ISSN 2039-1676


2 marzo 2017 |

Intercettazione delle comunicazioni epistolari: la Corte Costituzionale ribadisce l’inapplicabilità dell’art. 266 c.p.p. in via analogica

Nota a C. Cost., sent. 7 dicembre 2016 (dep. 24 gennaio 2017), n. 20, Pres. Grossi, Est. Cartabia

Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2017

Per leggere il testo della sentenza in commento, clicca qui.

 

1.  Con la sentenza in esame, la Corte Costituzionale dichiara l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria in relazione all’art. 266 c.p.p. ed agli artt. 18 e 18-ter o.p.[1], nella parte in cui tali norme – in presunta violazione dell’art. 3 Cost. – non consentono di procedere all’intercettazione della corrispondenza epistolare (nello specifico caso, riferibile ad un detenuto) con le stesse modalità utilizzate per le comunicazioni telefoniche.

La Corte rimettente, nel motivare la propria ordinanza, premette di essere investita – in qualità di giudice del rinvio – di un processo il cui compendio probatorio è fondato su una serie di intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché sul contenuto di svariate missive spedite e ricevute dal carcere dall’imputato; tale corrispondenza, in particolare, non era mai stata sequestrata in fase di indagini, ma solamente intercettata e copiata dalla polizia giudiziaria in forza di un provvedimento autorizzatorio del G.I.P..

La stessa ordinanza di rimessione evidenzia come la Corte di Cassazione abbia, in un primo tempo, ritenuto utilizzabili i risultati delle indagini condotte con le modalità sopra descritte, parificando il provvedimento autorizzatorio del G.I.P. a quello previsto dall’art. 266 c.p.p.[2]; successivamente, la Corte rimettente ricorda come, al sorgere di un contrasto giurisprudenziale, il Supremo Collegio – esprimendosi a Sezioni Unite – abbia definitivamente sostenuto l’inapplicabilità in via analogica della disciplina prevista per le intercettazioni telefoniche e ambientali alle operazioni di “intercettazione di corrispondenza”, affermando l’inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p. delle missive illegittimamente intercettate[3].

L’ordinanza di rimessione prosegue segnalando come il primo giudice di appello avesse comunque considerato utilizzabili le dichiarazioni degli imputati relative al contenuto di alcune lettere, delle quali era stata data lettura in udienza, ed avesse così condannato tutti gli imputati per i delitti di tentata estorsione aggravata, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, omicidio aggravato e connessi reati in materia di armi. Sennonché, la Corte di Cassazione – aderendo all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite – ha successivamente annullato la sentenza di condanna, rinviando le parti avanti all’attuale giudice rimettente.

 

2. La Corte d’Assise d’Appello, vincolata – in sede di rinvio – dal giudizio espresso dalla Corte di Cassazione, non ha quindi potuto mettere in dubbio che l’attuale impianto legislativo non consenta di applicare analogicamente la disciplina delle intercettazioni telefoniche alla corrispondenza epistolare; tale limitazione, tuttavia, ad avviso del giudice a quo, «determina una irragionevole disparità di trattamento censurabile ai sensi dell’art. 3 Cost., non giustificabile ex art. 15 Cost., giacché quest’ultima disposizione costituzionale si riferisce non solo alla corrispondenza, ma “ad ogni altra forma di comunicazione”, tra le quali rientrano perciò anche le comunicazioni telefoniche». L’irragionevolezza rilevata, peraltro, pare «accentuata nel caso di corrispondenza di detenuti, per i quali l’art. 18-ter o.p. prevede, in caso di controllo, l’apposizione di un visto che rende i soggetti che intrattengono corrispondenza edotti dell’attività investigativa».

 

3. La Corte Costituzionale chiarisce immediatamente come le conclusioni ermeneutiche raggiunte dalla Corte di Cassazione costituiscano un approdo ineluttabile, poiché «la materia delle intrusioni investigative sulla corrispondenza postale è regolata dall’art. 254 c.p.p. e, nel caso di detenuti, [anche dagli] artt. 18 e 18-ter o.p.»: in particolare, secondo il giudice delle leggi, «il sequestro e il visto di controllo si atteggiano quale disciplina speciale incidente su aspetti presidiati dalla riserva di legge prevista dall’art. 15 Cost., così da impedire l’applicazione analogica delle disposizioni di cui all’art. 266 c.p.p. in materia di intercettazioni, ovvero l’applicazione dell’art. 189 dello stesso codice in materia di prove atipiche».

