ISSN 2039-1676


29 maggio 2015 |

Danno e pericolo nella bancarotta cd. "riparata"

Cass., Sez. V, 22 ottobre 2014 (dep. 13 febbraio 2015), n. 6408, Pres. Ferrua, Rel. Guardiano

 

1. La sentenza in analisi costituisce un recentissimo arresto della Cassazione in tema di bancarotta c.d. 'riparata'.

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, l'imputato era stato condannato in primo ed in secondo grado per bancarotta fraudolenta per dissipazione, consistita nell'aver utilizzato - in qualità di amministratore della società poi fallita - parte dei proventi derivanti dalla cessione di un cespite aziendale per scopi extrasociali.

Avverso la condanna d'appello l'imputato ricorre in Cassazione lamentando una serie di vizi di motivazione della sentenza impugnata, che non aveva preso posizione su alcuni punti fondamentali della controversia, fra i quali l'assunto difensivo circa il fatto che in un periodo intermedio fra le ipotizzate condotte dissipative ed il fallimento della società i soci avevano effettuato alcune operazioni idonee ad elidere ogni effetto pregiudizievole delle contestate condotte di bancarotta.

In particolare, in seguito alla contestata dissipazione dei beni sociali, la società beneficiava di alcuni aumenti di capitale sociale il cui effetto, anche secondo la decisione di primo grado, era di impedire una diretta incidenza delle operazioni illecite sullo stato di insolvenza produttivo del fallimento, verificatosi alcuni anni dopo.

La Cassazione, accogliendo il ricorso, annulla con rinvio la sentenza impugnata per non aver adeguatamente motivato in che termini le operazioni restitutorie non potevano essere considerate idonee ad escludere la condotta illecita.

 

2. La sentenza che qui si segnala ribadisce il principio della irrilevanza penale della bancarotta riparata: «non integra fatto punibile come bancarotta per distrazione la condotta ancorché fraudolenta, la cui portata pregiudizievole risulti annullata per effetto di un atto o di un'attività di segno inverso, capace di reintegrare il patrimonio della fallita prima della soglia cronologica costituita dall'apertura della procedura, quantomeno, prima dell'insorgenza della situazione di dissesto produttiva del fallimento». Secondo la Corte il pregiudizio derivante dalla condotta illecita «deve sussistere al momento della dichiarazione giudiziale di fallimento (...) non già al momento della commissione dell'atto antidoveroso».

La Cassazione si è ripetutamente espressa nel senso della non configurabilità del delitto di bancarotta nel caso in cui il pregiudizio al patrimonio dell'impresa sia eliso da un comportamento di segno opposto che reintegri la funzione di garanzia patrimoniale prima del sorgere dei sintomi dell'insolvenza[1]. Simile principio appare di stampo sicuramente garantista: qualsiasi vulnus alla funzione di garanzia del patrimonio diventa irrilevante dal punto di vista della bancarotta a patto che il riequilibrio del livello patrimoniale avvenga prima dello stato di dissesto destinato a sfociare nel fallimento. In quest'ottica, la regola della bancarotta riparata appare addirittura derogare (in senso favorevole al reo) l'istituto della desistenza volontaria che, come è noto, richiede che l'attività esecutiva non sia stata portata a termine dall'agente.

Tuttavia, l'orientamento della Cassazione non appare privo di aspetti problematici derivanti dalle implicazioni sistematiche del principio enunciato con gli altri punti fermi raggiunti dalla giurisprudenza in tema di bancarotta.

 

3. Un rilevante problema si pone riguardo all'assunto concernente il momento in cui si deve valutare il pregiudizio derivante dalla condotta bancarottiera.

Come già anticipato, la sentenza in analisi ribadisce l'orientamento consolidato circa il fatto che gli effetti pregiudizievoli della condotta di bancarotta debbano essere valutati al momento della dichiarazione giudiziale di insolvenza.

Secondo il costante insegnamento della Cassazione la bancarotta fraudolenta è un reato di pericolo: non è necessario che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la probabilità di lesione del bene giuridico derivante dal fatto illecito[2].

Si tratta di un pericolo concreto[3], che deve essere valutato dal giudice in relazione al singolo caso in termini di idoneità della condotta a recare pregiudizio ai creditori che non potranno contare sul patrimonio dell'impresa come garanzia delle proprie pretese.

