17 ottobre 2016 |
A Never-Ending Story? Alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione della compatibilità tra ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia, questa volta, di abusi di mercato
Prime osservazioni su Cass., sez. trib. civ., ord. 20 settembre 2016 (dep. 13 ottobre 2016), n. 20675/16, Pres. e Rel. Chindemi
1. Davvero una storia infinita: toccherà ancora alla Corte di giustizia dell’Unione europea, già sollecitata da ben tre ordinanze italiane a pronunciarsi sulla compatibilità del doppio binario sanzionatorio in materia di reati tributari con il diritto al ne bis in idem riconosciuto dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE)[1], a stabilire se lo stesso art. 50 CDFUE osti alla vigente e analoga disciplina in materia di abusi di mercato, che prevede – come noto – un parallelo sistema di sanzioni penali e amministrative sostanzialmente per le medesime condotte; e, soprattutto, se in caso affermativo l’art. 50 CDFUE sia suscettibile di diretta applicazione da parte del giudice comune, con conseguente obbligo per il medesimo di sospendere il secondo procedimento (penale o civile che sia) che risulti ancora pendente una volta divenuto definitivo il provvedimento che abbia la prima sanzione all’autore del fatto.
2. Brevissimamente, gli antecedenti.
La Consob emetteva nei confronti di Stefano Ricucci e di due società a lui collegate un provvedimento sanzionatorio in cui irrogava una sanzione amministrativa pecuniaria di oltre 10 milioni di euro per l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato di cui all’art. 187 ter t.u.f., in relazione ad alcune operazioni di mercato e di diffusione al pubblico di informazioni finalizzate a sostenere il prezzo di titoli quotati nei mercati regolamentari.
La Corte d’appello di Roma riduceva la sanzione pecuniaria a 5 milioni; avverso tale provvedimento tutte le parti proponevano ricorso per cassazione.
Nelle more, Stefano Ricucci – sottoposto a parallelo procedimento penale, tra l’altro, per il delitto di manipolazione del mercato di cui all’art. 185 t.u.f. in relazione alle medesime condotte per le quali era già stato sanzionato dalla Consob – definiva la propria posizione con sentenza di patteggiamento, divenuta poi definiva, con la quale gli veniva applicata la pena di tre anni di reclusione, integralmente condonata ex l. 241/2006, oltre a varie pene accessorie.
La sezione tributaria civile della Cassazione, avanti alla quale pendeva il ricorso per cassazione contro la sanzione irrogata dalla Consob, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 187-ter t.u.f. per contrasto con l’art. 177 co. 1 Cost. in riferimento, tra l’altro, all’art. 4 prot. 7 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens c. Italia[2].
La questione veniva, tuttavia, restituita al mittente dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 102/2016[3], la quale sottolineava come la questione medesima fosse stata prospettata in termini “dubitativi” e “perplessi” dal giudice a quo, che non aveva sciolto il dubbio se la soluzione apparentemente imposta dalla Corte EDU in Grande Stevens fosse o meno compatibile con gli obblighi di repressione degli abusi di mercato imposti dal diritto dell’Unione europea.
Il giudizio veniva così riassunto avanti alla Sezione tributaria, che decide ora – con l’ordinanza qui pubblicata – di rimettere la questione alla Corte di giustizia UE.
3. Familiari, a chi abbia seguito sin qui la questione, dovrebbero risultare i passaggi essenziali dell’argomentazione della Sezione tributaria – per il vero, da un lato con qualche sovrabbondanza (ad es., nella ricostruzione della disciplina sanzionatoria in materia di reati tributari, del tutto irrilevante nel caso di specie), e dall’altro con qualche non irrilevante omissione (in particolare, in relazione all’assenza di motivazione relativa alla pertinenza della questione all’ambito di applicazione del diritto UE, che condiziona la stessa applicabilità delle garanzie della Carta).
Necessario presupposto della ricevibilità della questione da parte della Corte di giustizia è, in effetti, la constatazione che la disciplina sanzionatoria in materia di abusi di mercato ricade nell’ambito di applicazione del diritto UE, essendo oggetto di specifica regolamentazione a livello di normativa secondaria (da ultimo, della coppia rappresentata dalla direttiva 2014/57/UE e dal regolamento 596/2014); ciò che determina, ai sensi dell’art. 51 CDFUE, l’applicabilità dell’insieme dei diritti e delle garanzie riconosciute dalla Carta, tra le quali – appunto – quella relativa al ne bis in idem, proclamata dall’art. 50 CDFUE.
