8 ottobre 2018 |
Omesso versamento dell'assegno a favore di figli di coppie non coniugate dopo il d.lgs. 21/2018: primi orientamenti giurisprudenziali su art. 570-bis e dintorni
Trib. Nocera Inferiore, ord. 26 aprile 2018, Giud. Rossetti; Corte App. Trento, ord. 21 settembre 2018, Pres. est. Spina; Trib. Genova, Sez. I, sent. 30 maggio 2018 (dep. 5 giugno 2018), Giud. Crucioli
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1. Una decisione di merito e due questioni di legittimità costituzionale, sollevate da altrettanti giudici di merito, arricchiscono il panorama degli sforzi profusi dalla giurisprudenza per comprendere e razionalizzare – con i più vari strumenti ermeneutici – la portata dell’intervento legislativo con cui è stato introdotto nel codice penale l’art. 570-bis (“Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”).
Punto controverso, in particolare, in questo primo periodo successivo all’entrata in vigore della norma, è la disciplina applicabile alla fattispecie del mancato adempimento da parte del genitore degli obblighi economici verso il figlio nato da una coppia non coniugata.
Alla pronuncia del Tribunale di Treviso già segnalata in questa Rivista [1], che aveva concluso per l’applicazione dell’art. 570 comma 1, si aggiungono ora una sentenza del Tribunale di Genova in cui si afferma la responsabilità dell’imputato ai sensi del nuovo art. 570-bise due ordinanze con cui il Tribunale di Nocera Inferiore e la Corte d’Appello di Trento promuovono giudizio incidentale di legittimità costituzionale della legge per ottenere risultati tra loro equiparabili, invocando però parametri costituzionali diversi.
2. Conviene, prima di illustrare le specificità dei singoli provvedimenti, esporre in breve l’assetto di diritto positivo comune alle varie vicende.
Spartiacque normativo è rappresentato, appunto, dal d.lgs. 21/2018, che introduce e attua il c.d. principio di riserva di codice, entrato in vigore il 6 aprile 2018.
2.1. In precedenza, la tutela penale degli interessi economici del figlio nato fuori dal matrimonio era affidata al coordinamento in via interpretativa delle norme contenute in due leggi complementari, rispettivamente quella c.d. sul divorzio (l. 898/1970) e quella c.d. sull’affido condiviso (l. 54/2004).
Il percorso logico era il seguente. L’art. 4 co. 2 l. 54/2004 stabilisce l’estensione «ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati» delle disposizioni contenute nella medesima legge; in tale richiamo è necessariamente incluso anche l’art. 3, che a sua volta sanziona la violazione degli obblighi di natura economica conseguenti alla separazione dei coniugi operando un rinvio all’art. 12-sexies l. 898/70: quest’ultimo – che finiva quindi per essere vera e propria norma di riferimento in materia – prevede l’applicazione delle pene previste dall’art. 570 c.p. per l’ipotesi di inosservanza «dell’obbligo di corresponsione dell’assegno» a favore dei figli da parte del genitore ‘divorziato’ e anche, in base all’art. 4, da parte di genitore (ex) convivente more uxorio.
Si trattava di una lettura sistematica consolidatasi di recente nella giurisprudenza di legittimità[2], che ha condotto al superamento del diverso indirizzo pretorio, di segno restrittivo, il quale sosteneva che i «procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati» fossero richiamati dall’art. 4 soltanto per estendervi le disposizioni della l. 54/2006 di natura civilistica, con esclusione di quelle (tra cui, in specie, l’art. 3) con funzione di incriminazione.
Peraltro, secondo pacifica giurisprudenza, accanto alla previsione dell’art. 12-sexies – che sanziona il mero inadempimento dell’obbligo di versamento dell’assegno, quale che sia l’importo fissato e la situazione economica dei beneficiari – continuerebbe ad operare l’art. 570 comma 2 n. 2), che tuttavia risulta integrato quando l’obbligato fa mancare ai figli minori i «mezzi di sussistenza», espressione con cui il codice designa il minimum necessario per il soddisfacimento dei bisogni della vita quotidiana.
