ISSN 2039-1676


02 dicembre 2015 |

Ancora in tema di omesso versamento di IVA e ne bis in idem: il Tribunale di Terni dichiara di non doversi procedere per la sanzione penale

Nota a Trib. Terni, 12 giugno 2015 (dep. 1 settembre 2015), Giud. Socci, imp. Fabretti

1. Il Tribunale di Terni, con la decisione qui pubblicata, ha affrontato e ha cercato di risolvere (nei termini che si andranno a illustrare) l'ennesimo caso di bis in idem, concernente - questa volta[1] - il reato di omesso versamento di IVA[2].

La sentenza che si segnala riguarda il rappresentate legale di una società a responsabilità limitata chiamato a rispondere del reato previsto dall'art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 per aver omesso di versare entro i termini stabiliti, per tre annualità consecutive, l'IVA dovuta in base alle relative dichiarazioni annuali.

Lo stesso imputato era già stato sanzionato a livello amministrativo per il medesimo comportamento illecito (ex art. 13 D.Lgs. 471/1997) e, in tale sede, aveva già pagato (oltre l'imposta dovuta e gli interessi maturati) la relativa sanzione pecuniaria, corrispondente al 30% (159.255,3 euro) degli importi non versati.

Il Tribunale di Terni, quindi, richiamandosi ai principi stabiliti nella sentenza Grande Stevens[3], ha rilevato come nel caso di specie:

i. il soggetto fosse il medesimo in entrambi i procedimenti;

ii. il fatto illecito fosse in sostanza lo stesso (omesso versamento di IVA);

iii. le sanzioni amministrative, da qualificarsi come "penali" ai sensi della Convenzione, fossero già divenute definitive.

Per queste ragioni, dunque, il Tribunale ha dichiarato ex art. 529 c.p.p. "di non doversi procedere per ne bis in idem, sentenza Corte Edu, II Sezione, sentenza 04 marzo 2014, Grande Stevens e altri c/ Italia ric. n. 18640/10, ed art. 19 D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74".

 

2. Come evidenzia il dispositivo appena riportato, il giudice di Terni ha motivato la propria decisione richiamandosi esclusivamente alla giurisprudenza CEDU (applicata direttamente, senza alcun tipo di 'diaframma' interno al nostro ordinamento) e al disposto normativo dell'art. 19 D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74.

A sostegno delle proprie conclusioni, il Tribunale ha argomentato che "non può negarsi un'efficacia diretta delle decisioni CEDU, pena sanzioni allo Stato inadempiente. Il giudice italiano è quindi anche e soprattutto Giudice europeo, deve essere il primo ad applicare e tener conto delle decisioni CEDU. Certamente come interpretazione conforme come insegna già la Corte Costituzionale, ma anche in via diretta se fosse necessario. [...] Per tale ragione, e considerata la diretta vigenza dei principi espressi dalla Corte Edu nel nostro ordinamento, si ritiene di non doversi procedere nei confronti dell'imputato".

Rispetto al richiamato art. 19 D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74[4], inoltre, il giudice di Terni ha rilevato: "L'art. 19 c.1 D.Lgs. 74/2000 stabilisce che, se un determinato fatto è idoneo a configurare la violazione di due disposizioni che prevedono una sanzione amministrativa ed una penale, deve essere applicata quella che presenta caratteri di specialità rispetto all'altra. Questa norma è stata svuotata di contenuto nell'applicazione concreta (anzi sostanzialmente disapplicata e non considerata). Si rinviene in tale norma la stessa ratio del ne bis in idem, volendo essa scongiurare che lo stesso soggetto possa essere sanzionato due volte per lo stesso fatto".

Il Tribunale di Terni, pertanto, ha giustificato la dichiarazione di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. applicando, in prima battuta, le garanzie convenzionali enunciate nella sentenza Grande Stevens e, secondariamente, impiegando a sostegno delle proprie ragioni l'art. 19 D.Lgs. 74/2000, da intendersi, secondo quanto riportato in motivazione, come espressione diretta dello stesso principio ne bis in idem.