A mente dei consolidati orientamenti della giurisprudenza costituzionale, il diritto inviolabile garantito dall’art. 15 Cost. può subire limitazioni solamente a fronte di un “inderogabile soddisfacimento” di altro interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante[4]; ciò posto, non è in dubbio il fatto che in tale insieme di interessi siano ricomprese anche le necessità di persecuzione dei reati e di amministrazione della giustizia. Orbene, secondo la Consulta, pur essendo vero che il diritto di cui all’art. 15 Cost. comprende sia la “corrispondenza” che le “altre forme di comunicazione”, è altrettanto vero che «la tutela del medesimo diritto non esige l’uniformità della disciplina delle misure restrittive ad esso applicabili».

 

4. La Corte Costituzionale, infatti, osserva che ciò che rileva, ai fini delle valutazioni a lei rimesse, è che «le disposizioni limitative della libertà di comunicazione siano rispettose della riserva assoluta di legge e di giurisdizione e siano volte alla tutela di un altro diritto o al perseguimento di un altro interesse costituzionalmente rilevante, in ossequio ai principi di idoneità, necessità e proporzionalità»: in particolare, «nella normativa vigente, la libertà e la riservatezza della corrispondenza epistolare (postale) non sono esenti dai sacrifici necessari ad assicurare un efficace svolgimento delle indagini; […] il sequestro di cui all’art. 254 c.p.p., infatti, consente all’autorità giudiziaria di prendere conoscenza dei contenuti della corrispondenza dell’imputato rilevante per l’accertamento di reati».

Su queste basi, dunque, «non può ritenersi che la specifica disciplina applicabile alla corrispondenza determini una distinzione giuridica irragionevole e perciò lesiva del principio di uguaglianza, sulla base del solo raffronto con la normativa applicabile a mezzi strutturalmente eterogenei quali sono, appunto, le comunicazioni telefoniche, informatiche e telematiche». In sostanza, la Corte Costituzionale sostiene che siano state proprio le differenze strutturali tra i mezzi di comunicazione in questione (postale e telefonico) a indurre il legislatore ad adottare diverse e specifiche modalità di ricerca della prova; ciò, a maggior ragione, in relazione alle comunicazioni dei soggetti – quali i detenuti – che si trovino in uno status particolarmente sensibile.

 

5. In conclusione, secondo la Corte, «per le considerazioni che precedono, relative alle caratteristiche del mezzo utilizzato e della particolare posizione del detenuto, deve escludersi la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte discrezionali del legislatore; […] ciò non vuol dire che lo stesso legislatore, nel rispetto delle riserve di legge e di giurisdizione previste dall’art. 15 Cost. e in osservanza dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, non possa prevedere forme di captazione occulta dei contenuti [delle comunicazioni epistolari] che non interrompano il flusso comunicativo».

 

[1] Le due disposizioni richiamate recano, in estrema sintesi e per quanto qui di interesse, la disciplina relativa alla corrispondenza dei detenuti ed ai controlli esercitabili sulla stessa.

[2] Cass., Sez. V, sent. 18 ottobre 2007 (dep. 23 gennaio 2008), n. 3579, Rv. 238902: «È legittimo il provvedimento del G.I.P., emesso su richiesta del Pubblico Ministero, per la sottoposizione a controllo, e l'acquisizione a fini probatori, della corrispondenza in entrata ed in uscita dalla Casa circondariale ove il sottoposto ad indagine è ristretto in esecuzione pena per effetto di una sentenza di condanna passata in giudicato, trattandosi di provvedimento complesso che si compone di un ordine di sequestro della corrispondenza già eventualmente sottoposta a controllo, sempre che rilevante per le indagini, e di un provvedimento di intercettazione di comunicazioni con eventuale sequestro della corrispondenza ritenuta rilevante».

[3] Cass., SSUU, sent. 19 aprile 2012 (dep. 18 luglio 2012), n. 28997, Rv. 252893: «La sottoposizione a controllo e la utilizzazione probatoria della corrispondenza epistolare non è soggetta alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, dovendosi invece seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli artt. 254 e 353 c.p.p. e, nel caso di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalità stabilite dall'art. 18 ter o.p.»; per un commento alla citata sentenza delle Sezioni Unite, v. G. Leo, Le Sezioni Unite escludono la legittimità di controlli occulti sulla corrispondenza dei detenuti (e non solo), in questa Rivista, 19 luglio 2012.

[4] Così C. Cost. 366/1991.