ISSN 2039-1676


5 giugno 2014 |

Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e giudici nazionali e sovranazionali

C. eur. dir. uomo, Quarta Sezione, sent. 20 maggio 2014, Nykänen c. Finalandia | Cass., Sez. III, sent. 8 aprile 2014 (dep. 15 maggio 2014), n. 20266, Pres. Squassoni, Rel. Pezzella, P.G. in proc. Zanchi

Clicca qui per accedere alla sent. della Corte EDU 20 maggio 2014, Nykänen c. Finalandia, sul portale della Corte EDU

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1. Lo scorso 20 maggio la Corte EDU, nel caso Nikänen c. Finalndia, ha condannato lo Stato finlandese per violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione in relazione al doppio binario sanzionatorio (penale-amministrativo) presente nella legislazione tributaria finlandese.

 

2. A poco più di un mese dalla sentenza Grande Stevens c. Italia (pubblicata in questa Rivista con nota di A.F. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato) in tema di manipolazione del mercato, che ha avuto effetti dirompenti e continua a creare non poche incertezze applicative (sul punto v. la relazione dell'Ufficio del Massimario della Cassazione, segnalata in questa Rivista), la Corte EDU è tornata a pronunciarsi, sia pure in relazione alla materia tributaria, sul principio del ne bis in idem.

Sul piano delle affermazioni di principio, la sentenza della Corte EDU nel caso Nikänen c. Finalndia non assume particolare rilevanza, poiché si limita a ribadire orientamenti giurisprudenziali ormai da lungo tempo consolidati sia in tema di ne bis in idem, sia in relazione ai criteri per determinare la natura penale di una sanzione.

Ben altro rilievo assumono, invece, le parole della Corte se si considerano i possibili riflessi interni di tale pronuncia; riflessi con i quali gli ordinamenti nazionali dovranno seriamente fare i conti. E ciò tanto più se si osserva questa vicenda dalla prospettiva italiana: solamente cinque giorni prima, la Corte di Cassazione, con la sentenza che qui pubblichiamo (sent., 8 aprile - 15 maggio 2014, n. 20266) aveva escluso che il concorso tra sanzioni amministrative e penali previste in caso di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471) potesse costituire una violazione del principio del ne bis in idem fissato dalla Convenzione. Si tratta di un orientamento assolutamente in linea con quanto già affermato un anno fa dalle Sezioni unite (sent. 28 marzo 2013, n. 37425, Favellato, in questa Rivista con nota di A. Valsecchi, Le Sezioni Unite sull'omesso versamento delle ritenute per il 2004 e dell'IVA per il 2005: applicabili gli artt. 10 bis e 10 ter, ma con un'interessante precisazione sull'elemento soggettivo).

A complicare ulteriormente il quadro vi è anche la più risalente sentenza pronunciata nel 2013 dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (causa C-617/10, Åklagaren c. Hans Åkelberg Fransson, in questa Rivista con nota di D. Vozza, I confini applicativi del principio del ne bis in idem interno in materia penale: un recente contributo della Corte di Giustizia dell'Unione europea), secondo la quale una combinazione di sanzioni amministrative e penali per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA è (astrattamente) compatibile con il principio del ne bis in idem sancito dall'art 4 del Protocollo n. 7 della CEDU e dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, salvo che la sanzione amministrativa non debba essere (in concreto) ritenuta di natura penale all'esito di una valutazione rimessa al giudice nazionale (§ 34-36 della sentenza).

 

3. Prima di tornare su questo intricato groviglio di (discordanti) soluzioni legislative e giurisprudenziali, vale la pena di ripercorrere brevemente la questione decisa dalla Corte EDU il 20 maggio scorso.

La vicenda che ha dato origine all'intervento della Corte EDU riguarda il sig. Nykänen, il quale è stato accusato di aver ricevuto, in modo occulto, dividendi pari a 33.000 euro. Per questa violazione, nel 2005, le autorità fiscali finlandesi hanno inflitto al sig. Nykänen una sanzione amministrativa pecuniaria (sovrattassa) pari a 1.700 euro. Nel procedimento penale iniziato nel 2008 per gli stessi fatti, il sig. Nykänen è stato condannato, dalla Corte di appello di Helsinki (sentenza poi confermata dalla Corte suprema finlandese) per frode fiscale ad una pena di 10 mesi di reclusione e al pagamento di 12.420 euro (somma pari all'importo delle tasse evase).

Il sig. Nykänen ha quindi proposto ricorso alla Corte di Strasburgo, lamentando la violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione.