 

3. Per quanto sopra detto, la pronuncia in esame deve essere annoverata tra quelle decisioni che, all'indomani della celeberrima sentenza Grande Stevens, hanno segnato lo sforzo della nostra giurisprudenza di adeguarsi ai dettami della Corte Edu, ricercando, a questo scopo, una soluzione idonea a 'fermare' il processo penale in ragione dell'avvenuta definizione di quello amministrativo[5]; rispetto alle precedenti decisioni, tuttavia, la sentenza del giudice di Terni si distingue senza dubbio per la peculiarità del processo argomentativo seguìto, consistente nell'applicare in maniera diretta l'art. 4 Prot. n. 7 CEDU.

La scelta del Tribunale di Terni, pertanto, si differenzia dalle soluzioni sino ad oggi percorse dalla giurisprudenza per conformare il nostro ordinamento giuridico al principio sovranazionale del ne bis in idem. In estrema sintesi:

(i) secondo un primo orientamento la soluzione sarebbe attuabile in via di interpretazione convenzionalmente conforme (rispetto appunto all'art. 4 Prot. n. 7 CEDU) del disposto di cui all'art. 649 c.p.p.[6] (Divieto di un secondo giudizio), ricomprendendo nel concetto di "sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili" anche i procedimenti di condanna definiti "penali" dalla Corte di Strasburgo: applicando estensivamente la norma in esame, quindi, il giudice nazionale potrebbe legittimamente pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere anche a fronte di giudizi solo formalmente definiti amministrativi[7];

(ii) secondo un altro indirizzo interpretativo, invece, l'operazione descritta sub (i) sarebbe impedita dallo spirito e dalla lettera della legge processuale, che, univocamente, deporrebbero per un'applicazione ristretta della norma, limitata alle sole ipotesi già definite "penali" dal nostro legislatore nazionale[8]; preclusa l'alternativa ermeneutica, dunque, il giudice penale dovrebbe correttamente sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. per violazione dell'art. 117 Cost. (in relazione all'art. 4 Prot. n. 7 CEDU), nella parte in cui non vieta di sottoporre nuovamente a giudizio l'imputato che ha già subìto un procedimento formalmente amministrativo ma sostanzialmente penale[9];

(iii) un terzo filone percorre la via del diritto eurounitario tracciata da autorevole dottrina[10], che ha proposto di applicare direttamente ai casi problematici l'art. 50 CDFUE (Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato), cui, stante il chiaro disposto dell'art. 52 § 3 CDFUE, dovrebbe attribuirsi lo stesso significato e la stessa portata dell'omonimo principio di matrice convenzionale: decidendo in una materia afferente al diritto dell'Unione, quindi, il giudice penale potrebbe dichiarare di non doversi procedere sulla base esclusiva del diritto di matrice eurounitaria[11].

Alcuni giudici di merito[12], richiamandosi (parzialmente[13]) a quest'ultima posizione, hanno sollevato in via pregiudiziale questione di interpretazione (ex art. 267 TFUE) alla Corte di Giustizia UE sull'art. 50 CDFUE, cui hanno chiesto, in sostanza, di determinare se tale norma osti alla celebrazione di un processo penale per lo stessa violazione che abbia già costituito il presupposto di una sanzione tributaria ormai divenuta irrevocabile.

 

4. Come anticipato, invece, il Tribunale di Terni, discostandosi dalle soluzioni anzidette, ha motivato la propria decisione di non doversi procedere unicamente sulla base (a) della sentenza Grande Stevens e (b) dell'art. 19 D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74.

 

5. Per quanto riguarda, anzitutto, il richiamo alla sentenza Grande Stevens, sembra che il giudice di merito abbia inteso applicare immediatamente al caso di specie i principi in essa espressi, ritenendo di non poter "negar(si) un'efficacia diretta delle decisioni CEDU".

Questa soluzione, motivata nella pronuncia in esame in maniera a dir poco apodittica[14], pare evidentemente riferibile non tanto alle "decisioni" (rectius, alle sentenze) della Corte EDU, bensì alle disposizioni della CEDU (e cioè della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) e dei suoi protocolli, così come interpretati dalla Corte EDU nella propria giurisprudenza. Una simile efficacia diretta parrebbe, tuttavia, in contrasto con l'insegnamento delle c.d. sentenze gemelle (C. cost. n. 348 e 349/2007) [15]; tuttavia (sebbene il Tribunale non ne faccia menzione) potrebbe trovare legittimazione in una recente proposta dottrinale[16], che, alla luce di una più puntuale precisazione dell'efficacia del diritto CEDU nell'ordinamento interno, ha suggerito di risolvere i casi di bis in idem proprio sulla base di una diretta applicazione dell'art. 4 Prot. n. 7 CEDU.