Si pone di seguito il problema di stabilire se, laddove ricorrano gli estremi di entrambe le fattispecie, si abbia concorso di reati o concorso apparente di norme, con applicazione in base al criterio di specialità (o di assorbimento) del solo reato (più grave) di cui all’art. 570 comma 2 n. 2). La tesi che sembra aver trovato avallo in giurisprudenza – ma lo stesso Ufficio del Massimario ha rilevato un contrasto sul punto[3] – risulterebbe orientata nel senso dell’assorbimento[4].
A valle di tale ricostruzione, restava incerto quale tra le previsioni sanzionatorie dell’art. 570 venisse in rilievo per effetto del rinvio di cui all’art. 12-sexies, con conseguente applicazione della pena pecuniaria in via alternativa (comma 1) o congiunta (comma 2) a quella detentiva. La prima soluzione è stata privilegiata alcuni anni addietro dalle Sezioni Unite, sia per ragioni di favor rei, sia, appunto, per la diversità di elementi costitutivi rispetto al secondo comma della disposizione codicistica[5].
2.2. Con il diritto vivente così configurato inevitabile è stata l’interferenza del d.lgs. 21/2018: il legislatore ha, da un lato, abrogato l’art. 3 e l’art. 12-sexies, e, dall’altro, ne ha trasposto il contenuto normativo nell’art. 570-bis c.p.: questo ora sanziona con «le pene previste dall’art. 570» l’inadempimento di obblighi economici verso i figli gravanti sul genitore a seguito di scioglimento del vincolo matrimoniale (divorzio, cessazione degli effetti civili, dichiarazione di nullità) o di separazione.
Nessuna menzione è fatta delle coppie non coniugate – e anzi il soggetto attivo del reato viene individuato attraverso il sostantivo «coniuge».
In conclusione di questa premessa vale la pena notare che, per i figli nati fuori dal matrimonio, dopo la c.d. riforma della filiazione del 2013 vengono in rilievo soprattutto i provvedimenti adottati dal giudice ai sensi artt. 337-bis ss. c.c., e in particolare quelli che prevedono la corresponsione di un assegno periodico determinato in base agli artt. 337-terco. 4 e 337-septies (quest’ultimo con riferimento ai figli maggiorenni non indipendenti economicamente).
3. Come si è potuto osservare, la prima reazione della giurisprudenza è stata di ritenere inapplicabile l’art. 570-bis all’omesso versamento dell’assegno da parte del genitore (solo) convivente, a pena di una inammissibile analogia in malam partem.
Ciò non impedirebbe, tuttavia, una pronuncia di condanna, considerato che la caducazione in parte qua della norma incriminatrice non priverebbe del tutto di rilevanza penale la categoria di condotte di cui si tratta, potendo queste risultare conformi ad almeno un’altra fattispecie astratta preesistente. Secondo questa soluzione, in altri termini, si assisterebbe a un fenomeno di abrogatio sine abolitione e dunque a un’ipotesi di successione di leggi meramente modificativa.
La legge ‘successiva’ in questione, secondo il Tribunale di Treviso, sarebbe da individuare nell’art. 570, comma 1, che «alla stregua di una nozione ampia di famiglia comprensiva di forma alternative a quella derivante dal matrimonio» consentirebbe di ritenere punibile anche il genitore non coniugato per «la violazione degli obblighi di assistenza materiale del figlio» (corsivo nostro)[6].
4. L’inapplicabilità dell’art. 570-bis alla tipologia di fattispecie in esame è dato interpretativo condiviso anche dalla Corte di Appello di Trento e dal Tribunale di Nocera Inferiore, che da tale assunto muovono per formulare le rispettive questioni di legittimità costituzionale.
