ISSN 2039-1676


04 novembre 2013 |

Gli "eterni giudicabili": di nuovo alla Consulta il problema della sospensione del processo e della prescrizione nei casi di capacità  processuale esclusa da infermità  mentale irreversibile

Trib. Milano, ord. 21 marzo 2013, Pres. Mannucci Pacini, Rel. Freddi, imp. De Florio

Non è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24, 27, terzo comma, e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 159 c.p. nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione anche in presenza delle condizioni di cui agli artt. 71 e 72 c.p.p., quando sia accertata l'irreversibile incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo.


1. Era nell'aria. La Corte costituzionale, occupatasi in altre circostanze in passato degli "eterni giudicabili", da ultimo, con sentenza 14 febbraio 2013, n. 23 (in questa Rivista, con commento di G. Leo, Il problema dell'incapace «eternamente giudicabile»: un severo monito della Corte costituzionale al legislatore), aveva non solo rivolto un pressante invito al legislatore, ma inviato anche un non equivocabile messaggio ai giudici, anticipando che, alla prima occasione utile, avrebbe potuto dichiarare l'incostituzionalità di un sistema "perverso" che - come già unanimemente sottolineato in dottrina[1] - istituzionalizza un inutile calvario a carico di persone non in grado, o non più in grado, di prendere parte consapevolmente a un processo penale, creando un mostruoso "processo interminabile".

L'occasione è stata colta dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in rassegna, che scandaglia analiticamente tutti i profili di frizione tra il sistema previsto dal codice e i vari principi costituzionali coinvolti, così come letti progressivamente dal giudice delle leggi, fino all'ultima pronuncia.

I giudici milanesi premettono che la ratio della prescrizione del reato è collegata al principio di ragionevole durata del processo e alla necessità che il potere punitivo dello Stato sia fatto valere finché dura l'allarme sociale per il fatto e finché la pena possa svolgere la sua funzione retributivo-rieducativa; mentre quella della sospensione del suo corso risponde all'esigenza di consentire l'accertamento della verità pur dinanzi a un "blocco forzato" del processo dovuto a cause estranee al sistema giudiziario e prevedibilmente destinato a risolversi in tempi ragionevoli.

Se, dunque, date queste premesse, in casi del genere il giudizio viene coerentemente sospeso per una durata ragionevole, non può più essere così quando, invece, appare infausta la prognosi di risoluzione in tempi certi dell'impedimento, per essere quest'ultimo definitivo e irreversibile, sì da determinare l'incapacità dell'imputato di partecipare consapevolmente al processo (in ipotesi, per sempre); ecco perché un'identica disciplina a fronte di situazioni profondamente diverse presta inevitabilmente il fianco a sospetto di incostituzionalità per irragionevole disparità di trattamento.

Non solo: una sospensione del processo potenzialmente sine die, alla quale si accompagni la sospensione dei termini di prescrizione, può costituire un vulnus irrimediabile al diritto di difesa dell'imputato, che verrebbe a trovarsi nella condizione di "eterno giudicabile", con la conseguenza che, ove mai si modificassero le sue condizioni o sopravvenissero progressi scientifici idonei a consentirgli una partecipazione cosciente al processo (magari a distanza di anni), non riuscirebbe più a difendersi adeguatamente.

In più, una pena inflitta all'esito di un processo svolto a considerevole distanza di tempo dai fatti ben difficilmente potrebbe svolgere la funzione rieducativa assegnatale dalla Costituzione.

Infine, un simile assetto legislativo appare decisamente in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo, sia sul piano oggettivo del buon andamento dell'amministrazione della giustizia, con la connessa necessità di evitare giudizi diluiti nel tempo in modo abnorme, sia su quello soggettivo, in relazione al diritto dell'imputato ad essere giudicato in un tempo ragionevole, secondo il modulo fissato nell'art. 6 della CEDU.

Non poteva essere più puntuale e appropriata la decisione del tribunale milanese; e si tratta di una scelta quanto mai provvidenziale, anche perché nella giurisprudenza della Corte di cassazione, fin nelle ultime pronunce, si registra una sostanziale indifferenza al problema: a titolo di esempio basta segnalare che Cass., sez. V, 16 gennaio 2013, n. 9383, inedita, quantunque resa prima della sentenza n. 23 del 2013 della Corte costituzionale, mostra, nella motivazione depositata successivamente ad essa, di non ignorarne il contenuto, e pur tuttavia resta rigorosamente fedele al dettato legislativo. Di conseguenza, «una volta accertata l'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve disporre, ai sensi dell'art. 71 c.p.p., la sospensione del processo, sempre che l'imputato non debba essere prosciolto o non debba essere pronunziata per altre ragioni sentenza di non doversi procedere» e non può, quindi, dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale (come nella specie deciso dal giudice di merito): e ciò sul rilievo che la relativa previsione rientra nella sfera della valutazione politica del legislatore, implicando eccezioni al principio generale di procedibilità.

