9 marzo 2014 |
Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato
C. eur. dir. uomo, Seconda Sezione, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, ric. n. 18640, 18647, 18663, 18668 e 18698/2010
Per scaricare la sentenza qui presentata, clicca qui.
1. La Corte europea dei diritti dell'uomo, con questa sentenza sul caso Fiat-Ifil, mette in discussione il sistema italiano in materia di abusi di mercato, sia per violazione del diritto a un equo processo (art. 6 §1), sia per violazione del diritto a non essere giudicati o puniti due volte (art. 4 del Protocollo n.7).
2. Il caso verte sulla responsabilità a titolo di manipolazione del mercato per la diffusione al pubblico nell'agosto 2005 di comunicati provenienti da IFIL Investiments s.p.a. e Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a. (quest'ultima, azionista di controllo di FIAT s.p.a., in virtù del contemporaneo controllo azionario delle società EXOR, IFI e in particolare IFIL, detentrice di una partecipazione in FIAT pari al 30,6 %)
Al centro della complessa vicenda finanziaria (nel dettaglio, si veda Trinchera-Sassaroli-Modugno, Manipolazione del mercato e giudizio di accertamento del pericolo concreto:il caso FIAT, in questa Rivista, 24 settembre 2013), generata da un prestito di tre miliardi di euro contratto da FIAT s.p.a. nel 2002 con un gruppo di banche, accompagnato dall'accordo che in caso di mancato rimborso il debito si sarebbe automaticamente convertito in azioni (col conseguente rischio che IFIL perdesse la posizione di azionista di riferimento in seno a FIAT), v'è la comunicazione al mercato (richiesta dalla Consob ex art. 114, comma 5, d.lgs. 58/1998) del 24 agosto 2005, secondo la quale alcuna iniziativa circa la scadenza del prestito "convertendo" era stata al momento intrapresa o studiata, pur confermando IFIL l'intenzione di rimanere azionista di riferimento della Fiat.
Il carattere falso del comunicato insisterebbe sulla mancata menzione del progetto di rinegoziazione (che al momento della comunicazione sarebbe stato già concluso, ma celato per evitare i probabili effetti che la sua diffusione avrebbe avuto sul prezzo delle azioni FIAT) del contratto d'equity swap stipulato tra EXOR e la banca d'affari Merrill Lynch International (MYL), operazione che ha poi consentito a IFIL, attraverso la vendita a favore di quest'ultima da parte di EXOR delle azioni FIAT ricevute da MYL, di mantenere in FIAT la partecipazione di 30,6%, (così da consentirne il controllo).
Il fatto, contestato a coloro che hanno materialmente contribuito alla diffusione del comunicato, si è dunque incanalato nel doppio binario di giudizio - penale e amministrativo - preveduto dalla normativa in materia di abusi di mercato (artt. 180 e ss. del t.u.f.) con i seguenti esiti.
Nel procedimento amministrativo, ormai definito con sentenza passato in giudicato, si è riscontrata la violazione dell'art. 187 ter t.u.f.: la delibera con cui la Consob infligge le sanzioni amministrative, vale a dire quelle pecuniarie di cui all'art. 187 ter t.u.f., alle quali si accompagnano quelle accessorie (anche di tipo interdittivo) di cui all'art. 187 quater t.u.f., è del 9 febbraio 2007; il 23 gennaio 2008 la Corte d'Appello di Torino riduce nella misura le sanzioni applicate; il 23 giugno 2009 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Il procedimento penale (il cui sviluppo è stato seguito in questa Rivista ed è sinteticamente ricostruito in Trinchera-Sassaroli-Modugno, cit.) ha conosciuto un iter più tortuoso e ha sollevato questioni di significativo interesse circa il metodo di accertamento del pericolo concreto e della cd. price sensitivity, che non si possono qui ripercorrere (cfr. Falcinelli, Il giudice, l'antifrasi e una fata morgana, in questa Rivista, 3 giugno 2011; Scoletta, Prognosi e diagnosi del pericolo nel delitto di manipolazione del mercato, in Il Corriere del merito, 2011, 848 ss.; Amati, Abusi di mercato e sistema penale, Torino, 2012, 243; Preziosi, Il pericolo come evento e l'abbandono dello schema di accertamento prognostico nei reati di pericolo concreto, in Giur. comm., 2012, 1; nella manualistica, si vedano Sgubbi, La manipolazione del mercato, in Sgubbi-Fondaroli-Tripodi, Diritto penale del mercato finanziario, Padova, 2013, 98 ss. e Mazzacuva-Amati, Diritto penale dell'economia, Padova, 2013, 353).