Per valutare il ricorso nel merito, la Corte muove dalla propria giurisprudenza (ormai consolidata) per stabilire, al di là delle etichette formali utilizzate dal legislatore nazionale, se una sanzione abbia (o meno) natura penale (§§ 38-41). Il riferimento è, in particolare, ai tre criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte a partire dalla celebre sentenza della Grande Camera nel caso Engel e altri c. Paesi Bassi (8 giungo 1976, ric. nn. 5100/71, n. 5101/71, n. 5102/71, n. 5354/72 e n. 5370/72): a) la qualificazione giuridica della violazione nell'ordinamento nazionale; b) la natura effettiva della violazione; c) il grado di severità della sanzione. 

Per risolvere la questione nel caso in esame, la Corte richiama altresì un ulteriore proprio precedente (Grande Camera, sent. 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, ric. n. 73053/01, in particolare §§ 37 e 38), nel quale aveva riconosciuto, sia pure in relazione all'art. 6 della Convenzione, la natura penale della sovrattassa imposta in via amministrativa dall'ordinamento finlandese. In quest'ultimo caso la Corte aveva dato rilievo determinante alla natura dell'infrazione, affermando che la sovrattassa non costituisce un semplice risarcimento dei danni, bensì una vera e propria sanzione penale con finalità sia preventive che repressive. La Corte aveva precisato, inoltre, come la tenuità della risposta sanzionatoria non valesse a sottrarre l'infrazione dall'ambito di applicazione dell'art. 6 della Convenzione.

Tornando al caso in esame, alla luce dei ricordati principi la Corte conclude nel senso che i procedimenti che comportano l'imposizione di una sovrattassa devono essere considerati "penali" anche ai fini dell'applicazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione.

Una volta accertato che la sovrattassa deve essere considerata una vera e propria pena, la Corte si chiede se i fatti all'origine di entrambi i procedimenti - amministrativo e penale - siano gli stessi (§§ 42 e 43). A tale proposito, la Corte richiama una precedente pronuncia della Grande Camera (Sergey Zolotukhin c. Russia, sent. 10 febbraio 2009, ric. n. 14939/03) secondo cui, tra i differenti modi di affrontare il principio del ne bis in idem, quello che pone l'accento sulla descrizione del tipo legale (i.e. il confronto tra fattispecie astratte) è troppo restrittivo per garantire un'adeguata tutela ai diritti fondamentali dell'individuo. Ciò che invece conta, nella prospettiva dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione, è stabilire se i fatti all'origine dei due procedimenti sono sostanzialmente gli stessi. A tal fine è, dunque, necessario concentrarsi sull'insieme degli elementi fattuali del caso concreto che coinvolgono la stessa persona e che sono inestricabilmente legati sul piano spaziale e temporale; fatti la cui esistenza deve essere dimostrata per avviare un procedimento o per pervenire ad una condanna. 

Vi è un aspetto ulteriore che merita di essere messo in evidenza. Nel delineare i confini del diritto a non essere giudicato o punito due volte, la Corte chiarisce che la celebrazione di due procedimenti paralleli è compatibile con la Convenzione, a condizione che il secondo venga interrotto nel momento in cui il primo sia divenuto definitivo.

Nel caso di specie, le due sanzioni vengono inflitte da due autorità differenti, nell'ambito di procedimenti che, in mancanza di qualsiasi meccanismo di coordinamento, sono del tutto indipendenti l'uno dall'altro. Nell'ordinamento finlandese non vi neppure alcuna interazione tra le diverse autorità, ognuna delle quali procede in modo autonomo sia nell'accertamento del fatto, sia nella fase di commisurazione della pena (per determinare l'entità della seconda non si tiene in alcun conto la severità della prima). Ed infatti, il sig. Nykänen è stato condannato in via definitiva nel 2009 al pagamento della sovrattassa, mentre il procedimento penale, iniziato nel 2008, non è stato in alcuno modo interrotto, ma è anzi divenuto a sua volta definitivo nel 2010.

Sebbene la giurisprudenza e il legislatore finlandesi abbiano già posto rimedio alla violazione, introducendo meccanismi di coordinamento tra procedimento amministrativo e penale, la Corte ritiene che, nel caso di specie, lo Stato finlandese abbia violato il principio del ne bis in idem.  

 

4. Una volta delineati i punti salienti della pronuncia della Corte EDU diventa possibile metterne in luce i possibili riflessi che potrebbero avere sul piano dell'ordinamento italiano. A tale proposito, giova prendere le mosse dalla già citata sentenza della Cassazione dell'8 aprile 2014 (dep. 15 maggio 2014), n. 20266, la quale, con qualche giorno d'anticipo rispetto ai giudici di Strasburgo, è intervenuta su analoga questione. 