Dall’istruttoria davanti al Tribunale di Nocera Inferiore era emerso che l’imputato, dopo quattro anni di convivenza, aveva abbandonato la casa familiare, interrompendo ogni rapporto con la compagna (cui non era sposato) e con i due figli nati dalla relazione; successivamente aveva omesso di pagare dell’assegno mensile disposto dal Tribunale dei minorenni, incorrendo in un inadempimento ancora perdurante al tempo del giudizio.
A fronte dell’originaria imputazione ex art. 570 comma 2 n. 2), il giudice – rilevata l’assenza di uno stato di bisogno – ritiene che la condotta debba essere piuttosto ricondotta a quella descritta dall’art. 12-sexies e dunque, a seguito del d.lgs. 21/2018, alla corrispondente previsione incriminatrice di cui all’art. 570-bis.
Allora, preso atto che quest’ultima norma «non contiene alcun riferimento, neppure implicito, alla disciplina dei rapporti dei figli con genitori non coniugati», il giudice esclude che estenderne l’ambito applicativo anche a tali fattispecie rientri nei margini di interpretazione consentita; ciò, si sostiene, sarebbe tanto più veroin assenza di previsioni analoghe all’art. 4 l. 54/2006.
L’assetto così risultante si paleserebbe tuttavia contrario al principio di uguaglianza sostanziale, discriminando irragionevolmente tra figli nati da coppie coniugate e figli nati fuori dal matrimonio, la cui tutela penale in materia, seppure non del tutto obliterata, sarebbe pur sempre subordinata al riscontro dei più stringenti presupposti (in particolare, lo stato di bisogno dei beneficiari) del menzionato art. 570 comma 2 n. 2).
Per rimuovere siffatta violazione dell’art. 3 Cost. il giudice ritiene quindi di disporre, come unico rimedio, della possibilità di sollevare questione di legittimità dello stesso art. 570-bis, al fine di ottenere dalla Corte costituzionale una pronuncia additiva nel senso desiderato (letteralmente: «nella parte in cui esclude dall’ambito di operatività della disciplina penale ivi prevista i figli di genitori non coniugati»); si tratterebbe peraltro, secondo il rimettente, di un intervento manipolativo in cui il rischio di invasione della sfera di competenza del potere legislativo è limitato dalla necessità di correggere semplicemente «una trasposizione sul punto non fedele rispetto alle disposizioni normative di cui agli articoli 3 e 4 legge n. 54/2006».
5. Anche la Corte d’Appello di Trento, chiamata a pronunciarsi su un’imputazione ex art. 12-sexies a carico di un soggetto accusato di aver omesso di versare contributi a favore di figli nati fuori dal matrimonio, ritiene che la sopravvenienza normativa di cui al d.lgs. 21/2018 abbia determinato una riduzione dell’area delle condotte penalmente illecite, tra cui non sarebbe più compresa quella oggetto di giudizio.
Il dato letterale dell’art. 570-bis si presterebbe a una lettura univoca, imponendo di configurare la fattispecie come reato proprio del coniuge. D’altra parte, il fatto in causa nonpotrebbe essere ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 570 comma 2 n. 2), per la nota necessità di un elemento costitutivo aggiuntivo; né – afferma la Corte d’Appello, prendendo posizione contraria a quella espressa dal Tribunale di Treviso – può ipotizzarsi un inquadramento ai sensi dell’art. 570 comma 1, sulla scorta dell’analogo argomento per cui anche questa norma incriminatrice richiede una condotta connotata da un quid pluris, ossia l’essere «contraria all’ordine o alla morale delle famiglie».
Su queste premesse, per ripristinare una tutela paritaria per figli nati da coppie coniugate e non, la Corte d’Appello solleva questione di legittimità costituzionale: la peculiarità dell’ordinanza sta nella scelta di censurare non già l’art. 570-bis in relazione al parametro ex art. 3 Cost., bensì le disposizioni del d.lgs. 21/2018 (art. 7, comma 1, lett. b) e o)) da cui è derivato il supposto effetto di abolitio parziale, e con riferimento agli artt. 25 e 77 Cost.