La tesi da ultimo prospettata muove dal presupposto fondamentale per cui le norme della CEDU e dei suoi protocolli - per il tramite della rispettiva legge di autorizzazione alla ratifica, che contiene la consueta clausola di "piena e intera esecuzione" nell'ordinamento interno dello strumento convenzionale di volta in volta considerato - sono direttamente vigenti all'interno del nostro ordinamento e, in quanto tali, si applicano generalmente in via incondizionata. Per questo motivo, le disposizioni convenzionali ben potrebbero applicarsi direttamente, senza ricorrere necessariamente a un 'diaframma' di diritto interno: solo in caso di conflitto normativo (laddove cioè l'attuazione della norma sovranazionale risulti impedita da una disposizione nazionale), dovrebbe necessario seguire correttamente il percorso delineato dalle c.d. sentenze gemelle (verificando se è possibile interpretare la disposizione nazionale in maniera conforme a Convenzione e, in caso contrario, rimettendo la relativa questione alla Corte Costituzionale).

In questa prospettiva sistematica, la decisione del giudice di Terni troverebbe legittimazione perché non disapplica una disposizione interna, ma piuttosto colma un vuoto normativo (i.e. la disciplina del divieto di un secondo giudizio rispetto a un procedimento amministrativo)[17].

 

6. Per quanto riguarda, invece, il richiamo all'art. 19, comma I D.Lgs.10 marzo 2000 n. 74, è necessario, anzitutto, ricordare che la norma in esame dispone: "Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una  disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale".

Ebbene, con ogni evidenza, anche a voler applicare in maniera stringente il principio di specialità così espresso (disattendendo l'insegnamento della Corte di Cassazione che tendenzialmente individua tra i reati tributari e i corrispettivi illeciti amministrativi un rapporto di mera progressione di offesa, anziché di specialità[18]), si dovrebbe comunque ritenere prevalente (in quanto speciale) la disposizione penale, che, invece, nel giudizio del Tribunale di Terni soccombe in favore delle parallele sanzioni amministrative.

Il dispositivo della sentenza in commento (purtroppo non di immediata comprensione) potrebbe essere inteso allora nel senso di una applicazione convenzionalmente conforme dell'art. 19 D.Lgs. 74/2000 (interpretato, dunque, alla luce dell'art. 4 Prot. n. 7 CEDU). Anche questa seconda soluzione, tuttavia, come la precedente, non sembra priva di criticità, perché, se il principio di specialità ivi espresso può deporre al più per l'esclusiva irrogazione delle sanzioni penali, il giudice di merito non può derivarne la sola applicazione di quelle amministrative senza travalicare i confini di tutte le possibili interpretazioni letterali: l'operazione ermeneutica del giudice di Terni, risolvendosi in una vera e propria manipolazione del dato testuale, dovrebbe, dunque, riservarsi esclusivamente alla Corte Costituzionale.

 

7. La decisione in esame, pertanto, pur attestando il continuo interesse e lo sforzo della nostra giurisprudenza per un'esatta applicazione dei principi convenzionali (in un'ottica di espansione delle garanzie penalistiche), denota, altresì, la 'confusione' che un sistema di fonti multilivello può ingenerare nei nostri giudici nazionali, chiamati a confrontarsi con le maglie di un sistema normativo esteso tra disposizioni di diritto interno e previsioni di matrice sovranazionale[19].

Considerata, poi, la centralità della materia, non può che auspicarsi che la Corte Costituzionale, investita delle relative questioni di legittimità[20], intervenga chiaramente sul punto, non solo per riordinare i rapporti tra doppi binari punitivi e ne bis in idem, ma anche per ribadire - una volta di più - i principi e le regole già enucleate per muoversi nella rete delle fonti (nazionali e sovranazionali) del diritto penale.