Il Tribunale di Torino, con sentenza del 21 dicembre 2010, aveva assolto gli imputati dall'accusa di manipolazione del mercato per insussistenza del fatto. La Corte di Cassazione, con sentenza del 20 giugno 2012, ha accolto il ricorso proposto dalla Procura, annullando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d'Appello di Torino, la quale, con sentenza del 21 febbraio 2013, ha quindi riconosciuto la sussistenza del reato di cui all'art. 185 t.u.f. Verso tale pronuncia è stato proposto ricorso in Cassazione.
Questo il quadro giudiziario al momento della trattazione del ricorso da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.
3. Come accennato, la Corte EDU, con questa sentenza del 4 marzo 2014, resa dalla seconda sezione, ha all'unanimità riscontrato la violazione dell'art. 6 §1 della Cedu, ossia del diritto a un equo processo in un termine ragionevole, e dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della Cedu, ossia del diritto a non essere giudicati o puniti due volte, così accogliendo in parte le doglianze dei ricorrenti, i quali avevano denunciato anche la violazione dell'art. 6 § 3, vale a dire del diritto a essere informato dell'accusa nel più breve tempo possibile, e dell'art. 1 del Protocollo n.1, vale a dire del diritto al rispetto della proprietà dei beni.
Concentrandoci sui motivi accolti, per il primo dei due il giudice di Strasburgo ha rilevato come il procedimento penale-amministrativo svoltosi davanti alla Consob non sia stato conforme alle esigenze di equità e imparzialità oggettiva sancite dall'art. 6 § 1 Cedu.
La Corte ritiene infatti che la procedura davanti la Consob, pur avendo ad oggetto un illecito formalmente di tipo amministrativo, si sostanzi in un'accusa di natura penale, e, di conseguenza, che debba osservare le garanzie che l'art. 6 della Convenzione riserva ai processi penali (§§ 94 ss).
La ragione, nel tracciato della ormai ricca produzione giurisprudenziale sviluppatasi con riguardo alla riconduzione di una determinata figura nella matière pénale (cfr., anche per la ricostruzione dei criteri utilizzati dalla Corte, Manes, Art. 7 Cedu, §1, in Bartole-De Sena-Zagrebelsky (acura di), Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, Padova, 2012, 259 ss.), risiede in questo caso principalmente nel grado di severità dell'impianto sanzionatorio (il massimo edittale della sanzione amministrativa pecuniaria è cinque milioni di euro, cui si accompagna per gli esponenti aziendali la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità, e, relativamente alle società quotate in borsa, la temporanea incapacità di assumere incarichi di direzione, amministrazione e controllo). A corroborare tale conclusione, secondo la Corte, v'è anche l'osservazione sulla natura dell'infrazione, per cui alle sanzioni in questione non sarebbe estraneo uno scopo chiaramente repressivo (che si unisce a quello preventivo e riparatorio dei pregiudizi di natura finanziari cagionati dalla condotta).
Fatta questa premessa, la Corte si sofferma sui vizi del procedimento svoltosi davanti la Consob (§§ 116 ss.). In particolare, si pone l'accento sull'assenza di contraddittorio (la sanzione veniva inflitta sulla base di un rapporto non comunicato ai ricorrenti), sull'assenza di un'udienza pubblica (conseguente alla natura cartolare del procedimento), udienza ritenuta nel caso di specie necessaria in ragione dell'esistenza di una controversia circa la ricostruzione del fatto (ossia lo "stato di avanzamento" della negoziazione con Merrill Linch) e del rischio di vedersi applicate sanzioni particolarmente severe; e infine sull'affidamento dei poteri di indagine e di giudizio ad organi che, sebbene diversi, dipendono comunque dallo stesso soggetto (il Presidente Consob).