Il vizio che la Corte d’Appello riscontra è dunque un eccesso di delega, che in materia penale si traduce al contempo in violazione del principio di riserva di legge; vizio la cui origine è immediatamente comprensibile alla luce della ratio e dei criteri direttivi che presiedevano alla legislazione delegata.
È opinione comune che la l. 103/2017 (c.d. riforma Orlando) abbia autorizzato e dunque vincolato il Governo a una modifica – «l’inserimento nel codice penale» delle dispposizioni extra-codicistiche rientranti nelle categorie di cui all’art. 1, comma 84, lett. q) – limitata una diversa collocazione di alcune norme incriminatrici, in ossequio all’obiettivo principale di una migliore conoscibilità di precetti e sanzioni; un intervento meramente compilativo, cui è estranea la competenza a modificare il contenuto normativo di tali disposizioni, che in assenza di delega rimane invece in capo al solo Parlamento.
Emergerebbe a questo punto la fondatezza della questione di legittimità, in quanto l’esecutivo, esorbitando dai poteri conferitigli, attraverso le norme censurate avrebbe rimodellato la fattispecie astratta espungendone un’intera classe di condotte.
6. In controtendenza con le soluzioni fin qui prospettate, nella sentenza che si segnala il Tribunale di Genova esclude che l’abrogazione conseguente alla riforma conduca all’applicazione di una diversa norma incriminatrice (come sostenuto dal Tribunale di Treviso) ovvero comporti inevitabilmente la totale perdita di rilevanza penale delle fattispecie concrete in esame (con necessità di provocare l’intervento della Corte costituzionale).
6.1. Il Tribunale accertava che l’imputato, sposato con prole, aveva intrattenuto per quasi un decennio una relazione con un’altra donna, da cui erano nati due figli; dell’educazione e del mantenimento di questi l’imputato si era sempre disinteressato, non fornendo alcun sostegno materiale o economico, e – una volta terminata la relazione extra-coniugale – si era sistematicamente sottratto al pagamento dell’assegno disposto dal Tribunale dei Minorenni.
Parte di queste condotte, contestate in permanenza attuale, risultava già coperta da giudicato; la cognizione del Tribunale riguardava dunque un periodo in cui una figlia era già maggiorenne, mentre il maschio aveva raggiunto la maggiore età soltanto successivamente.
Pertanto, appurata la mancata corresponsione dei mezzi necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana (cui avevano sempre provveduto la madre o i suoi familiari) ed escluso uno stato di bisogno dell’imputato, il Tribunale ritiene integrato il reato di cui all’art. 570 comma 2 n. 2) nei soli confronti del figlio maschio fino al compimento dei diciotto anni.
Secondo lo stesso giudice, però, la giurisprudenza di legittimità dimostrerebbe che l’applicabilità del comma 1 presuppone l’inadempimento di obblighidi assistenza morale e affettiva connessi all’esercizio della responsabilità genitoriale e, dunque, incompatibili con la maggiore età dei figli, ancorché non economicamente indipendenti[7]: deve pertanto disattendersi la qualificazione operata nel capo di imputazione, e ricondursi la condotta alla fattispecie di cui agli artt. 3 e 4 l. 54/2006, che il pubblico ministero in origine aveva dichiarato assorbito dal più grave reato codicistico.
6.2. Tuttavia, a questo punto, le modifiche apportate dal d.lgs. 21/2018 pongono anche il Tribunale di Genova dinanzi a una apparente disparità di trattamento nella repressione di condotte inadempienti nei confronti di figli nati da coppie non coniugate – disparità che, in sentenza, si afferma contraria agli artt. 3 e 30 Cost., nonché agli artt. 8 (diritto alla vita familiare) e 14 (divieto di discriminazione) CEDU.
