18 dicembre 2008
Tribunale di Milano, Sez. I pen., 18.12.2008, Pres. Ponti, Imp. Barachini e a. (caso Parmalat)
La sentenza di primo grado
In attesa del deposito della sentenza della Cassazione, con la quale è stato in gran parte confermato il giudizio d'appello contro Calisto Tanzi in relazione al caso Parmalat, pubblichiamo integralmente le due sentenze di merito del Tribunale e della Corte d'Appello di Milano, nelle quali vengono affrontati una quantità di problemi giuridici di grande rilievo afferenti al diritto penale dell'economia, alcuni dei quali discussi anche in altri noti procedimenti penali ancora in corso.
Allo scopo di fornire un primo orientamento al lettore nella lettura di un documento assai lungo e complesso, si è scelto di riassumere qui i principali principi di diritto espressi dalla sentenza di primo grado in maniera più articolata e discorsiva rispetto alla tradizionale tecnica di massimazione, avendo cura di indicare le pagine della sentenza da cui tali principi sono stati tratti (A cura di Francesco Trotta).
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Aggiotaggio (art. 2637 c.c.)
1) L’aggiotaggio informativo è un reato istantaneo che si perfeziona nel momento e nel luogo in cui viene posta in essere una specifica condotta di diffusione di notizie false. Conseguentemente, nel capo di imputazione dovranno essere indicate le specifiche coordinate spazio-temporali di ciascuna condotta, oltre alla concreta idoneità delle stesse ad incidere in modo sensibile sul valore di determinati strumenti finanziari (cfr. p. 97).
2) In presenza di comunicazioni rese ai sensi dell’art. 114 TUF potranno configurarsi, qualora sussistano gli ulteriori elementi costitutivi previsti dalla legge, sia il reato di false comunicazioni sociali, di cui agli artt. 2621 c.c. e 2622 c.c., sia il reato di aggiotaggio informativo, di cui all’art. 2637 c.c..
Il reato di aggiotaggio, infatti, presenta un ambito applicativo molto più esteso rispetto a quello di false comunicazioni sociali, potendosi attuare con qualsiasi veicolo informativo idoneo a diffondere una notizia ad un numero indeterminato di persone. Sotto il profilo dell’interesse tutelato, inoltre, a differenza delle false comunicazioni, prescinde dall’inganno effettivo di una persona determinata, essendo posto a tutela non già del patrimonio dei destinatari della comunicazione, bensì della regolarità delle negoziazioni del mercato mobiliare, caratterizzandosi per una diversa oggettività giuridica rispetto ai reati di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. .
Tale diversa oggettività giuridica esclude che il reato di aggiotaggio possa essere assorbito nel reato di false comunicazioni sociali.
Il ricorso a comunicazioni tipiche e obbligatorie per legge quale mezzo di diffusione di notizie false, peraltro, connota il reato di aggiotaggio di particolare gravità in ragione della fonte qualificata di provenienza (cfr. pp. 98 ss.).
3) Non è possibile, servendosi della logica del post-fatto non punibile, ritenere assorbita nel reato di false comunicazioni sociali, realizzato attraverso la condotta consistente nel proporre dati non rispondenti al vero nei bilanci e nelle relazioni di periodo, la successiva condotta consistente nel presentare nuovamente al mercato, attraverso comunicati stampa, gli stessi dati suscettibili di alterare in modo significativo il prezzo degli strumenti finanziari, che, al contrario, integra il diverso reato di aggiotaggio.
Il reato di aggiotaggio, infatti, non può mai ritenersi assorbito nel reato di false comunicazioni sociali sulla base della logica del post-fatto non punibile: affinché possa operare l’assorbimento del reato successivo nel reato precedente è necessario che i fatti da giudicare rappresentino diversi gradi o tipi di offesa ad un medesimo bene giuridico, circostanza che non si verifica in relazione agli illeciti de quibus, posto che gli stessi sono diretti a tutelare interessi diversi (il patrimonio dei destinatari della comunicazione per le false comunicazioni sociali, la regolarità delle negoziazioni del mercato mobiliare per il reato di aggiotaggio informativo) (cfr. p. 101).
