ISSN 2039-1676


15 gennaio 2018 |

Confisca disposta con sentenza di primo grado e appello dei terzi proprietari: la Corte Costituzionale dichiara l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla Corte di Cassazione

Corte cost., sent. 24 ottobre 2017 (dep. 6 dicembre 2017), n. 253, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi

Contributo pubblicato nel Fascicolo 1/2018

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1. Con la sentenza qui illustrata, la Corte Costituzionale dichiara l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla Corte di Cassazione in relazione agli artt. 573, 579, comma III, e 593 c.p.p.: in particolare, il Collegio rimettente aveva rilevato il possibile contrasto delle norme poc’anzi richiamate con i principi stabiliti dagli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. (quest’ultimo quale parametro mediato agli artt. 6 e 13 della CEDU), nella parte in cui esse non prevedono la possibilità di proporre appello contro il solo capo della decisione relativo alla misura ablatoria in favore dei terzi incisi nel loro diritto di proprietà da una confisca disposta con sentenza penale di primo grado[1].

 

2. Nello specifico caso in esame, i giudici rimettenti erano chiamati a pronunciarsi su un ricorso proposto da più soggetti, totalmente estranei al procedimento penale, che avevano subito la confisca di beni (formalmente di loro proprietà) ai sensi dell’art. 12-sexies del D.L. 306/1992; tale confisca era stata disposta dal G.I.P. di Messina con una sentenza di condanna per il reato previsto dall’art. 416-bis c.p., sul presupposto per cui i beni confiscati fossero di fatto nella disponibilità degli imputati.

I proprietari dei beni avevano proposto appello contro il capo della sentenza relativo alla confisca ma, non essendo stati parte del processo, avevano visto dichiarare l’inammissibilità della loro impugnazione; con il successivo ricorso per cassazione, gli stessi soggetti contestavano la decisione della Corte d’Appello, sollecitando il Supremo Collegio a sollevare le questioni di legittimità costituzionale oggi esaminate dalla Consulta.

 

3. La Corte di Cassazione, nel sollevare la questione di costituzionalità, aveva osservato l’effettiva sussistenza della preclusione lamentata dai ricorrenti: l’art. 579, comma III, c.p.p. ammette infatti l’impugnazione contro il capo relativo alla confisca «con gli stessi mezzi previsti per i capi penali» della sentenza. I mezzi in questione, secondo l’art. 593 c.p.p., sono accessibili solamente all’imputato e al Pubblico Ministero: risalta dunque nel corpus normativo l’assenza – insuperabile, visto il principio di tassatività delle impugnazioni (art. 568 c.p.p.) – del terzo proprietario dei beni confiscati tra i soggetti legittimati a proporre appello.

Parallelamente, sempre nell’atto di promovimento, i giudici di legittimità avevano ricordato che l’ordinamento riconosce strumenti di tutela costituzionalmente adeguati in favore dei terzi proprietari nella fase temporale precedente alla pronuncia della sentenza di primo grado: tali sono il riesame, con il successivo ricorso per cassazione (ai sensi degli artt. 322, 324 e 325 c.p.p.), e la richiesta di restituzione del bene in sequestro, con possibilità di proporre successivamente appello (art. 322-bis c.p.p.) e ricorso per cassazione (art. 325 c.p.p.). Del tutto diversamente, superato il momento della pronuncia della sentenza di primo grado, il terzo conserverebbe la sola possibilità di contestare la statuizione sulla confisca con lo strumento dell’incidente di esecuzione ex art. 676 c.p.p., attivabile esclusivamente dopo il passaggio in giudicato della decisione.

Orbene, secondo la Corte di Cassazione, l’assetto normativo sopra descritto sarebbe apparso costituzionalmente illegittimo in quanto «l’incidente di esecuzione non sarebbe strumento adeguato ai fini della difesa del diritto di proprietà, “posto che da un lato realizza solo in via mediata il diritto alla prova e, in ogni caso, nella sua dimensione cognitiva, risulta indubbiamente influenzato dalla esistenza della decisione irrevocabile”; per di più, gli elementi probatori già acquisiti potrebbero rilevare in danno del terzo, che non ha partecipato al giudizio, e ciò “in potenziale violazione del principio del contraddittorio”». Queste stesse ragioni, poi, avevano condotto i giudici rimettenti a supporre la illegittimità costituzionale delle norme richiamate anche in relazione all’art. 117 Cost. (quale parametro mediato agli artt. 6 e 13 della CEDU e all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU), vista la già argomentata ineffettività e tardività del rimedio offerto dall’incidente di esecuzione.

Il Collegio rimettente, infine, aveva denunciato anche la violazione dell’art. 3 Cost.: in particolare, i giudici di legittimità avevano individuato come tertium comparationis l’art. 23 del D.L. 159/2011, secondo il quale – nell’ambito dei procedimenti di prevenzione – è prevista la partecipazione del terzo proprietario del bene da confiscare.

