17 ottobre 2018 |
Illecito penale, illecito amministrativo e ne bis in idem: la Corte di Cassazione e i criteri di stretta connessione e di proporzionalità
Cass., Sez. V, sent. 16 luglio 2018 (dep. 10 ottobre 2018), n. 45829, Pres. Miccoli, Rel. de Gregorio
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1. La sentenza che si segnala rappresenta – a quanto consta – la prima decisione con la quale la Corte regolatrice applica i principi di diritto elaborati all’esito del non breve né lineare dibattito che ha coinvolto le Corti europee e quelle italiane, chiamate a decidere dei rapporti fra illecito penale e illecito amministrativo al cospetto del superiore canone del ne bis in idem.
Il tema – di portata all’evidenza generale – si è tuttavia presentato con riferimento a vicende giudiziarie che vedevano ‘protagoniste’ violazioni in materia tributaria o di abusi di mercato, ambito, quest’ultimo, nel quale il doppio binario sanzionatorio è spiccatamente afflittivo nel sistema italiano, posta la sostanziale identità delle fattispecie astratte che descrivevano (ante d.lgs. 107/2018) e (in larga misura) tuttora descrivono le rispettive figure d’illecito. A tale proposito conviene segnalare che il d.lgs. 107/2018, nell’apportare modifiche al d.lgs. 58/1998 (TUF), ha fra l’altro sostituito integralmente (ex art. 4 co. 9 e 10 d.lgs. 107/2018) il testo degli artt. 187-bis e 187-ter, che descrivevano le figure dell’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato.
Nella versione previgente il ricordato illecito amministrativo ex art. 187-bis era delineato in modo testualmente identico (per quanto concerneva l’abuso di informazioni privilegiate) rispetto all’omologa figura delittuosa (art. 184 TUF), mentre la descrizione contenuta nell’art. 187-ter, differente rispetto a quella dell’art. 185 (per la manipolazione del mercato), in realtà non comportava una vera e propria discrepanza fra gli insiemi di condotte sussumibili sotto le due fattispecie, posto che il maggiormente analitico disegno dei comportamenti costituenti l’illecito amministrativo si presentava come una sorta di specificazione delle condotte integranti il delitto di cui all’art. 185 TUF.
Con l’intervenuta modifica, tanto l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate quanto quello di manipolazione del mercato sono ora delineati – per tramite del rinvio espressamente previsto nelle due rammentate norme – dalle disposizioni degli artt. 14 (in relazione agli artt. 8 10) e 15 (in relazione all’art. 12) del Regolamento 2014/596/UE (MAR). Le norme del MAR contemplano condotte analiticamente descritte, con un grado di dettaglio particolarmente attento e puntuale, e – ciò che maggiormente interessa dal presente punto di vista – tali disposizioni sono collocate all’interno di un corpus normativo (il Regolamento e la Direttiva), che a propria volta prevede corrispondenti fattispecie di illecito penale (rectius: fattispecie alle quali il legislatore nazionale dovrebbe conformarsi per la previsione dei delitti), anch’esse disegnate attraverso una puntuale, precisa e analitica descrizione delle condotte proscritte (si tratta degli artt. 3, 4 e 5 della Direttiva 2014/57/UE). Si noti ancora che il legislatore eurounitario ha tentato di caratterizzare già sul piano della descrizione del fatto punibile in maniera differente illeciti penali e illeciti amministrativi, sicché – osservando le rispettive norme del Regolamento e della Direttiva – ci si avvede che i singoli illeciti (penali e amministrativi) sono fra loro differenti. Come noto, però, il legislatore italiano, nella certo non perspicua opera di attuazione della normativa eurounitaria, ha ritenuto di non modificare le fattispecie criminose, che sono rimaste sostanzialmente immutate (almeno per la parte qui d’interesse). Occorrerà quindi un lavoro d’interpretazione particolarmente attento (e tutt’altro che agevole) per stabilire se (ed eventualmente in quale misura) le nuove figure d’illecito amministrativo corrispondano (più esattamente: descrivano comportamenti che siano riconducibili) alle fattispecie astratte dei delitti di cui agli artt. 184 e 185 TUF (rimasti – come detto – invariati, malgrado l’esplicita indicazione del legislatore eurounitario[1]).