Ancor prima che da una lettura estensiva costituzionalmente orientata dell’art. 570-bis (sollecitata dal pubblico ministero in sede di conclusioni), il Tribunale ritiene di poter evitare il giudizio incidentaledi legittimità facendo leva su una diversa ricostruzione del diritto positivo sopravvissuto alla riforma (cfr. spec. p. 19).
Il d.lgs. 21/2018 ha inciso sugli artt. 12-sexies l. 898/1970 e 3 l. 54/2006, abrogandoli e trasponendone il contenuto nell’art. 570-bis, ma non ha abrogato l’art. 4 comma 2 della l. 54/2006, da cui dipendeva la punibilità delle condotte di cui si tratta. Vigente questa norma, i confini della fattispecie incriminatrice rimarrebbero immutati, sol che si consideri che l’art. 8 dello stesso d.lgs. 21/2018 stabilisce che «i richiami alle disposizioni abrogate dall’art. 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale».
Secondo il Tribunale, dunque, sarebbe sufficiente dare del testo dell’art. 4 una lettura in cui il richiamo alle «disposizioni della presente legge» includa, anziché l’art. 3 (e, a catena, l’art. 12-sexies), la corrispondente previsione neo-codicistica.
In altri termini, operando l’art. 8 d.lgs. 21/2018 quale convertitore, il titolo di imputazione (e di condanna) per la violazione di obblighi economici nei confronti di figli nati fuori dal matrimonio sarebbe costituito dal combinato disposto degli artt. 570-bis c.p. e 4 l. 54/2006.
* * *
7. A fronte di un quadro giurisprudenziale tanto eterogeneo – circostanza di per sé significativa – oltre che esposto a sviluppi potenzialmente decisivi, pare avventato addentrarsi senza opportuna ponderazione in riflessioni di carattere generale.
Piuttosto, possono svolgersi alcune brevi considerazioni ispirate dall’esame e dal confronto dei provvedimenti sopra brevemente illustrati.
7.1. Punto di convergenza delle multiformi soluzioni prospettate pare l’obiettivo di giungere all’applicazione di una disciplina sostanziale che garantisca piena parità di trattamento, anche sul piano della tutela penale, all’inadempimento degli obblighi economici nei confronti della prole che sorgono in capo ai genitori al momento di cessazione del rapporto, senza distinguere tra coppie coniugate e non.
Si tratta, infatti, di una equiparazione perfetta già esistente a livello civilistico (si veda la disciplina unitaria di cui agli artt. 337-bis ss. c.c.) e verosimilmente necessaria alla luce di richiamati parametri costituzionali e convenzionali.
Se questo è l’obiettivo, si lascia apprezzare per economia di mezzi giuridici la ricostruzione del Tribunale di Genova: il massimo risultato è ottenuto infatti sfruttando la perdurante vigenza dell’art. 4, alla cui mancata abrogazione le ordinanze del Tribunale di Nocera Inferiore e della Corte d’Appello di Trento non sembrano attribuire particolare rilievo. D’altra parte, come pure viene ricordato dal Tribunale di Genova, una logica in parte analoga dovrebbe ispirare i presupposti delle questioni di legittimità costituzionale, secondo il costante insegnamento della Corte: «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali»[8].
In quest’ottica, il criterio dell’ubi lex noluit applicato alla portata abrogatrice della riforma sembrerebbe in effetti convincente: se è vero che il d.lgs. 21/2018 non ha trasposto l’art. 4 co. 2 nel codice penale, neppure lo ha abrogato, e dinanzi a tale silenzio non pare irragionevole privilegiare un’interpretazione conservativa, che presenta il duplice vantaggio di scongiurare un’abrogazione tacita – da considerarsi sempre extrema ratio – e – nel caso di specie – di rendere possibile una interpretazione conforme ai canoni costituzionali.
