12 giugno 2018 |
Una prima questione posta dal d.lgs. n. 21/2018 sulla riserva di codice: inapplicabile il nuovo art. 570 bis c.p. all'omesso versamento dell'assegno di mantenimento al figlio, da parte del genitore convivente more uxorio
Trib. Treviso, sent. 17 aprile 2018, n. 554 (dep. 8 maggio 2018), Giud. Vettoruzzo
Contributo pubblicato nel Fascicolo 6/2018
1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, il Tribunale di Treviso affronta la questione della rilevanza penale della condotta del genitore convivente more uxorio che ometta di versare l’assegno di mantenimento dovuto al figlio: una questione di per sé non nuova, che a seguito del d.lgs. n. 21/2008, attuativo del principio della riserva di codice, richiede però di essere contestualizzata e rivalutata in un mutato quadro normativo di riferimento, a seguito dell’abrogazione degli artt. 12-sexies l. n. 898/70 e 3 l. n. 54/2006, nonché dell’introduzione del nuovo art. 570-bis c.p. (“Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”).
2. Giova, in primo luogo, procedere ad una breve ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21/2018.
L’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 (c.d. legge sul divorzio) disponeva che “al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'articolo 570 del codice penale”. Successivamente, si era provveduto ad equiparare espressamente la posizione del coniuge separato a quella del coniuge divorziato, stabilendo all’art. 3 della legge n. 54 del 2006 (“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”) che “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898”[1].
Il legislatore non ha tuttavia espressamente disciplinato l’ipotesi della realizzazione di analogo inadempimento da parte del genitore convivente more uxorio, lasciando così alla giurisprudenza il compito di confrontarsi con la questione, in rapporto alla quale non si è formato un orientamento univoco.
Le diverse posizioni della giurisprudenza di legittimità sono ben rappresentate da due recenti sentenze della Cassazione, le cui argomentazioni ruotano attorno a un medesimo riferimento normativo - l’art. 4 della citata l. n. 54/2006 -, valorizzato ora in un senso, ora in un altro.
2.1. La prima sentenza, del 2016[2], ha ritenuto l’art.12-sexies della l. n. 898/70 inapplicabile nei confronti del convivente more uxorio. La Corte ha, infatti, negato che la disposizione di cui all’art. 3 della l. n. 54 del 2006 abbia esteso l’ambito di applicazione dell’art. 12-sexies (oltre che ai coniugi separati) anche ai conviventi more uxorio, poiché l’articolo 4 della stessa legge – il quale dispone che “le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” – non pone sullo stesso piano tutte le ipotesi da esso contemplate. L’utilizzo della locuzione “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” sarebbe infatti volta a limitare l’applicazione delle disposizioni della legge del 2006, appunto, ai soli ‘procedimenti’ (previsti dall’art. 2 della stessa legge), i quali consistono in procedimenti civili, e non anche ad estendere la portata di norme di diritto penale sostanziale.
2.2. Con una più recente sentenza, del 2017[3], la S.C. è ritornata sul tema, offrendo invece una diversa lettura delle norme in questione: mediante una interpretazione sistematica dell’art. 4 della legge 54/2006 ha, infatti, affermato che l’articolo 12-sexies è applicabile anche al convivente more uxorio. Difatti, secondo la Corte, esso andrebbe letto prendendo in considerazione le norme del codice civile in materia di responsabilità genitoriale a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 154/2013, tenendo conto, in particolare, di come sia il titolo del Capo II del Titolo IX, relativo all’ “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi a figli nati fuori dal matrimonio”, sia il testo dell’art. 337-bis c.p., il quale prevede l’applicazione delle disposizioni di tale capo “in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”, utilizzino una formula pressoché analoga a quella impiegata dal legislatore del 2006; formula che, considerate le finalità del d.lgs. 154/2013[4], non può che leggersi nel senso della volontà del legislatore di equiparare tutte le ipotesi contemplate. Pertanto, alla luce di tale tendenza perequativa, il riferimento dell’art. 4 della legge n. 54/2006 ai “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” dovrebbe essere interpretato in senso ampio, comprensivo delle norme penali sostanziali.
3. Come poc’anzi accennato, con il d.lgs. 1° marzo 2018 n. 21, attuativo del principio della riserva di codice, il legislatore ha provveduto ad abrogare tanto l’art. 12-sexies l. n. 898/1970 quanto l’art. 3 l. n. 54/2006 (cfr. l’art. 7, comma 1, lett. b), o), d.lgs. 21/2018).
Entrambe le disposizioni sono confluite nella nuova norma del codice penale introdotta all’art. 570-bis c.p. (“Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”), ai sensi del quale “le pene previste dall’art. 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
Secondo la sentenza del Tribunale di Treviso, qui segnalata, il nuovo quadro normativo parrebbe escludere in modo definitivo la rilevanza penale dell’omesso versamento dell’assegno di mantenimento al figlio da parte del genitore convivente more uxorio: da un lato l’abrogazione dell’art. 3 della legge 54/2006 mette fuori gioco il richiamo all’art. 4 della stessa legge; dall’altro lato, il nuovo art. 570-bis c.p. delimita espressamente la propria sfera di applicabilità al coniuge ed elimina qualsiasi riferimento ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
4. Senonché, ad avviso dello stesso Tribunale di Treviso, la riforma del 2018 non ha comportato una abolitio criminis. Prima di illustre le motivazioni di questa affermazione è opportuno considerare il fatto oggetto del giudizio. Nel caso di specie, all’imputato, non coniugato con la madre del figlio, bensì ex convivente more uxorio della stessa, veniva contestato il reato di cui all’art. 3 della l. 54/2006 per aver omesso di versare la somma di 200 euro mensili stabilita dal Tribunale di Treviso quale contributo al mantenimento del figlio minore, affidato in via condivisa ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre. Il Giudice, ritenendo che un’applicazione dell’art. 570-bis al convivente more uxorio avrebbe comportato una violazione del divieto di analogia in malam partem, ha sussunto il fatto in esame sotto un’altra fattispecie di reato – già vigente al momento del fatto – e, segnatamente, quella disciplinata dall’art. 570, comma 1, c.p., il quale punisce “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale”.