2. Tornando ora ai fatti oggetto della pronuncia in commento, conviene rammentare brevemente il nucleo della questione, segnalando sin d’ora che i Giudici della legge hanno compiuto un’attenta opera di ricostruzione esegetica del dibattito sviluppatosi a seguito della sentenza Grande Stevens c. Italia[2], che ha riportato all’attenzione della giurisprudenza e della dottrina una questione peraltro risalente. Nel seguire l’andamento non lineare di tale dibattito, la Corte regolatrice riesce a far emergere gli snodi salienti e, cogliendone il precipitato ultimo, individua il principio di diritto attraverso il quale l’interprete è chiamato a risolvere di volta in volta la situazione, critica al cospetto del canone del ne bis in idem, che si determina quando all’autore del medesimo fatto siano stati contestati (e ritenuti sussistenti) un reato e un illecito amministrativo. In assenza (perdurante, posto che il d.lgs. 107/2018 non ha posto rimedio al vuoto[3]) di una disciplina positiva dettata dal legislatore, il diritto vivente è necessariamente chiamato a fornire gli indispensabili strumenti ermeneutici.
In estrema sintesi, il caso presente può essere così riassunto: tre soggetti, dopo essere stati definitivamente sanzionati per la commissione dell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato (art.187-ter TUF, formulazione previgente), si trovano al cospetto dei Giudici della Corte di cassazione per la violazione dell’art. 185 TUF (delitto di manipolazione del mercato), avendo eccepito – fra gli altri motivi di doglianza – la violazione del principio del ne bis in idem (evocando in proposito i riferimenti normativi degli artt. 649 c.p.p., 4 par. 1 del protocollo 7 CEDU, 50 CDFUE).
Dopo aver ricordato che «la sentenza CEDU Grande Stevens c. Italia del 4 Marzo 2014 (…) proprio in materia di manipolazione del mercato, hastabilito che uno stesso fatto non possa essere sanzionato due volte, dapprima nel procedimento amministrativo (ex art. 187 ter d.lgs. n. 58 del 1998), caratterizzato da una tale afflittività del peso della sanzione da essere senza dubbio ricompreso nella "materia penale" (…) e quindi, successivamente, in un procedimento penale sorto sugli stessi fatti, in base al reato di cui all'art. 185 d.lgs. n. 58 del 1998».
Esattamente la sentenza ricorda che già «a partire dal caso Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, sono stati ritenuti parametri idonei a rivelare la sostanziale essenza penale di un determinato illecito, nonostante il nomen iuris adottato dal legislatore nazionale»[4]. A connotare una disciplina punitiva in termini propriamente “penali” è non soltanto un dato formale (variabile, com’è ovvio, da ordinamento a ordinamento, a seconda degli indici assunti per la caratterizzazione), ma, piuttosto, il carattere afflittivo/intimidativo della misura applicata in conseguenza della violazione di un precetto. I c.d. Engel criteria elaborati dalla Corte EDU costituiscono un punto fermo nella giurisprudenza di Strasburgo e sono stati altresì espressamente accolti in ambito eurounitario, con perfetta sovrapponibilità lessicale e semantica: secondo la CGUE, infatti, nel valutare la «natura penale di procedimenti e di sanzioni (…) sono rilevanti tre criteri. Il primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell’illecito e il terzo nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere»[5].
Un punto fisso, ormai non revocabile in dubbio, è ulteriormente fissato dalla sentenza in discorso, che perspicuamente ne sottolinea la natura di espressione del diritto vivente: «la nozione di “illecito amministrativo di natura sostanzialmente penale” è ormai considerata diritto vivente ed è recepita dalla Giurisprudenza delle Corti Europee e da quella di questa Corte di legittimità, che sovente si sono cimentate con la questione del doppio binario sanzionatorio e del conseguente problema della violazione del divieto di bis in idem, cioè della possibilità di sanzionare attraverso procedure parallele lo stesso fatto due volte con provvedimenti, uno di natura penale e l'altro solo formalmente amministrativo ma, per la sua portata afflittiva, di natura penale»[6].