Peraltro, la ratio delle modifiche apportate dalla riforma, di cui il citato art. 8 confermerebbe la natura meramente topografica, risulta non incompatibile con lo schema di rinvio fisso (o “materiale” o “recettizio”, secondo le varie diciture) proprio dell’art. 4 co. 2.
7.2. Nondimeno, si è osservato altrove[9] come il legislatore delegato nel coniare l’art. 570-bis abbia incluso nell’area di applicazione della norma fattispecie – le ipotesi di «nullità del matrimonio» – la cui punibilità in passato non risultava né dall’art. 12-sexies l. 898/1970 né dall’art. 3 l. 54/2006, ma dallo stesso art. 4 comma 2. Qui, dunque, ubi lex voluit, dixit: e se tra le ipotesi di cui all’art. 4 il legislatore ne ha richiamate alcune e non altre (quelle relative a coppie non coniugate), ciò significa ragionevolmente che per queste ultime deve ritenersi verificata una abrogazione, seppure tacita.
Aderendo a questa lettura, da un punto di vista metodologico il passo successivo dovrebbe portare sulla strada intrapresa dalla Corte d’Appello di Trento, vale a dire sollevare questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega, al fine di censurare la scelta con cui l’esecutivo ha realizzato una selezione non consentita delle fattispecie cui assicurare perdurante rilevanza penale[10].
Ferma l’individuazione del parametro di cui agli artt. 25 e 77 Cost., potrebbe semmai discutersi sulla norma che concretizza il vulnus costituzionale: se le disposizioni abrogatrici delle norme poi effettivamente reintrodotte nell’art. 570-bis (in questo senso la Corte d’Appello di Trento) o non, piuttosto, la nuova disposizione codicistica che, stante il suo perimetro ridotto rispetto alla norma precedentemente vigente, determina a contrario l’abolitio delle fattispecie in essa non richiamate.
Vale forse precisare che, se questo si rivelasse il percorso corretto, una pronuncia di illegittimità della Corte non dovrebbe trovare ostacolo, di per sé, nei possibili effetti in malam partem che ne deriverebbero: da un lato, la disciplina dei fatti commessi nel vigore della nuova norma, sebbene illegittima, beneficia senz’altro soggetta del principio di irretroattività sfavorevole, senza che ciò privi di rilevanza la questione nel giudizio incidentale[11]; dall’altro, al controllo della Corte sulla legittimità delle scelte di incriminazione del legislatore non può essere opposto il principio di legalità nei casi, come quello in esame, in cui lo stesso atto normativo configura una violazione del principio medesimo[12].
Occorrerebbe però chiarire se la declaratoria di illegittimità determini l’applicazione della disciplina previgente (con conseguente rilevanza penale) alle condotte poste in essere prima dell’introduzione della norma da cui discende, in ipotesi, la loro decriminalizzazione[13] – quali sono le condotte oggetto dei giudizi a quibus, almeno per la maggior parte della loro estensione cronologica.
7.3. In questo panorama interpretativo, la sostenibilità della ulteriore tesi che propone di offrire tutela ai figli nati da genitori non coniugati applicando l’art. 570 presupporrebbe di approfondire lo studio dei rapporti tra questa norma e la fattispecie risultante dagli artt. 12-sexies e 4 co. 2 (questa infatti la norma rilevante rispetto alla quale bisognerebbe misurare un eventuale scarto di tutela nel passaggio dal regime ante-riforma a quello attuale). Il che, probabilmente, richiederebbe a sua volta di definire con maggiore esattezza i confini tra primo e secondo comma dello stesso art. 570.
Tutt’altro che lineare, infatti, il rapporto tra e l’art. 12-sexies e l’art. 570 comma 1, figura criminosa in ipotesi più idonea, allo stato, a supplire al vuoto creato dall’art. 570-bis. Se l’interpretazione data dal Tribunale di Treviso, per quanto non esplicita sul punto, sembra implicare un semplice rapporto di genere a specie tra questa fattispecie (il cui soggetto attivo sarebbe genericamente il genitore, anche non coniugato) e il combinato disposto degli artt. 12-sexies e 4, i provvedimenti in commento lasciano intravedere opzioni diverse.