Seguendo gli insegnamenti della Cassazione in tema di bancarotta riparata, il momento in cui valutare il pregiudizio della condotta sarebbe coincidente con la dichiarazione di apertura della procedura concorsuale, che può intervenire anche a notevole distanza cronologica dall'insorgenza della situazione di scompenso patrimoniale dell'impresa o, addirittura, dal manifestarsi di una vera e propria insolvenza.

Il che, a ben vedere, equivale a fissare il momento di valutazione del pericolo ad uno stadio in cui l'esito della situazione pericolosa si è già manifestato nella lesione del bene protetto o, in presenza di condotte restitutorie, nella completa inoffensività delle precedenti distrazioni.

Infatti, con la dichiarazione di fallimento si cristallizza lo stato di insolvenza dell'impresa il cui patrimonio ha perso la funzione di garanzia per i creditori, posto che la stessa non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Pertanto, se il patrimonio che costituisce l'attivo fallimentare si presenta menomato di alcune sue componenti in ragione di precedenti distrazioni si avrà una sicura lesione del bene protetto dalla bancarotta patrimoniale; al contrario, se l'attivo fallimentare si presenta reintegrato di quanto precedentemente distratto non vi è che constatare l'assenza di lesione al bene protetto.

In sostanza, attraverso un giudizio di pericolo non ex ante, ma riportato al momento in cui l'epilogo della condotta si è manifestato, la Cassazione, con la sentenza in discussione, replica i contenuti essenziali di un giudizio sulla (in)sussistenza di lesione; in questo modo la soglia dell'offensività della bancarotta - ma solo di quella "riparata" - si eleva dalla messa in pericolo raggiungendo il danno.

Diverse conclusioni circa il momento di valutazione del pericolo si dovrebbero tuttavia raggiungere seguendo un costante insegnamento, sia dottrinale che giurisprudenziale, circa il momento di valutazione della pericolosità di un reato, che si effettua con un giudizio ex ante riferito al momento in cui viene posta in essere la condotta pericolosa oppure, nei reati di evento di pericolo, a quello in cui si verifica - o perdura - l'evento pericoloso[4].

A questo proposito, però, appare evidente come la struttura del giudizio di pericolo (e lo speculare accertamento dell'esistenza di una bancarotta riparata) assuma struttura differente a seconda che si consideri la bancarotta come reato di evento (di pericolo) o di mera condotta.

 

4. Nel primo caso, la valutazione della potenziale offensività dei comportamenti depauperatori dovrebbe essere effettuata al più tardi al momento in cui permane l'evento pericoloso dello squilibrio fra attività e passività, aderendo alla corrente di pensiero che individua tale accadimento come evento naturalistico del reato di bancarotta[5].

Accedendo alla formulazione del giudizio di pericolo che ha riscosso ampi consensi in dottrina[6] si dovrebbe valutare la probabilità di lesione del fatto di bancarotta riportandosi al momento in cui perdura l'evento cagionato dalla condotta (la situazione di squilibrio patrimoniale), escluso l'epilogo che, per definizione, è rappresentato dalla sentenza di falliment[7].

Pertanto, se durante la fase di squilibrio patrimoniale antecedente il fallimento o l'insolvenza intervenisse un comportamento restitutorio del soggetto attivo idoneo ad annullare il decremento del livello di garanzia patrimoniale provocato dalla condotta bancarottiera, non si dovrebbe ritenere che il bene giuridico abbia corso un pericolo concreto imputabile all'ipotizzato fatto illecito[8].

Di conseguenza, a condizione che la bancarotta sia completamente riparata, il persistere della situazione di scompenso - malgrado la condotta restitutoria - sarebbe del tutto svincolato dalle condotte illecite astrattamente tipiche, bensì attribuibile ad altri fattori estranei al giudizio di responsabilità penale.

Quanto agli effetti pratici dell'anticipazione del giudizio di pericolo alla fase anteriore all'emissione della sentenza dichiarativa di fallimento, sembra che l'impostazione qui proposta non sia idonea a condurre l'interprete verso conclusioni radicalmente opposte rispetto alle ipotesi di 'riparazione' della bancarotta valutate in base ai criteri forniti dalla sentenza in esame.

Potrebbero però aversi casi in cui la condotta restitutoria sia attuata in un momento in cui l'epilogo fallimentare, pur non essendo ancora formalizzato in una decisione giudiziale, è già manifesto: ad esempio nel periodo, a volte non breve, intercorrente fra la presentazione dell'istanza di fallimento e la successiva decisione del Tribunale fallimentare[9].