Come noto, dopo la sentenza Grande Stevens (e alcune immediatamente successive che si ponevano nella stessa linea[7]) è intervenuta la decisione della Grande Camera della Corte EDU A e B c. Norvegia 15 novembre 2016[8] che ha «ridimensionato il precedente orientamento». La Grande Camera ribadisce altresì i presupposti dell’identità del fatto storico e della natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative, ma riafferma il principio che gli Stati possono adottare risposte sanzionatorie complementari di fronte a comportamenti socialmente inaccettabili, con il limite che ciò non comporti un onere eccessivo per il soggetto sanzionato. Nella efficace sintesi della sentenza in esame, la Grande Camera finisce con l’affidare «al giudice nazionale il compito di stabilire se ci si trovi, o meno, in presenza di un bis in idem, valutando se i procedimenti in questione presentino, avendo riguardo alle peculiarità dei casi di specie, l'ulteriore requisito di un nesso materiale e temporale sufficientemente stretto, “sufficiently close connection in substance and time”».
La decisione annotata riassume quindi i «criteri che i Giudici nazionali dovranno prendere in considerazione (…) sotto il profilo del nesso materiale: a) del perseguimento, da parte dei procedimenti sanzionatori, di scopi differenti e del loro tenere conto di profili diversi della medesima condotta antisociale; b) della "prevedibilità" del doppio giudizio; c) della conduzione dei procedimenti in modo da evitare, per quanto possibile, la duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova; d) della “proporzione complessiva” della pena; e) dell'appartenenza delle fattispecie in oggetto al “nucleo duro” del diritto penale e, dunque, caratterizzate da forme accentuate di stigma sociale; sotto il profilo temporale: f) della presenza di un collegamento di natura cronologica fra i procedimenti, che devono essere sufficientemente vicini nel senso di non protrarsi eccessivamente nel tempo, affinché la persona sottoposta alla giustizia non lo sia per un periodo irragionevolmente prolungato».
A commento, osserva esattamente la Corte di Cassazione che «i due procedimenti non solo possono iniziare ma anche concludersi, mutando in tal modo profondamente la natura del ne bis in idem convenzionale, che varia da principio eminentemente processuale del divieto del doppio processo, ancor prima che della doppia sanzione sostanzialmente penale, a garanzia di tipo sostanziale. Infatti, purché la risposta sanzionatoria, derivante dal cumulo delle due pene inflitte nei diversi procedimenti, sia complessivamente proporzionata alla gravità del fatto e prevedibile, nulla vieta ai legislatori nazionali di predisporre un doppio binario sanzionatorio ed alle Autorità preposte di percorrerlo fino alla decisione».
La valorizzazione della natura sostanziale (a corrispondente discapito di quella processuale[9]) implica che il criterio della proporzione acquista preminenza nel catalogo di quelli individuati dalla decisione della Grande Camera, «in armonia con i principi generali del sistema penale in punto di trattamento sanzionatorio», posto che (…) «se esiste un meccanismo compensatorio per assicurare che l'importo globale di tutte le pene sia proporzionato» è possibile «non far gravare sull'interessato un onere eccesivo»: per rendere «questo rischio (…) meno suscettibile di presentarsi (…) occorre stabilire se la sanzione imposta all'esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nel procedimento conclusosi per ultimo».
3. Ad approdi simili – e sostanzialmente consolidati[10] – giunge, nella prospettiva in questione, anche la Corte di Giustizia della UE: la decisione in commento, dopo aver ricordato che la sentenza Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson 26 febbraio 2013, C-617/10[11], per la quale gli Stati membri sono liberi di ricorrere contestualmente a misure amministrative e penali, sempre che «la formale qualificazione delle prime non celi in realtà un’indebita duplicazione punitiva, in spregio al divieto di doppio giudizio», ribadendo in proposito la valenza dei criteri Engel, che legittimerebbero in tal caso l’interprete a ritenere violato il divieto del doppio giudizio in applicazione dell’art. 50 della Carta. Sempre secondo il dictumdella Corte di Giustizia «la valutazione sulla compatibilità del cumulo di sanzioni con il ne bis in idem spetta in via prioritaria al giudice nazionale», che può affidarsi agli standard di tutela interni, «purché ciò non infici il livello di protezione assicurato dalla Carta ed il primato del diritto dell'Unione Europea».