Il Tribunale di Nocera Inferiore contiene un riferimento non perspicuo alla procedibilità a querela del reato di cui all’art. 570 comma 1 (aspetto che però, a rigore, parrebbe estraneo agli elementi strutturali della fattispecie astratta); a tale dato la Corte d’Appello di Trento aggiunge, come visto, il rilievo secondo cui la fattispecie codicistica sarebbe a sua volta connotata da un elemento di specialità per aggiunta (individuato nella contrarietà della condotta all’ordine o alla morale delle famiglie).
Nella sentenza del Tribunale di Genova, invece, il giudice mostra di aderire all’orientamento (cfr. però nt. 6 e 14) che ritiene che la linea di demarcazione tra comma 1 e comma 2 corra lungo il confine tra – rispettivamente – inadempimento di obblighi morali e di obblighi patrimoniali: così ragionando, ne discende de plano l’inapplicabilità del comma 1 alle fattispecie di cui si discute. Al contrario, una maggiore apertura potrebbe rinvenirsi in base all’impostazione adottata dall’ufficio di Procura circa il rapporto tra figure criminose interne all’art. 570: per quanto è possibile ricavare dalle motivazioni, la tesi ricostruttiva del pubblico ministero presupponeva che la fattispecie di cui al comma 1 tuteli interessi anche di carattere economico – distinguendosi da quella del comma 2 in ragione del minor grado di offensività – con possibilità di ritenere assorbita la fattispecie di cui agli artt. 12-sexies e 4.
Si tratta di profili, attinenti vuoi al regolamento di confini tra fattispecie vuoi alla risoluzione di un concorso apparente di norme, che potrebbero beneficiare di una più compiuta elaborazione non tanto per mezzo dell’intervento della Corte costituzionale, bensì a livello di giurisprudenza di legittimità[14].
7.4. Sullo sfondo, come accennato, resta una serie di questioni di sistema, collegate al moltiplicarsi nell’ordinamento di modelli familiari e para-familiari riconosciuti, sia in via generale sia ad alcuni limitati effetti. In tema di disciplina penale degli obblighi economici verso i figli, la soluzione dei problemi emersi da questa rapida rassegna giurisprudenziale dovrebbe soddisfare la generalità delle istanze di tutela, in quanto potenzialmente idonea a comprendere l’intero spettro delle coppie di fatto tra persone di sesso diverso. Nel caso di rapportitra persone dello stesso sesso, invece, non pare sufficiente l’equiparazione al «matrimonio» ai fini dei delitti contro la famiglia, peraltro prevista dal nuovo art. 574-ter c.p. per le sole unioni civili e non per le convivenze di fatto[15]: tutto sembra dipendere dai margini – tutt’ora incerti e di fatto affidati all’elaborazione giurisprudenziale – entro i quali si può riconoscere in situazioni del genere la instaurazione di un valido rapporto di filiazione in capo a entrambe le parti.
[1] Trib. Treviso, sent. 17 aprile 2018, n. 554 (dep. 8 maggio 2018), Giud. Vettoruzzo, con nota di M. Barcellona (in fasc. 6/2018, p. 304 ss.).
[2] Si veda il susseguirsi nell’ambito della Sezione VI di Cass., sent. 6 aprile 2017 (dep. 19 maggio 2017), n. 25267, in Dir. pen. proc., 8/2017, 1026; Cass., sent. 31 gennaio 2018 (dep. 16 marzo 2018), n. 12393, in CED, Rv. 272518; Cass., sent. 22 febbraio 2018 (dep. 30 marzo 2018), n. 14731, in CED, Rv. 272805.
[3] Si tratta della relazione n. 24 del 2018, richiamata dalla relazione n. 32 del 2018 – Relazione tematica sull’introduzione dell’art. 570-bis cod. pen., pubblicata in questa Rivista, 27 giugno 2018.