Una Corte, dunque, insensibile ai profili, pur posti in evidenza dal giudice delle leggi nel suo monito al legislatore, di sospetta incostituzionalità dell'attuale assetto normativo e addirittura incline a utilizzare il dispositivo dell'ultima sentenza della Consulta per inferirne l'inammissibilità della questione di costituzionalità, senza preoccuparsi di guardare al senso generale di essa.

 

2. Ma detto ciò, e nella pur auspicabile evenienza di una declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 159 c.p. - che ovviamente richiede una previa valutazione di sufficiente motivazione di rilevanza della questione, sulla cui sussistenza, anche per la complessità di lettura delle varie cadenze processuali e della esatta identificazione dei periodi di sospensione, nonché dei titoli di essa, non è agevole trarre conseguenze certe - va anche aggiunto che si aprirebbe inevitabilmente un ulteriore problema.

Vi aveva accennato la stessa Corte costituzionale nella sentenza 14 febbraio 2013, n. 23, là dove, prima di concludere affermando che non sarebbe stato tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al grave problema posto dall'ordinanza di rimessione, aveva anche segnalato come esso non potesse essere risolto «da questa Corte, giacché non è ravvisabile nella fattispecie una conclusione costituzionalmente obbligata».

È solo apparente la contraddizione tra le due affermazioni.

La Corte sembra annunciare un prossimo accoglimento della questione nel perdurare dell'inerzia legislativa. Non si nasconde, però, che questa evenienza farebbe solo cadere il venir meno della sospensione della prescrizione in collegamento con la sospensione del processo per l'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente ad esso, ma non risolverebbe il problema "vero" sottostante. Che è quello dell'eventuale venir meno - posto che le scienze mediche non sono infallibili o che comunque i progressi scientifici potrebbero consentire di superare una già diagnosticata incapacità - dell'irreversibilità della condizione ostativa alla partecipazione consapevole dell'imputato al processo e dell'eventuale interesse di quest'ultimo a difendersi nel modo migliore, anche tenuto conto del tempo trascorso dalla commissione del fatto.

È evidente che questo è un problema di esclusiva pertinenza del legislatore, non essendovi soluzioni costituzionalmente obbligate (varie ipotesi sono state formulate in dottrina e ad alcune di esse accenna anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 23 del 2013). Quella della «impromovibilità o improcedibilità dell'azione penale con possibilità di revoca nel caso in cui, prima della maturazione dei termini prescrizionali, tale prognosi (scil.: di incapacità) fosse smentita» sembra la soluzione migliore, ma lascerebbe comunque irrisolto il caso della maturazione dei termini di prescrizione dichiarata con sentenza divenuta irrevocabile.

Quid iuris se essa fosse considerata ingiusta dal prosciolto il quale ben avrebbe potuto, illo tempore, se non impedito, far valere più favorevoli, e prevalenti, cause di proscioglimento (nel merito, naturalmente, dell'imputazione contestata)?

Allo stato della legislazione vigente, nessun rimedio sembra esperibile. Non la revisione, concepita solo per il condannato che voglia far valere l'innocenza e miri ad ottenere dunque una sentenza di assoluzione nel merito dopo una condanna (e qui una condanna non c'è; giurisprudenza pacifica sul punto della inutilizzabilità della revisione per giudicati dichiarativi dell'estinzione del reato[2]); non la riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p., che è rimedio esclusivo per gli errori di fatto incorsi nel giudizio di legittimità (mentre qui non vi sarebbe errore di fatto e la pronuncia apparterrebbe al giudizio di merito).

Anche questo è un problema che spetterà al legislatore affrontare, all'esito di un'eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale e nel quadro di un riassetto generale dell'incapacità processuale.

È difficile dire se oggi non sia eccessivamente ottimistico pensare che ciò accada, considerati i precedenti. Ma spes ultima dea; e mai come in questo caso un intervento legislativo sembra indispensabile se non si vuole lasciare che la disciplina conseguente a una declaratoria di incostituzionalità in parte qua dell'art. 159 c.p. si presenti monca e complessivamente inidonea a rispondere ad ogni istanza di giustizia di chi, privo della capacità di partecipare coscientemente al processo, l'abbia in itinere recuperata.

 

3. Quando queste brevi note erano state estese e prossime alla pubblicazione, è stata depositata l'ordinanza n. 243 del 2013 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Terni in riferimento agli articoli 3, 97 e 111, secondo comma, della Costituzione, degli artt. 70 e 71 c.p.p., nella parte in cui non comprendono, nella disciplina della sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, il caso di persone che siano assolutamente impossibilitate a comparire nel giudizio per infermità non riguardanti lo stato mentale.