Nel contesto assumono poi grande rilievo tre decisioni della Grande Sezione della Corte di Giustizia pronunziate nel marzo 2018[12]: fra di esse, che in sostanza affermano i medesimi principi, la decisione in commento attribuisce particolare risalto alla sentenza Garlsson Real Estate, in quanto maggiormente vicina (sebbene speculare) al caso oggetto della pronunzia della Corte regolatrice. Nel caso affrontato dalla Grande Sezione, riguardante un’ipotesi di manipolazione del mercato, nel quale era stata inflitta una sanzione pecuniaria di natura amministrativa/penale, ai sensi dell'art. 187-terTUF, a soggetti già destinatari di una sentenza definitiva del Giudice penale in relazione al reato di cui all'art. 185 TUF, scaturita da un patteggiamento, la questione pregiudiziale posta alla Corte di Giustizia consisteva nella domanda «se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del “ne bis in idem”, in base all'art. 50 [della Carta], interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della normativa nazionale».
La Grande Sezione, ribadito l'obiettivo perseguito dalla normativa istitutiva del doppio binario sanzionatorio nella tutela dei mercati finanziari dell'Unione e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari, considerato lo stesso adeguato a fondare la limitazione dell'art. 50 CDFUE, nonché sufficientemente proporzionato a tale scopo, ha ritenuto che il rispetto del principio di proporzionalità implica che il cumulo di procedimenti e di sanzioni previsto da una normativa nazionale non debba superare i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva. Una notazione cruciale viene ben evidenziata dalla Corte regolatrice nel sintetizzare la decisione della Grande Sezione: «il cumulo delle sanzioni deve essere accompagnato da norme che garantiscano che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte corrisponda alla gravità del reato, derivando tale obbligo dall'articolo 52 par. 1 della Carta e dal principio di proporzionalità delle pene sancito dall'articolo 49, par. 3. Tali norme devono contemplare per le autorità procedenti, in caso di irrogazione di una seconda sanzione, il dovere di verificare che la severità del trattamento sanzionatorio complessivo non ecceda la gravità del reato».
È interessante notare che, rispetto al caso specie, la Corte di Lussemburgo ha ritenuto inadeguato il meccanismo di riequilibrio sanzionatorio dell'art. 187-terdecies TUF: lapresenza della pena della reclusione ha indotto la Grande Sezione ad affermare che il ricordato art. 187-terdecies «non garantisce che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato in questione, dal momento che l'articolo 187-terdeciess embra avere ad oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione»(si ricordi infatti che il rammentato art. 187-terdecies prevedeva che, quando per lo stesso fatto sono state applicate una multa e una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale, l'esazione della multa è limitata alla parte eccedente l'importo della sanzione amministrativa, senza alcuna esplicita previsione nel caso dell’applicazione della pena detentiva).
4. La sentenza in commento dedica poi un breve excursus alla posizione assunta in materia dal Giudice delle leggi, cogliendone la sintesi nella sentenza n. 43 del 24 gennaio 2018, nella quale la Consulta, dopo aver rilevato che l’ormai consolidato principio del nesso strumentale e temporale sufficientemente stretto, se riscontrato sussistente tra i due procedimenti amministrativo e penale, rende il doppio binario conforme alla Convenzione EDU, ha affermato che «il mutamento del significato della normativa interposta, sopravvenuto all'ordinanza di rimessione per effetto di una pronuncia della grande camera della Corte di Strasburgo, che esprime il diritto vivente europeo, comporta la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Se, infatti, il giudice a quoritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell'ordinamento, incidendo sull'art 649 cod. proc. pen., alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto».