[4] Tra le pronunce favorevoli all’assorbimento la più recente risulta Cass., Sez. VI, sent. 10 novembre 2017 (dep. 21 dicembre 2017), n. 57237, in Dir pen. proc., 2018, 6, 764.
[5] Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2013 (dep. 31 maggio 2013), n. 23866, Pres. Lupo, Rel. Ippolito, in Dir. pen. proc., 12/2013, p. 1456 ss., con nota di M.N. Masullo.
[6] Per la tesi che fa rientrare negli «obblighi di assistenza» di cui all’art. 570 comma 1 anche obblighi di assistenza materiale, peraltro non limitati al solo versamento di un assegno alimentare, ma estesi anche al quantum necessario per il “mantenimento”, cfr. Cass., Sez. Un., 23866/2013, § 3.2; v. anche infra, par. 7.3. e nt. 14.
[7] Sono citate in particolare le sentenze Cass., Sez. VI, 13 giugno 2013 (dep. 6 agosto 2013), n. 34080, Rv. 257416, e Cass. 13 marzo 2012 (dep. 2 aprile 2012), n. 12306, Rv. 252603.
[8] Celebre citazione testuale da Corte cost., sent. n. 356 del 1996 (Pres. Ferri, Red. Zagrebelsky), poi divenuta tralaticia nella giurisprudenza costituzionale.
[9] Ufficio del Massimario, rel. 32/ 2018, pp. 11-12.
[10] Questa appunto la direzione segnalata dall’Ufficio del Massimario nella rel. 32/2018, cit., p. 12.
[11] Cfr. Corte cost., sent. n. 394 del 2006, Pres. Bile, Est. Flick, § 6.1.
[12] Cfr. C. cost., sent. n. 5 del 2014, Pres. Silvestri, Red. Lattanzi, richiamata dalla stessa Corte d’Appello di Trento.
[13] Si tratta di un aspetto particolarmente incerto nella riflessione giuridica in materia di sentenze costituzionali che incidono su norme c.d. di favore e dunque determinano un ripristino (o reviviscenza) di norme incriminatrici vigenti al momento della commissione del fatto ma provvisoriamente abrogate: in una fattispecie del genere, determinata dalle ricadute della citata Corte cost. 5/2014, si è di recente espressa nel senso della necessaria retroattività in mitior Cass., Sez. I, sent. 22 settembre 2016 (dep. 18 maggio 2017), n. 24834, Pres. Vecchio, Est. Talerico, imp. Augussori e altri, in questa Rivista, con nota critica di F. Viganò, Sugli effetti intertemporali della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma che abroga una precedente incriminazione (fasc. 10/2017, p. 298 ss.).
[14] Quanto al rapporto tra comma 1 e comma 2 dell’art. 570, la tesi sostenuta dal pubblico ministero nel procedimento davanti al Tribunale di Genova troverebbe in effetti un autorevole supporto nella sentenza delle Sezioni Unite 23866/2013, cit., ove si afferma (come accennato supra, nt. 6) che «rientra nella tutela penale apprestata dall’art. 570 comma 1 […] la violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge o genitore». Tuttavia non è questo il problema interpretativo direttamente oggetto di cognizione delle Sezioni Unite, chiamate a risolvere il (connesso ma) diverso aspetto della previsione sanzionatoria rilevante ai fini del richiamo ex art. 12-sexies; e d’altra parte nelle motivazioni stesse si dà conto che la giurisprudenza di legittimità «dominante» ritiene, sebbene sulla scorta di un’interpretazione affermatasi prima della riforma del diritto di famiglia, che l’art. 570 comma 1 sanzioni soltanto la violazione di obblighi di assistenza morale.
[15] Per un quadro più dettagliato, cfr. Ufficio del Massimario, rel. 32/18, pp. 13-16.