4) Unico elemento di tipizzazione della condotta di diffusione di notizie false integrante il reato di aggiotaggio è l’idoneità a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo quotato, non essendo altresì necessario che la notizia falsa presenti il carattere della novità.
Pur essendo più probabile che una notizia falsa risulti idonea ad incidere sulla determinazione del valore dello strumento finanziario quando venga propalata al mercato per la prima volta, non è possibile escludere a priori che la conferma di una notizia già nota, specie qualora il mercato nutra delle perplessità sulla sua genuinità, possa integrare il reato di aggiotaggio informativo, dovendosi avere riguardo alle circostanze del caso concreto.
In ogni caso, occorre sottolineare che qualora sorga in capo all’emittente la necessità di confermare una notizia già propalata al mercato, la stessa si colora di novità ed attualità ogniqualvolta la sua diffusione venga reiterata (cfr. pp. 101 ss. e p. 262).
5) Il legislatore ha tipizzato la condotta di reato costituente aggiotaggio facendo riferimento esclusivamente alla idoneità della falsa notizia ad alterare il valore del titolo per un’entità quantitativamente apprezzabile, senza avere riguardo allo specifico profilo di falsità della notizia diffusa (c.d. price sensitivity).
Non è possibile, dunque, affermare che il reato di aggiotaggio informativo si configuri soltanto se le notizie false riguardino una determinata operazione di mercato, con la conseguenza che, in caso di informazione societaria periodica, priva di riferimenti a singole contrattazioni, eventuali profili di falsità potrebbero essere qualificati esclusivamente come false comunicazioni sociali, costituenti reato ai sensi degli artt. 2621 c.c. e 2622 c.c. (cfr. p. 99).
6) Il concetto di sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, il cui pericolo concreto di verificazione è necessario affinché sia integrato il reato di cui all’art. 185 TUF, deve essere inteso non solo nel senso della idoneità della diffusione della falsa notizia a determinare un rialzo o un ribasso del valore del titolo, ma anche a determinare il mantenimento del valore dello strumento finanziario ogniqualvolta ciò dipenda da condotte manipolative che abbiano alterato la normale formazione dei prezzi secondo le regole di mercato, ovvero da condotte in assenza delle quali si sarebbe verificato un rialzo o un ribasso del valore del titolo stesso.
Le false comunicazioni al mercato da parte dell’emittente, finalizzate a fornire specifiche rassicurazioni a fronte delle perplessità manifestate dalla stampa specializzata e dagli analisti finanziari sulla solidità del Gruppo, essendo idonee ad evitare un immediato ribasso del titolo, consentendone, al contrario, il mantenimento del valore, integrano il reato di aggiotaggio informativo (cfr. p. 103).
7) L’ aggiotaggio non può manifestarsi con un comportamento completamente e solamente omissivo, in quanto non è un reato omissivo proprio.
Il reato di cui all’art. 2637 c.c., infatti, necessita sempre di una condotta commissiva atta a trasferire una notizia non vera. Ciò può avvenire mediante un comportamento immediatamente comunicativo, mediante operatività fittizia su titoli o mediante altri comportamenti comunque idonei a trasmettere all’esterno un elemento di conoscenza fattuale rilevante nella formazione del prezzo del titolo.
La condotta omissiva può acquisire rilievo soltanto qualora si inserisca in un contesto comunicativo, ossia costituisca la modalità attraverso la quale si sia realizzata la falsità della notizia comunicata.
Così, ad esempio, il compimento di articolate operazioni su titoli, da parte di soggetti uniti da un patto parasociale di cui sia stata omessa la comunicazione, può costituire condotta idonea a realizzare un aggiotaggio: in questo caso, l’elemento di conoscenza che viene tratto dagli scambi intercorsi su un certo titolo risulta alterato per il contestuale occultamento di quella intesa sottostante in grado di conferire ad una serie di acquisti una valenza per il mercato ben diversa da quella che appare (cfr. pp. 249-254).