4. La prima questione sottoposta alla Corte di giustizia – nella sostanza assai simile a quella già formulata dalle tre ordinanze poc’anzi citate in materia di illeciti tributari – concerne, allora, il significato da attribuirsi all’art. 50 CDFUE. Più in particolare, il giudice del rinvio chiede anche in questo caso se la disposizione in parola debba essere interpretata alla luce della lettura che la Corte EDU ha fornito della parallela disposizione convenzionale di cui all’art. 4 Prot. 7 CEDU, che pure proclama il diritto al ne bis in idem in una serie costante di pronunce, e in ispecie in Grande Stevens c. Italia.
Come si ricorderà, la Corte EDU aveva affermato in Grande Stevens che le sanzioni irrogate dalla CONSOB, ancorché formalmente qualificate come “amministrative” dalla legge italiana, debbono in realtà considerarsi come “sostanzialmente penali” ai fini delle garanzie che la CEDU e i suoi protocolli riservano alla materia penale, tra cui appunto il diritto al ne bis in idem. Tale diritto – nella declinazione fornitane dalla giurisprudenza della Corte EDU – comporta il divieto di celebrare o proseguire un procedimento funzionale all’irrogazione di una sanzione (formalmente o sostanzialmente) penale per una determinata condotta materiale, allorché il suo autore sia già stato giudicato in via definitiva per quella stessa condotta nell’ambito di un diverso procedimento avente anch’esso natura (formalmente o sostanzialmente) penale. Nel caso di specie deciso in Grande Stevens, i ricorrenti erano già stati sanzionati in via definitiva dalla CONSOB, e avevano dunque lamentato – con successo – la violazione del proprio diritto al ne bis in idem in relazione alla perdurante pendenza di un procedimento penale per la medesima condotta.
Nel caso di specie ora sottoposto alla Cassazione, invece, la situazione è rovesciata: i ricorrenti sono già stati sanzionati in via definitiva in sede penale, per effetto di una sentenza di patteggiamento, e lamentano ora di essere ancora sottoposti a un procedimento di opposizione alle sanzioni già irrogate nei loro confronti dalla CONSOB, con conseguente analoga violazione del loro diritto al ne bis in idem dal punto di vista del diritto convenzionale.
Di qui la questione ora sottoposta dalla Cassazione alla Corte di giustizia, che mira al definitivo chiarimento se la corrispondente garanzia fornita dall’art. 50 CDFUE abbia il medesimo contenuto di quella di cui all’art. 4 Prot. 7 CEDU. Il giudice del rinvio chiede in particolare ai supremi giudici del diritto UE di indicare se anche dall’art. 50 CDFUE derivi un divieto di “celebrare un procedimento amministrativo avente ad oggetto un fatto (condotta illecita di manipolazione del mercato) per cui il medesimo soggetto abbia riportato condanna penale irrevocabile” .
5. La seconda questione sottoposta alla Corte di giustizia è d’altra parte essenziale ai fini della determinazione delle conseguenze nel giudizio di rinvio di una ipotetica risposta affermativa al primo quesito: la Cassazione chiede, in effetti, “se il giudice nazionale possa applicare direttamente i principi unionali in relazione al principio del ‘ne bis in idem’, in base all’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU, della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della normativa nazionale”.
Al di là della formulazione non proprio cristallina del quesito, la sostanza è chiara: il giudice del rinvio sollecita un chiarimento definitivo circa la possibilità di un’applicazione diretta da parte del giudice comune dell’art. 50 CDFUE, con conseguente proprio dovere di chiudere anticipatamente con una pronuncia di rito – pur in assenza di alcuna norma nazionale che gli conferisca un tale potere – il procedimento sanzionatorio ancora pendente alla data in cui il primo procedimento sanzionatorio si concluda con una pronuncia definitiva.
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6. Difficile fare previsioni, ora, sull’esito di questa vicenda: mai come in questo caso habent sua sidera lites.
Il dubbio non riguarda, per la verità, la seconda questione, alla quale la Corte di giustizia ha già dato una risposta nella sentenza Fransson, dove testualmente si afferma, al § 45: “Per quanto riguarda poi le conseguenze che il giudice nazionale deve trarre da un conflitto tra disposizioni del proprio diritto interno e diritti garantiti dalla Carta, secondo una costante giurisprudenza il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”. Più chiaro di così si muore, verrebbe da dire ove si abbandonasse ogni aplomb accademico.
Il dubbio concerne invece la prima questione.