Si noti che tale esito giunge dopo che i Giudici costituzionali avevano ripetutamente posto in risalto che, sia pure al cospetto della qualificazione di un dato apparato sanzionatorio come “matière pénale” secondo l’interpretazione della Corte di Strasburgo, siffatto inquadramento non legittima, né impone, di estendere automaticamente le tutele offerte a livello nazionale in ambito penalistico stricto sensu, ché altrimenti si produrrebbe «una frizione con il principio costituzionale di sussidiarietà»[13], in virtù del quale merita invece di essere preservata «l’autonomia dell’illecito amministrativo dal diritto penale»[14]. Breve: «ciò che per la giurisprudenza europea ha natura ‘penale’ deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la ‘materia penale’, mentre solo ciò che è penale per l’ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presidi rinvenibili nella legislazione interna»[15].
5. Dopo aver richiamato alcune pronunzie della stessa Corte di legittimità a proposito del concetto di “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”, la decisione che si commenta giunge a una sintesi conclusiva, che merita di essere segnalata.
Dapprima viene còlta la ragione sostanziale del percorso argomentativo della giurisprudenza delle Corti europee: essa consiste nell’«obiettivo di trovare un giusto contemperamento di interessi tra le esigenze repressive dello Stato nazionale verso fatti illeciti di notevole disvalore sociale e le garanzie individuali» nonché «probabilmente allo scopo di mitigare gli effetti dell'applicazione del divieto di bis in idem processuale, come sancito dalla sentenza Grande Stevens, ritenuto troppo rigido e che aveva provocato difficoltà applicative negli Stati membri». Da ciò scaturisce quindi «l'elaborazione del principio dello stretto nesso materiale e temporale (…) anche attraverso il riferimento e l'analisi dei sub-criteri materiali e temporali (…) tra questi il sub-criterio prevalente per verificare la presenza della stretta connessione è pacificamente individuato in quello della “proporzionalità” tra il cumulo di sanzioni irrogate (di cui quella amministrativa pecuniaria è ormai considerata di natura penale) e la gravità dell'illecito. In definitiva – nel ricorrere degli altri indici rivelatori dello stretto nesso materiale e temporale – è considerata legittima la parallela instaurazione, prosecuzione e decisione sanzionatoria tramite il doppio binario di procedure, purché esse formino un insieme integrato di procedimenti e di relative sanzioni, caratterizzato dalla prevedibilità; ed al giudice nazionale, in base ai suindicati sub-criteri, è affidato il compito di accertarne la ricorrenza nel caso concreto».
Ma al Giudice della legge non sfugge uno snodo problematico, irrimediabile per l’interprete, e che con nettezza viene ribadito: «di certo, tutto ciò comporta, in mancanza di un chiaro riferimento normativo, l'esercizio di compiti interpretativi molto complessi ed articolati, che non possono prescindere da una attenta valutazione dei singoli casi concreti con i quali il giudice si deve confrontare». Rimane da notare che la lamentata “mancanza di un chiaro riferimento normativo” è rimasta tale, pur dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 107/2018, posto che l’art. 187-terdecies TUF (anche nella nuova formulazione dettata dall’art. 4 co. 17 d.lgs. cit.) si limita ad assicurare il coordinamento (una sorta di somma algebrica) delle sole sanzioni pecuniarie applicate da Consob e dall'Autorità giudiziaria[16].
6. Visto più in dettaglio, il problema della inadeguatezza dell’art. 187-terdecies TUF a fungere da strumento per “riequilibrare” il cumulo sanzionatorio derivante dal doppio binario (scongiurando così il rischio della violazione del canone del ne bis in idem) consiste nel rilievo che tale norma aveva riguardo soltanto alle pene pecuniarie, rispetto alle quali stabiliva che, «quando per uno stesso fatto è stata applicata una sanzione amministrativa pecuniaria, l'esazione della pena pecuniaria dipendente da reato è limitata alla parte eccedente quella riscossa dall'Autorità amministrativa (…), garantendo che l'esazione della pena patrimoniale da illecito penale sia effettuata solo nella misura in cui essa sia di entità superiore alla sanzione in denaro irrogata dall'autorità amministrativa, nel rispetto del principio di proporzionalità ex art. 52 CDFUE».