8) La comunicazione rilevante al fine di poter configurare il reato di aggiotaggio, sebbene possa essere resa con qualsiasi mezzo, deve necessariamente possedere la intrinseca attitudine a raggiungere un numero indeterminato di soggetti.
Tale considerazione è coerente con l’intero impianto del reato in esame: se la falsa notizia è punita in quanto abbia la capacità effettiva di alterare il corso dei prezzi, essa deve necessariamente raggiungere in numero cospicuo ed indefinito quei soggetti che, attraverso l’incrocio fra la domanda e l’offerta, quei prezzi formano.
L’effetto diffusivo, peraltro, può essere realizzato non solo per mezzo di una propalazione diretta, ma anche indiretta o secondaria. Così, ad esempio, una notizia comunicata ad un analista finanziario, che sta preparando un report sulla società, è sicuramente destinata a circolare attraverso il lavoro dell’analista stesso, per sua definizione destinato al mercato, ed è astrattamente suscettibile di integrare il reato di cui all’art. 2637 c.c.
In quest’ultimo caso, comunque, ciascun passaggio che determina la diffusione della notizia falsa deve essere specificamente provato.
L’information memorandum che accompagna una operazione di private placement – documento a carattere riservato e confidenziale, con esplicito divieto di divulgazione dello stesso – non costituisce una modalità di diffusione di notizie, dunque non permette di realizzare il reato di aggiotaggio. In ogni caso, qualora si ritenga che la notizia falsa in esso contenuta abbia circolato indirettamente, sarà necessario darne prova (cfr. pp. 295-297).
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Responsabilità degli amministratori non esecutivi
9) Gli amministratori non esecutivi rivestono una particolare posizione di garanzia sulla base di quanto disposto dagli artt. 2381 e 2392 c.c., che impongono agli stessi di agire informati.
In virtù di tale obbligo gli amministratori non esecutivi sono tenuti ad attivarsi chiedendo agli esecutivi le opportune informazioni, senza che, tuttavia, risulti loro riconosciuto un autonomo potere di indagine.
Per tali ragioni è possibile configurare in capo agli amministratori non esecutivi una responsabilità ai sensi degli artt. 40, comma 2, c.p. e 2637 c.c., qualora sia possibile affermare che questi, a causa del verificarsi di segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito, nonché anormali agli occhi di chi è privo di poteri di ispezione e gestione diretta, si siano certamente rappresentati l’illecito, ma non si siano attivati tenendo la condotta impeditiva, anche solo accettando il rischio di realizzazione dell’evento illecito stesso, ferma restando la necessaria verifica, attraverso giudizio controfattuale, del nesso di causalità tra la condotta di omesso controllo per inerzia nell’informarsi ed attivarsi al fine di impedire l’evento e l’evento stesso di diffusione di informazioni false al mercato.
Occorre sottolineare che la richiesta idoneità rappresentativa dell’evento da parte dei segnali perspicui, peculiari e anormali deve essere valutata necessariamente in concreto ed ex ante (cfr. pp. 133-136).
10) Il requisito della indipendenza in capo all’amministratore non esecutivo non comporta in alcun modo l’insorgere di una specifica ed ulteriore posizione di garanzia.
Deve essere esclusa, dunque, la possibilità di configurare in capo agli indipendenti non esecutivi un ulteriore obbligo di controllo delle informazioni price sensitive (cfr. p. 162).
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False comunicazioni alle autorità di vigilanza (art. 2638 c.c.)
11) La questione di illegittimità costituzionale dell’art. 384 c.p., con riferimento agli artt. 3, 24, 111 Cost., sulla base della considerazione che l’art. 384 c.p. non include il delitto di cui all’art. 2638 c.c. né tra quelli a cui è applicabile la speciale esimente dell’aver agito per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore (art. 384, comma 1, c.p.), né tra quelli in relazione ai quali la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimone, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione (art. 384, comma 2, c.p.), è manifestamente infondata.
L’esimente di cui all’art. 384 c.p., infatti, è riconosciuta in relazione a determinati delitti contro l’attività giudiziaria e trova la sua ragion d’essere nel riconoscimento della forza incoercibile degli affetti familiari e sulla base del principio giuridico nemo tenetur se accusare.
