto la assoluta impossibilità a comparire dell'imputato dalle ipotesi di caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, stabilisce che il giudice provvede rinviando il dibattimento anche nel caso di assenza del difensore, quando risulta che la stessa è dovuta ad assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento purché tempestivamente comunicato.

Ora, dalla semplice lettura della norma, è evidente, dice la giurisprudenza, che se la nozione di legittimo impedimento del difensore coincidesse con quella della forza maggiore o del caso fortuito, non sarebbe sempre possibile la pronta comunicazione. Ovviamente, anche per il difensore, il rinvio può essere disposto in caso di eventi costituenti caso fortuito o forza maggiore.

A chiusura del cerchio si pone un'altra pronuncia della Cassazione[6] che mette in evidenza la sostanziale differenza tra l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze e il concomitante impegno professionale dello stesso. Infatti, "mentre è possibile sostenere che l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze proclamata dalle associazioni di categoria non configura un legittimo impedimento, in quanto il difensore può liberamente scegliere se aderirvi o meno non essendo egli impedito a comparire in un luogo piuttosto che in un altro ma manifestando la sua volontà di esercitare un diritto di libertà non presentandosi nell'unico luogo nel quale avrebbe dovuto assolvere l'attività defensionale, altrettanto non può sostenersi in relazione all'ipotesi del concorrente impegno professionale del difensore: quest'ultimo, invero, non è chiamato, se non indirettamente, a scegliere il processo cui presenziare, e dunque l'udienza alla quale comparire, ma è tenuto solo a comprovare, sul presupposto dell'oggettiva impossibilità fisica di assicurare la presenza nello stesso tempo in due luoghi diversi e tra loro incompatibili, la ragione di un impedimento assoluto, che radica anche un diritto al rinvio, alla stregua dei principi e dei criteri selettivi fissati dalle Sezioni Unite".

Non una scelta del difensore, bensì un evento esterno di carattere cogente tale da impedire in maniera assoluta al difensore di comparire in udienza al di là della sua stessa volontà.

In sostanza, il legittimo impedimento è funzionale al diritto di difesa, l'astensione collettiva dalle udienze invece costituisce esercizio di un diritto di libertà costituzionalmente collegato al diritto di associazione tutelato dall'art. 18 della Costituzione.

 

3. Posta questa premessa, è bene mettere in luce l'esito cui pervengono le Sezioni Unite, e il ragionamento sottostante. Il Collegio aderisce al secondo orientamento, sottolineando come l'elemento discrepante tra l'ipotesi del concomitante impegno professionale e l'astensione dalle udienze sia da ricercare nella sfera volitiva del difensore.

Innanzitutto la Corte ribadisce che nel caso di astensione del difensore dalle udienze il termine prescrizionale è sospeso per l'intero periodo di differimento, trattandosi di "un diritto al rinvio", nell'ambito dell'esercizio della libertà di associazione del difensore.

In tale prospettiva viene richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale, la sentenza n. 171 del 1996, che ha definito l'astensione degli avvocati come "manifestazione incisiva dalla dinamica associativa volta alla tutela di questa forma di lavoro autonomo", escludendo che possa "essere ricondotta a mera facoltà di rilievo costituzionale", rientrando piuttosto nell'alveo dei diritti "di libertà dei singoli e dei gruppi che ispira l'intera prima parte della Costituzione".

Così, le Sezioni Unite con sentenza n. 26722 del 2013 sottolineano che l'adesione all'astensione di categoria è un "diritto, e non semplicemente un legittimo impedimento partecipativo".

Focalizzando l'attenzione sul concomitante impegno professionale, il Collegio parte ad esaminare il presupposto dal quale la circostanza deriva, ossia la fissazione dell'udienza di due distinti procedimenti per la medesima data.

Ecco che rispetto a tale accadimento, il difensore che si trova impegnato in entrambi i procedimenti ha "una posizione assolutamente neutra, non potendo certo egli orientare i giudici dei due diversi procedimenti a rinviare l'udienza alla stessa data: l'individuazione da parte del giudice della data cui rinviare l'udienza, dipende, ovviamente, dalla datura del processo, dalle esigenze di urgenza dello stesso e dall'organizzazione dell'ufficio cui il giudice appartiene".

Di qui, l'estraneità del difensore rispetto al presupposto anzidetto.

Non solo. Soccorre in tale direzione anche la ratio posta a fondamento del novellato art. 159 co. 1 n. 3, secondo periodo c.p., come traspare dai lavori parlamentari della legge n. 251 del 2005. L'obiettivo dell'intervento normativo su tale disposizione è nel senso di superare una "prassi degenerativa da lungo tempo instauratasi nei nostri tribunali per la quale, a fronte di un impedimento di un giorno, si rinvia di un anno la prescrizione, arrecando grave danno e lesione ai diritti degli imputati", di dare "ai magistrati [...] un paletto di riferimento congruo dal punto di vista della possibilità del rinvio, ma certamente non tale da consentire loro scelte arbitrarie o eccessivamente discrezionali".

In conclusione, la Corte precisa che non è la mera concomitanza di impegni professionali ad integrare un legittimo impedimento - altrimenti verrebbe attribuita al difensore la scelta arbitraria di quale dei due procedimenti privilegiare -, quanto piuttosto la condizione obiettiva, scrutinata dal giudice, di impossibilità assoluta di prestare la propria opera in una sede processuale, perché "'compromessa' da un concomitante e (in quel momento) 'prevalente' impegno difensivo".