La Corte conclude che è pur vero che i ricorrenti hanno beneficiato del controllo ulteriore da parte della Corte d'Appello di Torino, giudice di certo indipendente e imparziale, è tuttavia mancata un'udienza pubblica presso la Corte medesima; né può valere a sanare il vizio la circostanza che un'udienza pubblica si è poi svolta avanti alla Corte di cassazione, attesa la limitatezza dell'orizzonte conoscitivo del giudice di legittimità.
4. Anche il riscontro di compatibilità con il principio del ne bis in idem, consacrato all'art. 4 del Protocollo n.7 della Cedu, deriva dalla riconduzione dell'illecito amministrativo previsto dall'art. 187 ter t.u.f. alla matière pénale, con conseguente assimilazione del relativo procedimento, esitato il 23 giugno 2009 in un giudizio definitivo, a quella vertente su una "accusation en matière pénale".
Nel caso di specie, passato dunque in giudicato il procedimento "penale" scaturito dalla contestazione dell'illecito penale-amministrativo di cui all'art.187 ter tuf, è constatata la pendenza di quello "penale-criminale" avente alla base l'accusa dell'omologo delitto di manipolazione del mercato di cui all'art. 185 t.u.f.
La Corte, pertanto, si sofferma sul metodo da adottare nel test di compatibilità con l'art. 4 del Protocollo n.7, precisando (anzi, ribadendo, attesi i precedenti arresti, tra i quali si veda il richiamato affaire Zolotoukhine) come non interessi verificare se gli elementi costitutivi del fatto tipizzato dalle due norme siano o meno identici, bensì solo se i fatti sussunti in esse e giudicati nei due procedimenti siano o meno i medesimi (§ 224).
Nel caso di specie, la Corte conclude nel senso della medesimezza dei fatti, i quali si sostanzierebbero, in entrambi i procedimenti, nell'aver dichiarato nella comunicazione al mercato che EXOR non aveva né studiato né intrapreso iniziative concernenti la scadenza del prestito convertendo, nonostante l'accordo di modifica dell'equity swap fosse stato già concluso (§§ 225 ss.).
5. La Corte condanna l'Italia a versare a ciascun ricorrente diecimila euro per il danno morale, e quarantamila euro, congiuntamente, per le spese.
Per ciò che riguarda l'applicazione dei principi stabiliti, essa conclude che spetta allo Stato convenuto fare in modo che il procedimento penale contro i ricorrenti, ancora aperto in violazione dell'art. 4 Protocollo n. 7 della Cedu, sia chiuso nel più breve tempo possibile e senza conseguenze pregiudizievoli per costoro (§ 237).
6. Possiamo a questo punto provare a proporre, sia pure "a caldo" e in guisa ineluttabilmente problematica, alcuni spunti di riflessione circa le prospettive potenzialmente aperte da tale pronuncia.
In particolare, è possibile abbozzare quattro distinti orizzonti prospettici, chiedendosi quali siano gli effetti di questa sentenza rispettivamente: (a) per la specifica vicenda in esame; (b) per le medesime situazioni di ne bis in idem, cioè quelle in cui vi sia una condanna definitiva in uno dei due procedimenti e l'altro sia ancora pendente; (c) per le ipotesi di litispendenza, cioè in cui entrambi i procedimenti siano ancora in corso; (d) per i casi in cui i procedimenti siano entrambi già chiusi con sentenza passata in giudicato.
Per quanto riguardo la prospettiva (a), cioè la specifica vicenda in esame, occorre segnalare subito che nel frattempo è ormai già intervenuta la Corte di Cassazione (Sez .I, ud. 17 dicembre 2013) con sentenza di annullamento per prescrizione.