In questi frangenti, seguendo i canoni del giudizio di pericolo ex ante, le eventuali condotte restitutorie non dovrebbero possedere alcuna efficacia nell'escludere la tipicità della bancarotta.

 

5. Tuttavia, deve essere segnalato che - soprattutto in dottrina[10] - si dubita che nel tipo della bancarotta patrimoniale possa essere rintracciato un evento in senso naturalistico, inteso come modificazione empiricamente rilevabile della realtà materiale, distinguibile dalla condotta e ad essa posteriore.

Seguendo questa impostazione si dovrebbe concludere nel senso dell'inefficacia delle condotte restitutorie sull'integrazione del reato di bancarotta: il giudizio di sussistenza del pericolo per il bene protetto dovrebbe avvenire al momento della realizzazione della condotta bancarottiera; di conseguenza, gli effetti della restituzione di quanto illecitamente estromesso dal patrimonio dell'impresa sarebbero estranei alla valutazione del giudice e, quindi, del tutto privi di efficacia nell'escludere la sussistenza della bancarotta[11].

Si avrebbe, quindi, una situazione in cui il pericolo di lesione del bene giuridico non deve necessariamente permanere sino al momento precedente l'epilogo fallimentare dell'impresa, essendo sufficiente che lo stesso innervi la condotta tipica realizzata.

Sono evidenti, in questo caso, i riflessi problematici in tema di offensività, in quanto il giudizio di pericolo potrebbe essere relativo a condotte di molto anteriori rispetto all'insorgenza dell'insolvenza fallimentare, che potrebbe essere dovuta, in ipotesi, a cause del tutto diverse dallo squilibrio patrimoniale indotto da quei fatti astrattamente configurabili come conformi al tipo di bancarotta[12].

 

6. Autorevole dottrina ha proposto una 'sistemazione' teorica della bancarotta riparata che ha il merito di evitare i problemi posti dalla pregiudiziale analisi sulla natura di reato d'evento o di mera condotta della bancarotta patrimoniale.

In estrema sintesi, si sostiene che la situazione di pericolo per il bene protetto debba essere sussistente anche al momento in cui si avvera la condizione obiettiva di punibilità rappresentata dal fallimento. Secondo questa tesi, ai soli fini della punibilità, sarà necessario che il giudizio originario di probabilità di lesione sia presente anche al momento della dichiarazione di fallimento; dall'area della punibilità saranno pertanto escluse «sebbene in sé tipiche, le condotte la cui pericolosità concreta possa ritenersi riassorbita prima della crisi terminale»[13]. Tramite l'estensione della valenza cronologica della condizione obiettiva di punibilità alle sole condotte pericolose sia illo tempore sia al momento del fallimento si giunge, inoltre, ad un «equo contenimento della repressione, evitando di risalire indefinitamente nella ricerca di episodi riconducibili alla tipologia della bancarotta»[14].

Questa soluzione, che scongiura la possibile paralisi dell'istituto della bancarotta riparata, è tuttavia preclusa alla giurisprudenza, che ha costantemente negato che la sentenza dichiarativa di fallimento sia da catalogare nell'ambito delle condizioni obiettive di punibilità, ritenendola un elemento della fattispecie.

Anche in ragione delle problematiche sopra evidenziate in merito alla configurabilità della bancarotta riparata, sembra che, come auspicato da autorevole dottrina[15], possa essere giunto il momento per superare le diffidenze giurisprudenziali in merito alla natura di condizione obiettiva di punibilità della sentenza dichiarativa di fallimento. Anche perché l'accoglimento da parte della giurisprudenza di una simile concezione non sembra poter pregiudicare le rationes di politica giudiziaria che - probabilmente - sottostanno all'orientamento oggi prevalente[16].

 


[1] In questi temini: Cass. pen., sez. V, 26.9.1990 n. 15850, rv 185892; Cass. pen., sez. V, 26.1.2006 n. 7212, rv 233604; Cass. pen., sez. V, 19.12.2006 n. 3622, rv 236051; Cass. pen., sez. V, 21.9.2007 n. 39043, rv 238212; Cass. pen., sez.  V, 3.2.2011 n. 8402, rv 249721; Cass. pen., sez. V, 23.4.2013 n. 28514, rv 255576 e - nel periodo interceorrente fra l'udienza ed il deposito della sentenza in analisi - Cass. pen., sez. V, 4.11.2014 n. 52077, rv 261347. Per un riepilogo delle varie posizioni dottrinali, spesso critiche verso questa figura, v. A. Perini - D. Dawan, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, 62  ss.