Così premesso, le Sezioni Unite enucleano il principio che fornisce risposta al quesito originario: "L'impegno professionale del difensore in un altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell'art. 420-ter, comma 5, c.p.p., a condizione che il difensore prospetti l'impedimento appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo e rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato, nonché l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio; con conseguente congelamento del termine fino ad un massimo di sessanta giorni dalla cessazione dell'impedimento stesso".

In definitiva, date le condizioni indicate, la decisione ultima spetterà rigorosamente al giudice.

 

4. Alla luce della lettura fornita dalle Sezioni Unite, si può avanzare una breve riflessione conclusiva.

E' noto a tutti che la materia della prescrizione del reato è tanto cara al legislatore, tanto da indurlo ad intervenire più volte nella disciplina codicistica. Non da ultimo il disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati il 23 Dicembre 2014.

Anche la giurisprudenza si è trovata ad affrontare molteplici diatribe giuridiche, sollevando talvolta l'intervento delle Sezioni Unite. Tuttavia in questa occasione la risposta del Collegio si è rivelata puntuale ed appropriata, sciogliendo ogni dubbio in merito alla natura del concomitante impegno professionale del difensore quale legittimo impedimento ai sensi dell'art. 159 del codice penale.

In definitiva la decisione in commento si pone in linea con la ratio dell'art. 159 c.p., che intende coniugare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo con l'esigenza di garantire l'accertamento della verità processuale anche di fronte ad un "blocco forzato" del processo dovuto a cause estranee al sistema giudiziario e prevedibilmente destinato a risolversi in tempi adeguati[7].

 


[1] Per un approfondimento sul punto si veda il commento sull'ordinanza di rimessione pubblicato in questa rivista.

[2] In questo senso cfr. Cass., Sez. I, 14 ottobre 2008, n. 44609; Cass., Sez. II, 29 marzo 2011, n. 17344, che ha affermato "a detta conclusione si deve giungere in considerazione dell'interpretazione del novellato art. 159, primo comma, n. 3, cod. pen. - quale elaborata dalla giurisprudenza di legittimità -per cui la sospensione del termine di prescrizione del reato a seguito della sospensione del processo è limitata al periodo di sessanta giorni, oltre al tempo dell'impedimento, esclusivamente nel caso in cui venga disposto il rinvio dell'udienza per impedimento di una delle parti o di uno dei difensori, ma non anche in caso di rinvio conseguente a richiesta dell'imputato o del suo difensore". Su questa scia, anche se con riferimento alla diversa fattispecie della richiesta di rinvio motivata dall'adesione del difensore all'agitazione della categoria professionale, si veda: Cass., Sez. I, 11 febbraio 2009, n 5956, Cass., Sez. V, 23 aprile 2008, n. 33335; Cass., Sez III, 28 gennaio 2008, n. 4071; Cass., Sez. V, 14 novembre 2007 n. 44924.

[3] Cfr. Cass., Sez. III, 3 marzo 2009, n. 17218; Cass., Sez. III, 6 marzo 2007 n. 13766.

[4] In questa direzione: Cass., Sez. IV, 18 dicembre 2013 n. 10926. A conferma di questa interpretazione vi è anche una pronuncia delle Sezioni Unite, in cui si afferma che "perché l'impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell'art. 486, co. 5 c.p.p. è necessario che il difensore prospetti l'impedimento e chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni e che non si limiti a comunicare e documentare l'esistenza di un contemporaneo impegno professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell'attività a cui deve presenziare, l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato, l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui si intende partecipare sia in quello di cui si chiede il rinvio. Il giudice di quest'ultimo processo deve valutare accuratamente, bilanciando le esigenze di difesa dell'imputato da un lato e quelle di affermazione del diritto e della giustizia dall'altro, le documentate deduzioni difensive, anche alla luce delle eventuali necessità di un rapido esaurimento della procedura trattata, per accertare che l'impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie o non possa nuocere all'attuazione della giustizia nel caso in esame. Il provvedimento di accoglimento o di reiezione dell'istanza deve essere conseguentemente motivato secondo criteri di logicità" (Cass., Sez. Un., 27 marzo 1992, n. 4708).

[5] Si veda sempre Cass., Sez. IV, 18 dicembre 2013 n. 10926.

[6] Cfr. Cass., Sez. III, 7 maggio 2014 n. 37171.

[7] Sul punto si veda: Trib. Milano, ord. 21 marzo 2013, Pres. Mannucci Pacini, Rel. Freddi, Imp. De Florio commentata in questa Rivista. Con particolare riferimento alla sospensione della prescrizione e la capacità di partecipare coscientemente al processo cfr. O. Mazza, L'irragionevole limbo processuale degli imputati "eterni giudicabili" (nota a C. Cost. 14 febbraio 2013, n. 23), in Giur. Cost., fasc. 1, 2013, p. 384; L. Scomparin, Prescrizione del reato e capacità di partecipare coscientemente al processo: nuovamente "sub iudice" la disciplina degli "eterni giudicabili" (nota a sent. C. Cost. 14 febbraio 2013, n. 23), in Cass. pen., fasc. 5, 2013, p. 1826.