Per quanto riguarda la prospettiva (b), concernente le situazioni in cui, analogamente al caso in esame, vi sia una condanna definitiva nel procedimento penale-amministrativo e sia ancora pendente quello penale-criminale, a nostro avviso simili situazioni potrebbero essere risolte mediante un'interpretazione conforme alla Convenzione. Le disposizioni nazionali su cui operare in via interpretativa sarebbero: la clausola di salvezza con cui apre l'art. 187 ter t.u.f. («Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato») e l'art. 649 c.p.p. in cui è stabilito il divieto di un secondo giudizio per «l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili». Entrambe le disposizioni, a nostro parere, sono infatti suscettibili di un'interpretazione adeguatrice alla luce di questa sentenza.
Non è in discussione che il sistema normativo in materia di abusi di mercato sia positivamente improntato alla logica del doppio binario consentita a monte dalla Direttiva 2003/6/CE (cfr. sul punto Tripodi, Informazioni privilegiate e statuto penale del mercato finanziario, Padova, 2012, 186 ss.), come indicano in maniera inequivoca le disposizioni di cui all'art. 187 terdecies t.u.f., dove si regolamenta l'applicazione della pena pecuniaria e della sanzione amministrativa per lo stesso fatto, e l'art. 187 duodecies t.u.f., che esclude qualsivoglia pregiudizialità tra il giudicato amministrativo e quello penale (così, ad esempio, consentendo al giudice amministrativo, di solito più "celere" nell'apertura e nella definizione del procedimento, di proseguire la sua attività, pur in presenza, in caso di manipolazione del mercato, dell'accertamento in sede penale della price sensitivity della condotta).
Tuttavia, sembra possibile - come già ha fatto la Cassazione nel 2006 (sent. 16 marzo 2006, n. 15199) - valorizzare la clausola di salvezza posta in apertura dell'art. 187 ter t.u.f. per escludere in concreto il cumulo sanzionatorio sullo stesso fatto manipolativo, attraverso l'individuazione, sul piano dell'inquadramento giuridico delle due fattispecie, del confine tra illecito penale e illecito amministrativo. In particolare e in estrema sintesi, gli ermellini, attesa la presenza della nota price sensitive (quale elemento caratterizzante la relativa condotta tipica) nel solo illecito penale, hanno configurato quest'ultimo in termini di pericolo concreto e l'illecito amministrativo in termini di pericolo astratto (cfr. Fondaroli, L'illecito amministrativo di manipolazione del mercato, in Sgubbi-Fondaroli-Tripodi, cit., 159; Amati, cit., 294 ss.; e, più in generale, sul tema dell'anticipazione della tutela nell'art. 185 t.u.f., Consulich, La giustizia e il mercato, Milano, 2010, 255 ss.). Lo stesso Tribunale di Torino, nel caso Fiat-Ifil, ha richiamato, tra l'altro, proprio il contenuto della citata pronuncia della Suprema Corte per dichiarare manifestamente infondata la questione, sollevata dalla difesa, di legittimità costituzionale delle norme in tema di manipolazione del mercato rispetto al principio del ne bis in idem sancito dalla Cedu (per il tramite dell'art. 117 Cost.),
Se così è, se cioè già prima della pronuncia della Corte di Strasburgo è stato possibile operare sul piano dell'interpretazione per evitare il cumulo sanzionatorio, allora sembra possibile immaginare che, a fortori dopo questa sentenza, la soluzione può essere ricavata per via interpretativa percorrendo tale strada.
Si potrebbe quindi, una volta per tutte e in generale, rileggere la stessa clausola di salvezza con cui si aprono gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato nel senso di circoscrivere questi ultimi ai soli casi non regolati dalle corrispondenti fattispecie penali (cfr., con riguardo alla fattispecie di insider trading, Masucci, Abusi di mercato, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, a cura di Fiorella, Torino, 2012, 258-259), tenendo presente che le due fattispecie di insider trading, a differenza di quelle di manipolazione del mercato, differenziate dalla presenza/assenza della nota price sensitive, risultano quasi interamente sovrapponibili.