 

4. In via preliminare, la Corte Costituzionale nota immediatamente come i dubbi di legittimità costituzionale investano solamente il segmento processuale che va dall’adozione della confisca (con la sentenza di primo grado) sino alla definitività della medesima statuizione: infatti, come già ricordato, la Corte di Cassazione aveva affermato che «fino alla pronuncia [di primo grado] con cui è adottata la confisca, la tutela giurisdizionale [è] adeguatamente assicurata» per mezzo dei rimedi cautelari. Ciò posto, la Consulta prende atto del parere dei giudici rimettenti, secondo i quali l’introduzione della facoltà di proporre appello in favore dei terzi estranei deve essere vista come unica soluzione, costituzionalmente obbligata.

La Corte Costituzionale, subito successivamente, ricorda che «nelle more del giudizio è sopraggiunto l’art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161[2], […] che ha introdotto un comma 4-quinquies nel corpo dell’art. 12-sexies del D.L. n. 306 del 1992»: tale disposizione, che – dirimendo la questione ed uniformando la disciplina a quella della confisca antimafia – ha imposto l’obbligo di citazione dei terzi estranei sin dal giudizio di primo grado, non assume però rilievo nel giudizio a quo, poiché integra una norma processuale soggetta al principio tempus regit actum e, dunque, non legittima il giudice delle leggi a restituire gli atti al rimettente[3].

La Corte, dunque, passa ad affrontare le questioni poste alla sua attenzione.

 

5. La sentenza approfondisce ulteriormente il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Cassazione nell’atto di promovimento. In particolare, la Corte Costituzionale nota come i giudici di legittimità abbiano tratto le proprie conclusioni partendo da due premesse, così riassunte:

- la prima premessa, già più volte ricordata, secondo la quale gli strumenti di tutela cautelare posti a disposizione del terzo sono conformi alla Costituzione con riguardo sia alla fase delle indagini preliminari sia a quella del giudizio di primo grado; tale conformità, peraltro, appare tanto piena – a parere della Corte di Cassazione – da escludere la necessità di far partecipare i terzi estranei al dibattimento di primo grado;

- la seconda premessa, completamento della prima, secondo cui la tutela cautelare ivi descritta cesserebbe di essere percorribile non appena sia intervenuta la sentenza di primo grado.

Secondo la Consulta, la combinazione delle due premesse «costituisce un presupposto essenziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate ma non rappresenta un approdo ermeneutico inevitabile». La Corte Costituzionale, infatti, ricorda come la problematica in esame sia stata oggetto di un dibattito giurisprudenziale in seno alla Corte di Cassazione, culminato in una recente pronuncia risolutiva delle Sezioni Unite (Cass., SSUU, sent. 20 luglio 2017, n. 48126): in particolare, a fronte di un primo indirizzo che risolveva l’impasse ammettendo la possibilità per i terzi estranei di utilizzare lo strumento dell’incidente di esecuzione già dopo la sentenza di primo grado, le Sezioni Unite scelsero di aderire all’opposto orientamento, secondo il quale il terzo può sempre e comunque disporre dei rimedi cautelari, in ogni grado di giudizio, con la possibilità di chiedere la restituzione dei beni confiscati e di proporre appello contro l’eventuale diniego[4].

 

6. Tutto ciò premesso, appare evidente come «la soluzione interpretativa prescelta dal rimettente non corrispond[a] a un diritto vivente. […] Il giudice a quo […] ha mancato sia di confrontarsi con la perdurante attualità dell’indirizzo favorevole all’immediato ricorso all’incidente di esecuzione (che non era stato superato in via definitiva) sia di prendere in considerazione la tesi poi recepita dalle Sezioni Unite», senza quindi esplicitare alcun giudizio di possibile inidoneità del rimedio cautelare nel corso dei giudizi di impugnazione; «all’opposto, il rimettente ha invece motivatamente affermato, con riguardo alle fasi che precedono la sentenza di primo grado, che il rimedio cautelare è idoneo a tutelare il diritto del terzo: […] non si vede per quali ragioni [tale] rimedio dovrebbe cessare di essere [idoneo]» nelle fasi processuali successive. «Le questioni di legittimità costituzionale sono perciò state poste senza tenere conto della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata»: pertanto, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili tutte le questioni proposte.

 


[1] L’atto di promovimento (Cass., Sez. I, ord. 14 gennaio 2016 – dep. 1 marzo 2016, n. 8317, Pres. Siotto, Rel. Magi, Ric. Gatto ed altri) è pubblicato in questa Rivista, 11 maggio 2016, con nota di T. Trinchera, Il diritto del terzo estraneo al giudizio di impugnare la sentenza che ha disposto la confisca dei beni: la parola alla Corte Costituzionale.

[2] Si veda, a tal proposito, S. Finocchiaro, La riforma del codice antimafia (e non solo): uno sguardo d’insieme alle modifiche appena introdotte, in questa Rivista, fasc. 10/2017, p. 251 ss.

[3] Secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata, infatti, non va disposta la restituzione degli atti al giudice a quo quando lo ius superveniens è palesemente ininfluente nel processo principale (C. Cost. 203/2016).

[4] La sentenza (Cass., SSUU, sent. 20 luglio 2017 – dep. 19 ottobre 2017, n. 48126, Pres. Canzio, Rel. Fumo, Ric. Muscari) è pubblicata in questa Rivista, fasc. 11/2017, p. 238 ss., con nota di S. Verzeletti, Appello ex art. 322-bis c.p.p. per il terzo proprietario del bene confiscato con sentenza non definitiva: una garanzia incomprimibile.