Posto che spetta al legislatore il bilanciamento tra l’interesse alla repressione dei delitti contro l’amministrazione della giustizia e la tutela dei beni afferenti alla sfera personale e che tale valutazione non è suscettibile di censura di legittimità costituzionale se non nei casi di manifesta irragionevolezza, si deve concludere nel senso che non può essere censurato in alcun modo il legislatore che ha escluso dal novero dei reati elencati all’art. 384 c.c. il delitto di cui all’art. 2638 c.c. .
Tale esclusione si deve ritenere, infatti, non manifestamente irragionevole in quanto l’art. 2638 c.c. ha carattere eterogeneo rispetto ai reati di cui all’art. 384 c.p., nonché diversa oggettività giuridica: mentre questi ultimi illeciti mirano a tutelare il corretto espletamento dell’attività giudiziaria, il reato di false comunicazioni all’autorità di vigilanza è posto a tutela del regolare funzionamento di un organo di vigilanza (cfr. p. 112).
12) Le comunicazioni rese alla Consob ai sensi dell’art. 115 TUF dagli emittenti quotati e dalle società di revisione rientrano nel novero delle comunicazioni “previste in base alla legge” la cui non rispondenza al vero, finalizzata ad ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza, integra il reato di cui all’art. 2638 comma 1 c.c. (cfr. p. 113).
13) La circostanza che le notizie false, comunicate alla Consob ai sensi dell’art. 115 TUF, coincidano con quelle diffuse al mercato non determina in alcun modo l’assorbimento del reato di cui all’art. 2638 c.c. nel diverso reato di aggiotaggio.
Il principio dell’assorbimento può operare solo qualora i fatti da giudicare rappresentino diversi gradi o tipi di offesa ad un medesimo bene giuridico, circostanza che non si verifica in relazione agli illeciti de quibus, posto che gli stessi sono diretti a tutelare interessi diversi: il reato di false comunicazioni all’autorità di vigilanza è posto a protezione del bene istituzionale del regolare funzionamento dell’autorità di vigilanza, mentre l’aggiotaggio informativo tutela il bene finale della regolarità delle negoziazioni del mercato mobiliare (cfr. p. 113).
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Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione (art. 2624 c.c.)
14) L’art. 2624 c.c. è un reato proprio; tuttavia, in caso di concorso di persone nel reato, è possibile affermare la responsabilità del soggetto extraneus senza che sia necessario accertare che il revisore-soggetto qualificato abbia agito colpevolmente.
Tale conclusione è supportata da quanto disposto agli artt. 111, 112 e 119 c.p. che sanciscono il principio dell’irrilevanza della non punibilità di uno dei concorrenti per mancanza di colpevolezza o imputabilità, applicabile, attesa la sua portata generale, anche ai reati propri e, dunque, all’ipotesi in cui il concorrente non colpevole o non punibile coincida con il soggetto qualificato.
La Corte di Cassazione, peraltro, intervenuta sul punto con orientamento costante a partire dalla sentenza n. 4418, del 12 aprile 1983, afferma che “nell’ipotesi di concorso di persone in un reato proprio sussiste la responsabilità dell’estraneo anche se il soggetto qualificato, autore materiale del fatto, non sia punibile a causa di una condizione personale o per mancanza di dolo” (cfr. p. 120).
15) Soggetto passivo del reato di cui all’art. 2624 c.c. è anche la società assoggettata a revisione quando il protrarsi dell’attività economica, in virtù delle false certificazioni di regolarità contabile, ha determinato un’amplificarsi dell’esposizione debitoria, rendendo così oltremodo difficile un qualsiasi tipo di risanamento aziendale (cfr. p. 119).
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Responsabilità dell’ente per i reati societari
16) L’illecito dell’ente è strutturato attorno ad una fattispecie complessa che si compone della realizzazione di una condotta di reato da parte di un soggetto che abbia un rapporto qualificato con l’ente e dall’esistenza di un interesse o a vantaggio per l’ente medesimo, derivante dalla commissione del reato stesso.