Nel caso di specie l'imputato era stato assolto in primo grado dal reato di omesso versamento delle ritenute (art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000) e la sentenza era stata impugnata per saltum dal PG (sulla base di motivi che non rilevano ai presenti fini). Dinanzi alla Cassazione, il difensore dell'imputato sosteneva che, essendo il suo assistito già stato sanzionato per la stessa violazione della disciplina fiscale ai sensi dell'illecito amministrativo di all'art. 13 del d.lgs. 471/1997, l'eventuale condanna anche per il reato avrebbe comportato una violazione del principio del ne bis in idem come declinato, mutatis mutandis, dalla sentenza della Corte EDU Grande Stevens c. Italia, giacché l'omesso versamento delle ritenute sarebbe stato punito sia come illecito amministrativo sia come illecito penale.

La Corte di cassazione, nel ritenere che il richiamo al caso Grande Stevens c. Italia sia del tutto inconferente, respinge la tesi in base alla quale vi sarebbe, anche in questo ambito, una violazione del principio del ne bis in idem. E lo fa sostanzialmente sulla base di due ragioni: a) la sanzione amministrativa tributaria non può essere considerata una sanzione avente natura penale; b) l'omesso versamento-illecito amministrativo e l'omesso versamento-illecito penale, essendo caratterizzati da elementi costitutivi parzialmente divergenti, non sarebbero in rapporto di specialità, bensì di progressione illecita con la conseguenza che al trasgressore dovrebbero essere applicate entrambe le sanzioni.

 

5. Il primo argomento utilizzato dalla Corte di cassazione per escludere la violazione del principio del ne bis in idem fa riferimento alla già menzionata sentenza Fransson della Corte di giustizia dell'Unione Europea. Nel ritenere astrattamente compatibile, con il principio del ne bis in idem, il doppio binario sanzionatorio amministrativo-penale in materia tributaria, a condizione che la sanzione amministrativa non abbia in concreto natura penale, la Corte di cassazione ritiene che la qualificazione come amministrative delle sanzioni tributarie previste per l'omesso versamento di ritenute regga al vaglio dei criteri Engel.     

Il secondo argomento trae, invece, origine dalla pure già ricordata sentenza delle Sezioni unite (sent. 28 marzo 2013, n. 37425, Favellato, cit.), le quali, sia pure chiamate a risolvere un contrasto sull'applicazione temporale del reato cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000, hanno analizzato approfonditamente i rapporti tra quest'ultimo reato e l'illecito amministrativo di omesso versamento, escludendo che tra le due fattispecie vi sia un rapporto di specialità, e ritenendo al contrario che possa parlarsi di progressione illecita.

Senza che sia possibile riprendere in questa sede l'intero iter argomentativo delle Sezioni unite, ci si limita a riportare il passaggio essenziale in cui i giudici di legittimità giungono a negare che vi sia specialità tra le due disposizioni: «pur nella comunanza di una parte dei presupposti (erogazione di somme comportanti l'obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di versamento delle stesse all'Erario con le modalità stabilite) e della condotta (omissione di uno o più versamenti mensili dovuti), gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, rappresentate in particolare: dal requisito della "certificazione" delle ritenute, richiesto per il solo illecito penale; dalla soglia minima dell'omissione, richiesta per il solo illecito penale; dal termine di riferimento per l'assunzione di rilevanza dell'omissione, fissato, per l'illecito amministrativo, al giorno quindici (poi passato al sedici) del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute, e coincidente, per l'illecito penale, con quello previsto per la presentazione (entro le date del 30 settembre ovvero del 31 ottobre) della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa al precedente periodo d'imposta. Le illustrate divergenze inducono a ricostruire il rapporto tra i due illeciti in termini non di specialità, ma piuttosto di "progressione": la fattispecie penale [...] costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa» (neretti aggiunti).

 

6.  All'esito di questa ricostruzione, qui appena abbozzata, delle complesse e controverse questioni che sono state oggetto di divergenti esiti giurisprudenziali, sembra opportuno svolgere qualche breve riflessione.

Nessuno degli argomenti utilizzati dalla Corte di cassazione, per escludere la violazione principio del ne bis in idem in caso di omesso versamento, sembra insuperabile.