L'interpretazione conforme potrebbe poi riguardare, nei casi in cui lo sbarramento preliminare non abbia funzionato e dunque i due procedimenti siano andati avanti e uno si sia chiuso, come accaduto nel caso Fiat-Ifil, lo stesso art. 649 c.p.p., da leggersi dunque, quanto al riferimento alla tipologia di illecito, secondo la visione "contenutistica" elaborata dalla giurisprudenza della Corte Edu. Niente sembra infatti chiudere la possibilità di percorrere questa strada interpretativa. L'art. 649 c.p.p. afferma un principio di garanzia, è norma di portata generale e non certo eccezionale, e può quindi a buon diritto essere interpretato estensivamente, nel senso di far ricomprendere nel concetto «di sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili» anche i provvedimenti di condanna definiti "penali" dalla Corte di Strasburgo. In definitiva si tratta qui di attribuire all'elemento normativo «sentenza penale» di cui all'art. 649 c.p.p. il significato indicato dalla fonte convenzionale (analogamente, ma per tutt'altro contesto, v. Vallini, Ardita la rotta o incerta la geografia? La disapplicazione della legge 40/2004 in esecuzione di un giudicato della Corte EDU in tema di diagnosi preimpianto, in questa Rivista,16 dicembre 2013).
Per la ipotesi (c) di litispendenza dei due procedimenti, la strada che porta a Strasburgo sembra per definizione impercorribile (non essendo esaurite le vie di ricorso interne), come pure quella tracciata dal rimedio di cui all'art. 649 c.p.p., che testualmente presuppone il passaggio in giudicato di uno dei due procedimenti. Si potrebbe allora sollevare la questione di illegittimità costituzionale (con riferimento al parametro interposto di cui all'art. 117 Cost.) della normativa, a partire dall'art. 187 duodecies t.u.f.
Per le ipotesi (d) di avvenuto passaggio in giudicato di entrambi i procedimenti, queste rimandano alla complessa e affascinante problematica della (in)tangibilità del giudicato, verso la quale si rivela sempre più sensibile la giurisprudenza, anche quella costituzionale (cfr. Cost., n.210/2013). Qui la strada interpretativa, segnatamente dell'art. 673 c.p.p. da parte del giudice dell'esecuzione, sarebbe decisamente più avventurosa, stante il carattere eccezionale e quindi tassativo attraverso cui vengono stabilite le ipotesi di revoca del giudicato, la cui "mitica" intangibilità costituisce principio generale (in generale, sul tema della tangibilità del giudicato, Ubertis, Diritti umani e mito del giudicato, in questa Rivista, 5 luglio 2012; Viganò, Retroattività della legge penale più favorevole, in questa Rivista, 20 dicembre 2013; Id., Giudicato e tutela dei diritti fondamentali, in questa Rivista, 18 aprile 2012; Manes, Il giudice nel labirinto, Roma, 2012, 167; Sotis, Le "regole dell'incoerenza", Roma, 2012, 122 ss.).
7. Un cenno finale richiede la riconosciuta presenza nel procedimento svoltosi dinanzi alla Consob di quei profili di criticità che ne inficiano la richiesta esigenza di imparzialità oggettiva. Ebbene, tale rilievo non può che far da ponte con quella che pare ben più di un'impressione negativa circa il grado di terzietà dell'Autorità amministrativa nell'ambito del sistema vigente in materia di abusi di mercato. Ivi, la Consob assume infatti un ruolo sorprendentemente poliforme, essendo al contempo «(...) autorità di vigilanza, ma anche autorità legislativa, in quanto produttore di importante normativa secondaria, autorità inquirente, in quanto dotata di vasti e penetranti poteri di indagine, autorità giudicante che infligge le sanzioni amministrative e, infine (...) parte nel processo penale mediante la costituzione di parte civile ex art. 187-undecies del T.U. 58 del 1998» (Sgubbi, Presentazione, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, cit., XVII).