Tale meccanismo non viene ritenuto adeguato dalla Corte di Lussemburgo – come ricorda la commentata sentenza – «in quanto ha ad oggetto solo il cumulo delle pene pecuniarie, restando fuori dalla funzione di riequilibrio la pena della reclusione» e, per vero, anche le pene accessorie interdittive. Né la situazione è destinata a mutare posto che – come in precedenza notato – anche l’attuale formulazione dell’art. 187-terdecies concerne soltanto le pene pecuniarie.
Di fronte al principio stabilito dalla Corte di Giustizia e accolto dalla decisione della Corte di Cassazione in discorso, secondo il quale «il cumulo di sanzioni di natura penale può essere ammesso a condizione che nell'ordinamento dello Stato membro esistano norme che garantiscano che la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte non risulti eccessiva rispetto alla gravità del fatto concretamente verificatosi», i Giudici della legge individuano il riferimento normativo nell’art. 133 c.p., norma che «impone in via generale al giudice di commisurare la pena alla “gravità” del fatto commesso; tale norma vincola infatti il decidente nell'esercizio del potere discrezionale attribuitogli dall'ordinamento in relazione alla determinazione della pena da infliggere, in linea con il principio di legalità della pena (…) Spetta dunque al giudice nazionale il compito di verificare la proporzionalità delle sanzionicomplessivamente irrogate con riguardo a tutte le circostanze della fattispecie concreta oggetto del giudizio».
Se sul piano formale la soluzione cui perviene la Corte regolatrice appare impeccabile, è difficile non osservare che l’ampiezza dei parametri contemplati nello stesso art. 133 c.p. e le incertezze e i dubbi interpretativi che caratterizzano la disposizione, non autorizzano prognosi fauste circa l’idoneità della stessa a fornire parametri sicuri e affidabili in materia.
7. Con riguardo al caso concreto, la sentenza giunge alla conclusione che «la sola sanzione penale inflitta – stabilita in sostanza nel minimo sia per la pena della reclusione che della multa – non appare idonea a reprimere il delitto in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva ed il trattamento sanzionatorio derivante dall'insieme delle pene in concreto applicate non risulta eccessivamente oneroso per i soggetti interessati».
A tale conclusione la Corte regolatrice perviene dopo aver notato che, stante la «gravità del reato (…) caratterizzato da una significativa incidenza delle attività degli imputati sul prezzo del titolo anche a causa della sua protrazione per un lungo periodo», l’art. 187-terdecies non assicura che «la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario e proporzionato», anche in considerazione del fatto che «a causa del meccanismo di compensazione previsto in fase di esecuzione dall'art. 187-terdecies TUF tra le sanzioni pecuniarie derivanti dal doppio binario sanzionatorio applicato ai ricorrenti, le multe inflitte in sede penale agli imputati, dovrebbero essere esatte solo nella misura eccedente la sanzione amministrativa già riscossa; tuttavia, nella specie, essendo state fissate le multe a carico degli imputati in misura inferiore alle sanzioni ex art. 187-ter, ne consegue che esse, a seguito dell'incameramento da parte dell'Autorità amministrativa dell'importo delle sanzioni irrogate da Consob, non dovranno essere portate in esecuzione».
È tuttavia doveroso notare che, rispetto al caso risolto dalla sentenza in commento, quello oggetto della decisione della Corte di Giustizia, pur simile, si presentava in modo rovesciato, dal momento che, a essersi concluso in epoca anteriore, era stato il giudizio penale. In proposito la Corte di Lussemburgo aveva dunque rilevato l’irrilevanza della circostanza che «la pena definitiva pronunciata in applicazione dell’articolo 185 del TUF [si era estinta] per effetto di un indulto (…) Infatti, dall’articolo 50 della Carta emerge che la protezione conferita dal principio del ne bis in idem deve applicarsi alle persone che sono state assolte o condannate con sentenza penale definitiva, comprese, quindi, quelle alle quali è stata inflitta, con una sentenza siffatta, una sanzione penale successivamente estintasi per indulto»[17].