Da un lato, sembra difficile escludere che la sanzione amministrativa prevista dall'art. 13 d.lgs. 471/1997 abbia natura penale. E ciò non solo perché, in termini generali, il diritto punitivo amministrativo conserva una chiara componente repressiva para-penalistica che si propone, anche in ambito tributario, come variante di "serie B" del diritto penale, la cui disciplina generale (non a caso) riecheggia i cardini forti del diritto penale.

Ma vie è di più: se la tenue risposta sanzionatoria prevista, in via amministrativa, dall'ordinamento finlandese non è valsa ad escludere la garanzia di cui dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione, quest'ultima sembra dover, a maggior ragione, operare in relazione ad una ben più grave sanzione amministrativa pari al trenta percento dell'importo non versato.

Dall'altro lato, vi è l'aspetto certamente più delicato che concerne il rapporto tra i due illeciti (penale e amministrativo) per omesso versamento delle ritenute. Un punto deve essere messo subito in rilievo: i giudici italiani, a differenza di quelli di Strasburgo, utilizzano un diverso punto di riferimento per apprezzare il rispetto del diritto a non essere giudicati due volte per lo stesso fatto. Mentre la Cassazione opera un confronto, in astratto, tra fattispecie tipiche; la Corte EDU opera invece una verifica in concreto tra i fatti che stanno alla base del procedimento amministrativo e di quello penale, evidenziando a sostegno di tale opzione - come già ricordato supra nel corso della disamina della sent. Nykänen c. Finlandia - che si tratta di un criterio precipuamente finalizzato a dotare di maggiore effettività la garanzia sottesa al divieto di bis in idem (sul punto v. la relazione dell'Ufficio del Massimario della Cassazione, p. 19).

Tuttavia, anche se si segue la linea argomentativa seguita dalla Corte di Cassazione per escludere la violazione del principio del ne bis in idem in caso di concorso tra illecito amministrativo e penale per omesso versamento delle ritenute, sorgono alcune perplessità.

Anche escludendo il rapporto di specialità, occorre comunque soddisfare quell'elementare esigenza di giustizia che, proprio nei casi di progressione illecita - tra i quali ricade quello in esame, come evidenziato dalle SSUU nel 2013 -, trova risposta nel principio del ne bis in idem. Un'esigenza la cui soddisfazione appare tanto più necessaria in un caso, come quello di specie, in cui l'intero contenuto di disvalore è esaurito dall'applicazione di una sola delle fattispecie che condividono sia i presupposti, sia la condotta, sia la tutela dei medesimi interessi (i.e. la corretta e puntuale percezione dei tributi)

Sul punto non può che condividersi l'orientamento della Cassazione che le Sezioni unite del 2013 hanno respinto. Come si legge nelle motivazioni nel caso Germani (Cass., Sez. III, Cass., sez. III, 8 febbraio 2012 (dep. 16 maggio 2012), n. 18757, Pres. De Maio, Rel. Franco, Imp. Germani, in questa Rivista con nota di A. Valsecchi, Sull'inapplicabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute d'acconto (art. 10 bis d.lgs. 74/00) all'omesso versamento delle ritenute relative al 2004 e sulle possibili ripercussioni di tale principio sul delitto di cui all'art. 10 ter): «appare invece esservi, in realtà, una sostanziale identità tra la condotta prevista e punita in via amministrativa dal D.Lgs. n. 671 del 1997, art. 13 e la condotta prevista quale penalmente rilevante dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis. Entrambe le condotte concernono il puro omesso versamento delle medesime somme mentre appare irrilevante, per valutare l'identità della condotta posta in essere dall'agente, sia il fatto che da un lato si puniscono gli omessi versamenti delle ritenute mensilmente operate e dall'altro quelli delle ritenute operate nel corso dell'intero anno; sia il fatto che differente sarebbe il termine di versamento. Non sembra invero esservi una sostanziale ed effettiva differenza di condotta fra l'omesso versamento del tutto e la somma degli omessi versamenti delle porzioni del tutto. Il comportamento illecito tenuto dal soggetto è, in effetti, il medesimo; e tanto le sanzioni amministrative tanto la sanzione penale hanno ad oggetto la stessa condotta omissiva (il mancato versamento all'erario) rivolta sul medesimo oggetto materiale (le ritenute certificate). Parimenti irrilevante è la diversità dei termini di adempimento prevista dalle due norme, perché l'enucleazione di due differenti termini di versamento non può influire, a livello penalistico, sulla fisionomia di una fattispecie penale e sul disvalore della stessa. Si tratta di un dato estrinseco che non incide sulla condotta omissiva dell'agente, se non nel senso di sanzionarne il termine di rilevanza giuridica» (neretti aggiunti).