Chi scrive ha più volte avuto modo di esplicitare il proprio pensiero in proposito[4], che ruota attorno alla seguente linea argomentativa:
- in base all’art. 52 § 3 CDFUE, “laddove [la Carta] contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”;
- le Spiegazioni ufficiali della Carta, delle quali occorre “tenere conto” nell’interpretazione della stessa (art. 6 § 1 TUE), chiariscono – in sede di commento all’art. 52 – che il richiamo alla Carta deve intendersi come comprensivo dei protocolli alla CEDU, tra cui dunque il Prot. n. 7, nonché dell’interpretazione fornita dalla Corte EDU della stessa Convenzione e dei protocolli, interpretazione che fissa dunque il livello minimo di tutela degli stessi diritti riconosciuti dalla Carta;
- la disposizione convenzionale corrispondente all’art. 50 CDFU è quella di cui all’art. 4 Prot. 7 CEDU, che - nell'interpretazione fornitane dalla Corte EDU - fissa dunque il livello minimo di tutela del diritto al ne bis in idem anche nell’ambito del diritto dell’Unione;
- che tale conclusione è suffragata dalle Spiegazioni relative allo stesso art. 50, ove si afferma espressamente che, per ciò che concerne la portata del ne bis in idem all’interno di ciascuno Stato membro, il contenuto di tutela dell’art. 50 è uguale a quello assicurato dall’art. 4 Prot. 7 CEDU;
- che la (sinora) costante giurisprudenza della Corte EDU, ribadita nei confronti del nostro Paese con la sentenza Grande Stevens, considera illegittimo un secondo procedimento di natura sostanzialmente penale relativo agli stessi fatti materiali che abbiano già formato oggetto di un primo procedimento sanzionatorio di natura sostanzialmente penale;
- ergo, l’art. 50 CDFUE osta effettivamente alla celebrazione o alla prosecuzione del secondo procedimento sanzionatorio.
La cautela, tuttavia, è d’obbligo, come già ho avuto modo di segnalare in un recentissimo contributo a commento di una recente (e discutibile) sentenza della Cassazione[5], perché uno dei presupposti su cui si regge questa intera argomentazione – la giurisprudenza della Corte EDU in materia di ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio – è attualmente posta in discussione in un caso, A e B c. Norvegia, che dovrebbe essere presto deciso dalla Grande Camera, e che potrebbe determinare, ove fossero accolte le difese del governo norvegese e di vari altri governi costituitisi in suo appoggio, un vero e proprio revirement di quella giurisprudenza.
Il caso A e B concerne, invero, le sovrattasse irrogate dall’amministrazione tributaria in relazione a violazioni aventi anche rilievo penale; ma è evidente che, laddove la Grande Camera dovesse modificare la propria giurisprudenza in materia, affermando in ipotesi che il ne bis in idem convenzionale non osta al doppio procedimento per la medesima infrazione tributaria, la decisione potrebbe ripercuotersi anche sulla materia affine degli abusi di mercato, con conseguente indebolimento – o addirittura travolgimento – del principio di diritto enucleabile da Grande Stevens.
Dall’esito di questo cruciale procedimento dipenderà verosimilmente – come pure ho avuto modo di sottolineare in quel contributo – anche la parallela decisione della Corte di giustizia nei casi ‘italiani’ relativi alla materia tributaria oggi pendenti, e ormai in stato avanzato di trattazione (l’udienza si è svolta nel settembre scorso), essendo anzi del tutto plausibile ipotizzare che la Corte di giustizia possa accogliere con favore un eventuale revirement della Grande Camera, in nome di una più efficace tutela dei propri interessi finanziari; con altrettanto prevedibili conseguenze a cascata anche sulla nuova questione pregiudiziale, ora proposta dalla Sezione tributaria della Cassazione.
7. Alla luce di tutto ciò, il messaggio finale che ragionevolmente può essere rivolto ai giudici italiani – rebus sic stantibus – non può che essere, tanto in materia tributaria quanto in materia di abusi di mercato, un invito alla prudenza, in attesa che dai giudici europei venga un chiarimento definitivo sull’estensione della garanzia convenzionale e, par ricochet, della corrispondente garanzia della Carta: chiarimento che è a questo punto pregiudiziale rispetto a qualsiasi operazione di adeguamento del nostro ordinamento agli obblighi internazionali in materia di ne bis in idem.
[1] Una di queste ordinanze (in causa Menci, C-524/15) è pubblicata in questa Rivista, con nota del sottoscritto, Ne bis in idem e omesso versamento dell’IVA: la parola alla Corte di giustizia, 28 settembre 2015.
[2] Cass., sez. trib., ord. 6 novembre 2014 (dep. 21 gennaio 2015), Pres. Merrone, Rel. Chindemi, in questa Rivista, 23 gennaio 2015.
[3] In questa Rivista, 16 maggio 2016, con nota del sottoscritto, Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato: dalla sentenza della Consulta un assist ai giudici comuni.
[4] Cfr., per una illustrazione distesa di ciascun passaggio, F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta?, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3-4/2014, p. 219 ss.; Id., Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, ivi, 8 febbraio 2016.
[5] F. Viganò, Omesso versamento di IVA e diretta applicazione delle norme europee in materia di ne bis in idem?, in questa Rivista, 11 luglio 2016.