Il presupposto del rapporto qualificato dell’ente con la persona fisica, che si fonda sulla teoria della immedesimazione organica, assicura il rispetto del principio della personalità della responsabilità penale.
La verifica del collegamento tra la persona giuridica e la persona fisica che ha posto in essere il reato, tuttavia, non richiede l’ulteriore accertamento della consumazione dell’illecito penale nell’ambito delle funzioni proprie e tipiche da parte del soggetto qualificato.
La persona fisica in posizione apicale, dunque, non coinvolge la responsabilità dell’ente solo ove abbia agito in modo radicalmente eterogeneo rispetto agli interessi della persona giuridica rappresentata, in modo da determinare una interruzione del rapporto di immedesimazione organica.
Nelle ipotesi in cui la violazione degli specifici doveri funzionali del soggetto apicale è stato ritenuto elemento costitutivo della responsabilità dell’ente, il legislatore lo ha specificamente indicato (cfr. p. 236).
17) Il concetto di interesse dell’ente, richiamato all’art. 25 ter d. lgs. 231/2001per poter configurare l’illecito dell’ente stesso in relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, si configura come finalizzazione oggettiva del reato ad una utilità di natura economica per l’ente, da valutare ex ante.
Questo comporta che la sussistenza dell’interesse non è esclusa nel caso in cui la sperata locupletazione non si verifichi effettivamente, né, di conseguenza, risulta essere condizionata dalla misura del profitto eventualmente ottenuto.
L’interesse della società di revisione, dunque, può dirsi sussistente nel caso di sistematica accondiscendenza alle politiche di falsificazione del Gruppo soggetto a revisione al fine di conservare con lo stesso una pluralità di incarichi, i cui compensi, peraltro, sono regolarmente incassati alle rispettive scadenze (cfr. p. 243).
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Il risarcimento del danno alle parti civili
18) Il delitto di aggiotaggio incide sulla libertà di autodeterminazione negoziale dei destinatari delle false comunicazioni, tuttavia, posto che l’accertamento di tale reato non ha in sé, quale elemento costitutivo, l’induzione in errore, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità civile, si dovrà stabilire, caso per caso, secondo un’ottica scevra da presunzioni di carattere generale, se la condotta di diffusione di false informazioni al mercato abbia effettivamente inciso sulla volontà negoziale del soggetto che si dice danneggiato, potendosi solo così valutare l’effettiva sussistenza del nesso causale tra la condotta e l’evento di danno (cfr. p. 332).
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Il risarcimento del danno a Consob
19) Consob non subisce un danno patrimoniale, in presenza di reati detti “di borsa”, in relazione al pagamento degli stipendi ai propri dipendenti.
Le retribuzioni pagate ai propri dipendenti, infatti, spettano in forza di contratto di lavoro e non certo in ragione degli illeciti commessi da questa o quella società. Consob, per di più, è istituzionalmente preposta a funzioni di vigilanza che rientrano nella sua specifica area di attività, dunque, quando attiva i suoi poteri, altro non fa che svolgere le proprie mansioni (cfr. p. 338).
20) L’art. 187 undecies, comma 2, TUF – che attribuisce a Consob il diritto di richiedere, a titolo di riparazione dei danni alla integrità del mercato cagionati dal reato, una somma determinata anche in via equitativa – è stato introdotto con legge n. 262/2005, dunque deve essere esclusa la legittimazione dell’autorità di vigilanza a domandare il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione all’integrità del mercato per i reati di aggiotaggio commessi negli anni antecedenti all’introduzione della norma.
Il bene “integrità del mercato”, infatti, presenta le caratteristiche tipiche dell’interesse diffuso, ossia di quell’interesse riconducibile al singolo non come tale, ma in quanto membro di una collettività: la legittimazione a tutelare interessi di tal fatta non può essere riconosciuta ad uno o più membri di tale collettività, ancorché associati in ente munito di personalità giuridica, salvo non sussistano norme eccezionali che contengano una specifica previsione in senso contrario (cfr. pp. 341-342).