[2] V., di recente, Cass. pen., sez. V, 8.02.2012 n. 11633, rv 252307.

[3] In questo senso, v., da ultimo, Cass. pen., sez. V, 15.5.2014 n. 40981, rv 261367; Cass. pen., sez. feriale, 10.9.2013 n. 41665, rv 257231. In aggiunta, la stessa ammissibilità da parte della giurisprudenza della figura della bancarotta riparata costituisce necessariamente conferma implicita della natura concreta del pericolo di lesione in queste tipologie di reati.

[4] In dottrina v., per tutti, F. Angioni, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie, Milano, 1994, 195 ss. (che distingue ulteriori categorie compresa quella dell'evento di pericolo) e M. Parodi Giusino, I reati di pericolo fra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990, 367 ss. In giurisprudenza v., di recente, Cass. pen., sez. V, 20.6.2012 n. 40393, rv 253360 in tema di manipolazione del mercato (caso FIAT).

[5] C. Pedrazzi, sub art. 216, in Commentario alla legge fallimentare Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Roma-Bologna, 1995, 69 ss. Per una diversa tesi, che identifica l'evento naturalistico nella lesione della garanzia, v. A. Perini - D. Dawan, La bancarotta fraudolenta, cit., 154 ss.

[6] Ex ante e a base totale, cfr. G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale, Milano, 2012, 208 ss. e F. Angioni, Il pericolo concreto, cit., 200 ss.

[7] È infatti necessaria una sentenza dichiarativa di fallimento per rendere applicabili le norme in tema di bancarotta.

[8] Al medesimo risultato si arriverebbe utilizzando il diverso modello di accertamento del pericolo proposto da Parodi Giusino (v. I reati di pericolo, cit., 355 ss., spec. 368) il quale ritiene che il giudizio debba essere ex ante, ma a base parziale e che, nei reati ad evento pericoloso, non debbano essere considerati gli eventi imprevedibili che fondano il pericolo, ma solo quelli - del pari imprevedibili - che lo escludono; applicando questo metro di giudizio al caso della bancarotta riparata si perverrebbe alla conclusione che la restitutio in integrum, seppure imprevedibile al momento della condotta e dell'evento di squilibrio patrimoniale, sia  del tutto idonea a disinnescare il pericolo causato dal precedente fatto conforme al tipo, escludendo ogni profilo di offensività.

[9] Oppure nel caso di condotte riparatorie che avvengono nel periodo intercorrente fra l'inizio di una delle procedure di soluzione concordata o unilaterale della crisi (accordi di ristrutturazione, piani di risanamento, ecc.) e la successiva sentenza di fallimento nella misura in cui quest'ultima stabilisca che il piano o l'accordo erano inidoinei ex tunc.

[10] V., ad es., L. Conti, I reati fallimentari, Torino, 1991, 101 ss. In giurisprudenza v. Cass. pen., sez. V, 8.04.1988 n. 6992, rv. 178604; per un'ipotesi di pronuncia di merito che ha qualificato la bancarotta patrimoniale come reato di mera condotta v. A. Perini - D. Dawan, La bancarotta fraudolenta, cit., 153.

[11] Coerentemente, lo stesso Autore citato alla nota precedente esclude che qualsiasi effetto alla bancarotta riparata (cfr. L. Conti, I reati fallimentari, cit., 158 ss).

[12] Questa, si ritiene, è l'ipotesi affrontata dalla Cassazione nella controversa sentenza Ravenna Calcio (Cass. pen., Sez. V, 24.9.2012, n. 47502, in questa Rivista con note di F. Viganò e F. D'Alessandro).

[13] C. Pedrazzi, sub art. 216, cit., 72; cfr. anche  24 ss. In senso analogo, P. Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, 43 ss.

[14] C. Pedrazzi, sub art. 216, cit., 25.

[15] Cfr. F. Mucciarelli, Sentenza dichiarativa di fallimento e bancarotta: davvero incolmabile il divario fra teoria e prassi?, in questa Rivista, 23.2.2015, 2 ss.

[16] Sul tema v., nuovamente, F. Mucciarelli, Sentenza dichiarativa di fallimento e bancarotta, cit., 17 ss.