 


[1] La nostra giurisprudenza, infatti, ha già affrontato (con approcci ed esiti differenti) la questione dei rapporti tra doppio binario punitivo e ne bis in idem, occupandosi specificatamente delle seguenti fattispecie penali e dei loro corrispettivi amministrativi: abuso di informazioni privilegiate (Cass., sez. V pen., ord. 10 novembre 2014 (dep. 15 gennaio 2015), n. 3333, in questa Rivista, 17 novembre 2014, con nota di M. Scoletta, Il doppio binario sanzionatorio del market abuse al cospetto della Corte costituzionale per violazione del diritto fondamentale al ne bis in idem); manipolazione di mercato (v. Cass., sez. trib. civ., ord. 6 novembre 2014 (dep. 21 gennaio 2015), Pres. Merrone, Rel. Chindemi, in questa Rivista, 23 gennaio 2015); omesso versamento di ritenute certificate (v. Tribunale di Torino, ord. 27 ottobre 2014, in questa Rivista, 17 novembre 2014, con nota di M. Scoletta, Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento delle ritenute: un problematico rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia); omesso versamento di IVA (v. Trib. Bologna, ord. 21 aprile 2015, in questa Rivista, 18 maggio 2015, con nota di M. Caianiello, Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento dell'Iva: il rinvio della questione alla Corte costituzionale e Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, in questa Rivista, 208 settembre 2015, con nota di F. Viganò, Ne bis in idem e omesso versamento dell'IVA: la parola alla Corte di giustizia) omessa dichiarazione (v. Tribunale di Asti, sent. 07 maggio 2015, n. 717); omesso versamento delle ritenute previdenziali (Cass. pen., Sez. III, 14 gennaio 2015 (dep. 20 luglio 2015), n. 31378, Pres. Fiale, Rel. Grillo, in questa Rivista, 21 settembre 2015, con nota di A. Valsecchi, Per la Cassazione non viola il divieto di bis in idem la previsione di un doppio binario sanzionatorio per l'omesso versamento di ritenute previdenziali). Rispetto all'irrogazione congiunta, per lo stesso fatto, di sanzioni penali e sanzioni disciplinari cfr., invece, Trib. Brindisi, Sez. pen., sent. 17 ottobre 2014, in questa Rivista, 12 dicembre 2014, con nota di S. Finocchiaro, Improcedibilità per bis in idem a fronte di sanzioni formalmente 'disciplinari': l'art. 649 c.p.p. interpretato alla luce della sentenza Grande Stevens.

[2] Sulla questione del ne bis in idem specificatamente in ambito tributario, cfr. in questa Rivista, 14 settembre 2014, G. M. Flick, Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo e 11 dicembre 2014 M. Dova, Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e giudici nazionali e sovranazionali.

[3] C. eur. dir. uomo, Seconda Sezione, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, ric. n. 18640, 18647, 18663, 18668 e 18698/2010, in questa Rivista, 9 marzo 2014, con nota di:  A. F. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato; 30 giugno 2014, G. De Amicis, Ne bis in idem e 'doppio binario' sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza 'Grande Stevens' nell'ordinamento italiano; 30 giugno 2014, F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta? (a margine della sentenza Grande Stevens della Corte EDU).

[4] Per comodità, si riporta il testo dell'art. 19 (Principio di specialità): "Quando uno stesso fatto e' punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato".

[5] Accanto a questo indirizzo si segnala, tuttavia, un diverso orientamento interpretativo, che intende garantire il ne bis in idem processuale attraverso il pieno rispetto dell'omonimo principio di matrice sostanziale. In particolare, secondo questa opinione, si dovrebbe imporre (già a livello sostanziale) l'applicazione di una sola misura punitiva e, ovviamente, l'avvio di un solo procedimento lato sensu penale. Nel caso in cui comunque dovessero essere avviati due distinti giudizi, inoltre, sarebbe necessario intervenire su quel procedimento che di fatto tende ad applicare delle misure punitive illegittime, perché non previste dalla legge. Sul punto, cfr. in giurisprudenza Cass., sez. V pen., ord. 10 novembre 2014 (dep. 15 gennaio 2015), n. 3333, cit., che ha sollevato questione di legittimità costituzionale (per violazione dell'art. 117, primo comma Cost., in relazione all'art. 4 Prot. n. 7 CEDU) dell'art. 187-bis t.u.f. nella parte in cui prevede "Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato" anziché "Salvo che il fatto costituisca reato". In dottrina cfr. G. M. Flick - V. Napoleoni, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? "Materia penale", giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse, in www.rivistaaic.it e M. Bontempelli., Il doppio binario sanzionatorio in materia tributaria e le garanzie europee (fra ne bis in idem processuale e ne bis in idem sostanziale), in Arch. pen., 2015, n. 1.

