ISSN 2039-1676


2 novembre 2016 |

A. Ingrassia, Ragione fiscale vs "illecito penale personale", Maggioli Editore, 2016

Prefazione al volume

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Ragione fiscale e ‘illecito penale personale’ sono i due poli contrapposti che segnano non solo la revisione del d.lgs. 74/2000, intervenuta con il d.lgs. 158/2015, ma, con uno sguardo più ampio, l’intero ‘diritto vivente’ penale-tributario all’interno del nostro ordinamento.

In questo settore, pressoché ogni questione emersa ed emergente nella prassi – anche quelle che appaiono di natura più schiettamente tecnica e specialistica – è sviluppata da due vettori di opposta direzione, orientati, l’uno – la ragione fiscale – da uno scopo funzionalistico (la ‘guerra all’evasione’ e la ricerca di risorse per conservare ciò che del Welfare State è rimasto nel rispetto dei vincoli di bilancio), l’altro – il principio di responsabilità personale – dall’“imperativo categorico” criminal-politico di matrice lisztiana, per fortuna mai tramontato, nemmeno nella modernità penalistica, e sintetizzato dalla formula del «diritto penale come  Magna Charta del reo».

Così, le questioni relative alla rilevanza penale dell’elusione, all’incidenza della crisi di liquidità sui delitti di omesso versamento o ai confini della confisca per equivalente, solo per citare le querelle più note, costituiscono altrettanti nodi che non paiono poter essere sciolti con soluzioni di compromesso, tirando a turno l’uno o l’altro dei due capi della corda, quanto piuttosto attraverso tagli gordiani, che rilascino il chiaro sopravanzare di un caposaldo gius-politico piuttosto che dell’altro: l’illecito penale personale versus la ragione fiscale.

D’altra parte, la persistenza di siffatta dicotomia nel sistema e nella sua ricaduta prasseologica non contrassegna solo la prospettiva interna, ma anche quella europea, rendendo la materia de qua un osservatorio privilegiato della capacità del diritto sovranazionale di condizionare in bonam piuttosto che in malam partem la sfera dei diritti fondamentali sui quali il diritto penale impatta: così, se, da un lato, le decisioni dei Giudici di Strasburgo e del Lussemburgo in materia di divieto di bis in idem possono “alzare l’asticella” delle garanzie, precludendo un doppio processo e una doppia sanzione materialmente penale nei confronti del medesimo soggetto; dall’altro lato, la ratio altrettanto garantista del “tempori cedere” rischia di essere travolta da una etero-imposta mutazione genetica delle regole (e, segnatamente, dei termini) di prescrizione, addirittura con retroattività in malam partem, sino al punto di annichilirne il significante etimologico quale ‘contrassegno del confine’, nella misura in cui divenissero – “in servo encomio” del dictum della famosa (o famigerata?) decisione Taricco della Corte di Giustizia Europea – prorogabili in pratica ad infinitum.

Non sempre, e questo è forse l’aspetto più interessante, la dicotomia si risolve, però, in uno scontro frontale di forze in campo, nel quale solo una può avere la meglio, ma perviene, invece, talvolta a forme peculiari di contaminazione, che offrono modelli ‘nuovi’ di risposta sanzionatoria – rectius di rinuncia alla risposta sanzionatoria a fatti di rilievo penale: le cause sopravvenute di non punibilità, integrate dal pagamento dell’imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni, nonché – per i “reati dichiarativi” – dall’autodenuncia, scolpiscono altrettante ipotesi in cui la soddisfazione della ragione fiscale si accompagna al disinteresse e alla conseguente abdicazione dall’applicazione della pena (criminale).

Emergono così paradigmi “nuovi” di effettività della norma penale: il precetto viene infranto, la pena non viene applicata, eppure, in virtù di una contro-azione compensativa, anche se compiuta da un soggetto diverso dal reo, il sistema – almeno nella prospettiva del legislatore, peraltro tutta da verificare sul banco di prova dell’empiria – ritrova un proprio equilibrio e una propria validità. La domanda che resta aperta è se tale risposta sanzionatoria restauri, neghi, o si limiti a sublimare simbolicamente i tratti fisiognomici dell’illecito penale personale.

In definitiva. L’incrocio, lo scontro e la contaminazione della ragione fiscale e dell’illecito penale personale costituiscono il fil rouge dello scritto di questo giovane studioso, nel quale, entro la meccanica di una causalità circolare, più che lineare, la risoluzione dei problemi della prassi avviene attraverso i principî generali e fa emergere una sostanziale razionalità del sistema, per sua natura graduabile: in parte già esistente – de jure condito – per altra parte  ancora bisognosa – de jure condendo – di implementazione. 

Il lettore si avvedrà dunque, scorrendo le pagine di questo studio, che ogni questione esegetica apre uno squarcio sui problemi classici e moderni del diritto penale, non solo economico, e sui valori e sui diritti che esso pone in gioco, ipostatizzando paradigmi di condotta umana, quindi vietandoli e punendoli o – all’opposto, ma non meno significativamente dal punto di vista della politica sociale – rinunciando a punirne gli autori. Ma la sintesi di questa dialettica, nella prospettiva dell’Autore, non può che essere – condivisibilmente – una, espressione dell’“eterno ritorno” alle garanzie e ai principî fondamentali dell’“umanesimo penale”.