Se alla luce di una situazione, nella quale la sanzione criminale è in concreto priva di sostanziale effettività (in ragione dell’indulto), la Corte di Lussemburgo ha affermato che «l’articolo 50 della Carta dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva»[18], appare non agevole argomentare che la sanzione criminale (prevista per il medesimo fatto) sia in concreto sproporzionata per eccesso, qualora quella amministrativa/penale sia stata applicata in via definitiva per prima. Tanto più in un sistema, come quello divisato dal legislatore eurounitario, nel quale viene assegnata preminenza allo strumento punitivo penale (in senso stretto).
Sicché non stupisce, infine, che, comparando le sanzioni in astratto, la Corte di Lussemburgo attribuisca valenza maggiormente afflittiva a quelle penali stricto sensu rispetto alle correlate misure sanzionatorie amministrative[19]. Ne segue, tuttavia, il carattere asimmetrico del ne bis in idem eurounitario: qualora il processo penale si concluda per primo, indipendentemente dall’esito (condanna dell’imputato o assoluzione per insussistenza del fatto), esso costituirà uno sbarramento di fatto invalicabile per il procedimento amministrativo[20], mentre nell’ipotesi inversa (id est: quando l’accertamento penalistico è successivo a quello extra-penale) vi sarebbe spazio per il cumulo sanzionatorio, con il ricordato limite di proporzionalità, il cui scrutinio è comunque demandato alla giurisdizione interna, con riferimento al singolo caso concreto[21].
[1] Per le criticità – e le possibili soluzioni – dei profili concernenti le “identità” delle fattispecie, cfr F. Viganò, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2016, 202; M. Scoletta, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem nella nuova disciplina eurounitaria degli abusi di mercato, in Società, 2016, 218 ss.; E. Basile, Una nuova occasione (mancata) per riformare il comparto penalistico degli abusi di mercato? Lo schema del d.d.l. di delegazione europea 2016, in questa Rivista, fasc. 5/2017, 271; nonché, volendo, F. Mucciarelli, La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione e ne bis in idem, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2015, 295 ss.
[2] Corte EDU, Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014, inquesta Rivista, 9 marzo 2014. Su tale fondamentale pronuncia cfr, tra i numerosi commenti, A. Alessandri, Prime riflessioni sulla decisione della CEDU riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. comm., 2014, I, 855 ss.; F. D’Alessandro,Tutela dei mercati finanziari e rispetto dei diritti umani fondamentali, in Dir. pen. proc., 2014, 614 ss.
[3] In proposito cfr., scusandomi per l’ineleganza dell’autocitazione, F. Mucciarelli, Gli abusi di mercato riformati e le persistenti criticità di una tormentata disciplina, in questa Rivista, 10 ottobre 2018.
[4] Corte EDU, Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, in www.hudoc.echr.coe.int; v., altresì, Corte EDU, Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1985, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, 894, con nota di C.E. Paliero,“Materia penale” e illecito amministrativo secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: una questione classica e una svolta radicale.
[5] Così CGUE, GS, 20 marzo 2018, Menci, (C-524/15), § 26, in questa Rivista, 21 marzo 2018, con richiami alla giurisprudenza eurounitaria monoliticamente orientata in conformità.
[6] Si noti che anche i Giudici delle leggi riconoscono tale nozione: v. Corte cost., sent. 14-18 aprile 2014, n. 104, in Giur. cost., 2014, 1847, che conferma il principio già espresso dalla Consulta medesima (sent. n. 196/2010) secondo il quale «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto». La richiamata equiparazione non ha comunque carattere assoluto, dal momento che un’applicazione illimitata della stessa cancellerebbe dall’ordinamento le figure di illecito amministrativo.
[7] In tal senso si vedano Corte EDU, Lucki Dev c. Svezia, 27 novembre 2014, in questa Rivista, 11 dicembre 2014; Corte EDU, Kiiveri c. Finlandia, 10 febbraio 2015, in questaRivista, 27 marzo 2015.