Sia chiaro. Questo provvedimento, di per sé, non tocca il problema sollevato con l'ordinanza in esame. Ma può essere considerato, se letto in filigrana, un tassello ulteriore sulla strada dell'accoglimento della questione prospettata.

Nel caso esaminato dalla Consulta il giudice a quo assumeva di aver dovuto più volte disporre il rinvio dell'udienza a causa del reiterato impedimento a comparire dell'imputato, in età molto avanzata e affetto da una grave patologia cardiaca che non ne consentiva la partecipazione al dibattimento se non alla duplice condizione della presenza di un medico specialista e con trasporto in autoambulanza, aggiungendo che, nelle more dell'ulteriore udienza di rinvio, si era dovuto provvedere a ricovero ospedaliero.

Aveva concluso che in tale situazione, non essendo agevole prevedere durata e addirittura reversibilità dell'impedimento, grave appariva il rischio del perpetuarsi a tempo indeterminato di una situazione pregiudizievole al buon andamento del servizio e lesiva del principio della ragionevole durata del processo, e aveva perciò invocato un'estensione al caso sottoposto al suo esame della disciplina degli artt. 70 e 71 c.p.p., che prevedono sospensione del procedimento e verifica semestrale delle condizioni di salute dell'imputato affetto da infermità psichica e incapace di partecipare consapevolmente al processo.

«Soluzione ragionevole», quest'ultima, secondo il Tribunale; «soluzione non praticabile», ha risposto la Corte, che ha richiamato i suoi precedenti in proposito, attestati sulla non sovrapponibilità delle situazioni poste a raffronto, dal momento che nel caso della patologia non psichica non necessariamente risulta precluso all'imputato l'esercizio di diritti diversi dalla personale partecipazione al giudizio.

La Corte ha anche sottolineato che «l'attuale disciplina dell'impedimento, già fondata sulla sospensione del processo (e dei termini prescrizionali) per un periodo di durata circoscritta (sessanta giorni, oltre il tempo di durata dell'infermità), assicura un bilanciamento non manifestamente irragionevole tra le esigenze di celerità del procedimento e la imprescindibile garanzia del diritto di difesa, favorendo una più celere reazione al superamento della situazione patologica, attraverso accertamenti non vincolati nella forma ed attivati solo in caso di allegazione del perdurante impedimento nell'udienza di rinvio». Non senza aggiungere che, proprio per questo aspetto, non può ritenersi fondata la censura prospettata per violazione della ragionevole durata del processo, essendo addirittura in contrasto con l'esigenza di contenimento dei tempi processuali l'introduzione di una nuova causa di sospensione del giudizio che, in quanto tale, comporterebbe sospensione dei termini di prescrizione e aprirebbe quindi un processo destinato a concludersi presumibilmente con la morte dell'imputato.

È, però, quando la Corte aggiunge in assenza della stringente necessità di salvaguardare interessi contrapposti che si comprende come idealmente essa, lungo la linea di pensiero espressa nella sentenza n. 23 del 2013, sembri guardare più lontano, e sostanzialmente prefigurarsi l'eventualità del protrarsi dell'inerzia del legislatore in materia e prendere in considerazione la conseguente possibilità di un suo intervento necessitato dall'esigenza di tutelare una serie di diritti dell'imputato altrimenti destinati ad essere ancora oggetto di pregiudizio.

Detto in altri termini, sullo scorcio pare di intravedere qualche atout supplementare all'ipotesi di una declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 159 c.p. nei termini già da essa annunciati in febbraio e ora prospettati dal Tribunale di Milano.

 

 

 


[1] Oltre al citato contributo di Leo, si vedano, tra i più recenti, quelli di M.L. Scomparin, Sospensione del processo per incapacità irreversibile dell'imputato: una normativa suscettibile di perfezionamenti, nuovamente "salvata" dalla Corte costituzionale (nota a Corte cost., 4 novembre 2011 n. 289), in Cass. pen., 2011, p. 949 segg., nonché Prescrizione del reato e capacità di partecipare coscientemente al processo: nuovamente sub iudice la disciplina degli eterni giudicabili (nota a Corte cost., 14 febbraio 2013 n. 23), ivi, 2013, p. 1826 segg.,  e di S. Lonati, Sulla disciplina normativa degli «eterni giudicabili» è il legislatore che può e deve intervenire (nota a Corte cost., 4 novembre 2011 n. 289), in Giur. cost., 2013, p. 239 segg.

[2] Si vedano, per tutte, Cass., sez. V, 2 dicembre 2010, n. 2393/2011, in C.e.d. Cass., n. 249781; Cass., sez. III, 3 marzo 2011, n. 24155, ivi, n. 250631.