[6] L'art. 649 c.p.p. dispone: "1. L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto [669], neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345. 2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo".

[7] In questo senso, v. Trib. Brindisi, Sez. pen., sent. 17 ottobre 2014, cit. e Tribunale di Asti, sent. sentenza 07 maggio 2015, n. 717.

[8] Cfr. in questo senso M. Bontempelli., Il doppio binario sanzionatorio, cit.

[9] Cfr. Cass. sez. V pen., ord. 10 novembre 2014 (dep. 15 gennaio 2015), cit.; Cass., sez. trib. civ., ord. 6 novembre 2014 (dep. 21 gennaio 2015), cit. e Trib. Bologna, ord. 21 aprile 2015, cit. Si noti, peraltro, che, specificatamente in materia tributaria, una questione di legittimità costituzionale di tal fatta è stata anche prospettata (dai ricorrenti) alla Corte di Cassazione, che, tuttavia, ha escluso che la sanzione civile già irrogata (ex art 16, co. 8, l. 388/2000.) presenti natura penale ai sensi della Convenzione; v. Cass. pen., Sez. III, 14 gennaio 2015 (dep. 20 luglio 2015), n. 31378, cit.

[10] Cfr. F. Viganò, in questa Rivista, 30 giugno 2014, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta? (a margine della sentenza Grande Stevens della Corte EDU).

[11] Si ricorda, infatti, che l'art. 50 CDFUE è norma di diritto primario dell'Unione (art. 6 § 3 TUE) e, pertanto, è idonea a produrre effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri.

[12] Così, Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, cit.; in precedenza, v. anche l'ordinanza Tribunale di Torino,  27 ottobre 2014, cit., rispetto alla quale, tuttavia, la Corte di Giustizia ha dichiarato la propria incompetenza (non si trattava, infatti, di reati in materia di IVA ma di omesso versamento di ritenute previdenziali, v Corte di giustizia UE, ord. 15 aprile 2015, Burzio (C-497/14), in questa Rivista, 8 maggio 2015, con nota di M. Scoletta, Omesso versamento delle ritenute d'imposta e violazione del ne bis in idem: la Corte di Giustizia dichiara la propria incompetenza).

[13] Parzialmente perché la dottrina citata propone di applicare direttamente ai casi di specie l'art. 50 CDFUE, senza ricorrere, in via pregiudiziale, alla Corte di Giustizia.

[14] Il giudice di Terni, infatti, muove dal presupposto che i principi espressi dalla Corte Edu siano direttamente vigenti nel nostro ordinamento, ma, sul punto, non fornisce un'ulteriore motivazione.

[15] Nella sentenza 24 ottobre 2007, n. 349, infatti, la Corte Costituzionale ha precisato: "Allo stato nessun elemento relativo alla struttura e agli obiettivi della CEDU ovvero ai caratteri di determinate norme consente di ritenere che la posizione giuridica dei singoli possa esserne direttamente e immediatamente tributaria, indipendentemente dal tradizionale diaframma normativo dei rispettivi Stati di appartenenza, fino al punto da consentire al giudice la non applicazione della norma interna configgente".

[16] F. Viganò, relazione al Convegno "Il ne bis in idem tra diritto penale e processo" (Milano, 8 maggio 2015), in corso di pubblicazione.

[17] Secondo questa teoria, infatti, l'art. 649 c.p.p. viene ad applicarsi unicamente al caso in cui sullo stesso fatto si aprano due giudizi formalmente penali: manca, dunque, nel nostro ordinamento una norma che disciplini espressamente il susseguirsi di due procedimenti solo lato sensu penali.

[18] Cfr. rispetto alla fattispecie di omesso versamento delle ritenute, Cass., Sez. III, sent. 8 aprile 2014 (dep. 15 maggio 2014), n. 20266, Pres. Squassoni, Rel. Pezzella.

[19]In tema di "frantumazione stellare" e "depolarizzazione" dei centri di produzione del diritto cfr. V. Manes, in questa Rivista, 9 luglio 2012, Metodo e limiti dell'interpretazione conforme alle fonti sovranazionali in materia penale.

[20] Cfr. nota n. 6.