[8] Corte EDU, GC, A e B c. Norvegia, 15 novembre 2016, in questa Rivista, 18 novembre 2016, con nota di F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio.
[9] In proposito, volendo F. Mucciarelli, Tutela dei mercati finanziari e cumulo sanzionatorio, in La «materia penale» tra diritto nazionale ed europeoa cura di M. Donini e L. Foffani, Torino, 2018, 275.
[10] Pur partendo da analoghe premesse, perviene a esiti opposti in una fattispecie di cumulo sanzionatorio in ambito fiscale largamente sovrapponibile a quella decisa dalla Grand Chambre nel 2016, Corte EDU, Jóhannesson c. Islanda, 18 maggio 2017, in questa Rivista, con nota di F. Viganò, Una nuova sentenza di Strasburgo su ne bis in ideme reati tributari.
[11] CGUE, GS, 26 febbraio 2013, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson (C-617/10), in questa Rivista, 15 aprile 2013.
[12] Si tratta delle sentenze CGUE, GS, 20 marzo 2018, Menci (C-524/15); CGUE, GS, 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate c. Consob (C-537/16); CGUE, GS, 20 marzo 2018, Di Puma e Zecca c. Consob (C-596/16 e C-597/16); tutte in questa Rivista, 21 marzo 2018, con nota di A. Galluccio, La Grande Sezione della Corte di Giustizia si pronuncia sulle attese questioni pregiudiziali in materia di bis in idem. Per un commento delle richiamate decisioni si veda E. Basile, Il “doppio binario” sanzionatorio degli abusi di mercato in Italia e la trasfigurazione delne bis in idem europeo, in Giur. comm. (in corso di pubblicazione).
[13] Corte cost., sent. 7 febbraio-7 aprile 2017, n. 68, in www.giurcost.org.
[14] Così Corte cost., 14 gennaio-26 marzo 2015, n. 49, in www.giurcost.org.
[15] in questi termini Corte cost., sent. 10 gennaio-24 febbraio 2017, n. 43, in www.giurcost.org.
[16] Sul punto cfr, volendo., F. Mucciarelli, Gli abusi di mercato riformati, cit.
[17] GS, 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate c. Consob (C-537/16).
[18] Ancora GS, 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate c. Consob (C-537/16).
[19] Cfr, in particolare, CGUE, GS, 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate c. Consob, cit., ove si osserva che il requisito di “necessità”, cui è subordinato la legittimità del duplice procedimento e del correlato cumulo punitivo, non può ritenersi integrato laddove sia intervenuta una sentenza penale definitiva, ancorché la sanzione criminale stricto sensusi sia successivamente estinta (nel caso di specie per indulto). L’unico temperamento individuato dalla Corte di Lussemburgo rispetto al carattere preclusivo della previa decisione propriamente penalistica attiene d’altronde all’idoneità della pena «a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva» (ibidem).
[20] Si consideri la differente conclusione raggiunta dalla Corte di giustizia UE in re Menci rispetto alle contemporanee decisioni Garlsson Real Estate c. Consob, cit.: nel primo caso, l’intervenuta irrogazione di una misura sanzionatoria amministrativa (benché qualificabile come “penale” ai fini delle garanzie sovranazionali sul ne bis in idem) non è d’ostacolo all’apertura di un procedimento penale sui medesimi fatti, operando al riguardo il solo limite della proporzionalità punitiva; nell’altra vicenda si ritiene invece preclusa l’operatività delle figure di illecito amministrativo, con applicazione della garanzia sancita dall’art. 50 CDFUE (ferma, come più volte indicato, l’idoneità repressiva della sanzione penale in senso stretto).
[21] In senso critico sul richiamato approdo della CGUE v. E. Basile, Il “doppio binario”, cit., ad avviso del quale si rischierebbe per questa via di incentivare «impropriamente definizioni anticipate del procedimento penale – magari attraverso un “patteggiamento” – al precipuo scopo di paralizzare l’avvio o la prosecuzione della procedura sanzionatoria Consob».