***
5. La decisione del Tribunale di Treviso è senz’altro condivisibile nella parte in cui, rilevata l’abrogazione dell’unica disposizione in passato invocata per estendere al convivente more uxorio la portata dell’incriminazione di cui all’art. 12 sexies l. n. 898/1970, ha avuto buon gioco ad opporre il divieto di analogia in malam partem escludendo la legittimità di una corrispondente estensione applicativa del nuovo art. 570 bis c.p.
Condivisibile ci sembra altresì la soluzione favorevole a inquadrare il fatto oggetto del giudizio nell’art. 570 c.p., disposizione che sanziona l’inadempimento degli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale e che – si noti – era già vigente nel momento della commissione del fatto e pertanto indubbiamente applicabile, senza violazione del principio di irretroattività.
6. Occorre peraltro domandarsi, alla luce della giurisprudenza formatasi in materia, prima del d.lgs. n. 21/2018, se fatti analoghi a quello oggetto del giudizio in esame siano riconducibili al primo ovvero al secondo comma (n. 2) dell’art. 570 c.p., puniti, rispettivamente, con la pena alternativa (comma 1) e congiunta (comma 2, n. 2) della reclusione fino a un anno o della multa da 103 a 1032 euro. Il primo comma sanziona il fatto di “chiunque, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale […]”; il secondo comma n. 2 punisce “chiunque fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore […]”.
Secondo la sentenza annotata, nel caso in esame troverebbe applicazione il primo comma. Non si tratta peraltro di una soluzione pacifica nella giurisprudenza formatasi prima del d.lgs. n. 21/2018. In particolare, un orientamento giurisprudenziale[5], sull’assunto che gli obblighi di assistenza di cui al primo comma consistano in meri obblighi di assistenza morale, riteneva che il richiamo dell’art. 12-sexies dovesse intendersi riferito alle pene previste dal comma secondo, numero due, avendo il citato art. 12-sexies ad oggetto la violazione di un obbligo di natura economica.
Un altro orientamento[6], invece, valorizzando la diversità delle nozioni di assistenza e sussistenza, evidenziava come la violazione del primo comma si configurasse per la mera omissione della corresponsione dell’assegno di mantenimento, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto e senza necessità che tale inadempimento comportasse anche il venir meno dei mezzi di sussistenza, e che, quindi, fosse da ritenersi applicabile il primo comma dell’art. 570 c.p.
Va in proposito segnalato che sul punto, nel 2013 sono intervenute Sezioni Unite[7], le quali, avallando il secondo orientamento, hanno evidenziato come l’obbligo di assistenza abbia un contenuto materiale più ampio di quello di sussistenza e che, pertanto, la violazione degli obblighi di assistenza previsti dalle norme del codice civile rientrano nella tutela penale offerta dall’art. 570, primo comma, c.p.
Il dictum delle Sezioni Unite, a nostro avviso, sembrerebbe dover orientare oggi l’interprete nel mutato quadro normativo di riferimento, escludendo l’applicabilità della più grave disposizione di cui al comma 2, n. 2 dell’art. 570. Senonché, a dimostrazione della complessità della questione qui segnalata, va problematicamente considerato come la summenzionata sentenza della Cassazione del 2016[8], nell’escludere l’applicabilità dell’art. 12-sexies in rapporto al genitore convivente more uxorio, abbia invece ritenuto applicabile il comma secondo, numero due, dell’art. 570 c.p., e non già il comma 1.
[1] Sulla violazione degli obblighi di natura economica posti a carico del genitore separato si segnala una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass., sez. VI, 12 aprile 2018, n. 679), che ha precisato come l’art. 3 della l. n. 54/2006 rende penalmente rilevante solo l’inadempimento dell’obbligo di mantenimento in favore dei figli, dovendosi escludere invece l'inadempimento di analogo obbligo posto nei confronti del coniuge separato, sanzionato dall'art. 570 c.p.
In senso conforme, si veda Cass., Sez. VI, 22 settembre 2011, n. 36263.
[2] Cass., Sez. VI, 7 dicembre 2016, n. 2666.
[3] Cass., Sez. VI, 6 aprile 2017, n. 25267. In senso conforme: Cass., Sez. VI, 22 febbraio 2018.
[4] Il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219” ha, com’è noto, provveduto alla risistemazione della responsabilità genitoriale prescindendo dal fatto che la prole sia nata all’interno o all’infuori del matrimonio.
[5] Ex multis: Cass. pen., Sez. VI, 24 giugno 2009, n. 28557; Cass., Sez. VI, 7 dicembre 2006, n. 18450.
[6] Cass., sez. VI, 5 novembre 2008, n. 3426; Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2001, n. 11005.
[7] Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2013, n. 23866.
[8] Cass., Sez. VI, 7 dicembre 2016, n. 2666.