ISSN 2039-1676


28 maggio 2014 |

Omesso versamento di ritenute previdenziali e soglie di punibilità: dalla Corte costituzionale uno spunto per una valutazione sull'offensività della condotta

Corte cost., sent. 19 maggio 2014, n. 139, pres. Silvestri, est. Mazzella

 

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1. Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale torna ad occuparsi, a distanza di oltre dieci anni, della legittimità dell'art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, riguardante le sanzioni penali previste a carico del datore di lavoro che ometta di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dovute ai lavoratori dipendenti, rispetto al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

Anche in quest'occasione, però, la risposta della Corte è negativa, e la norma in esame è giudicata costituzionalmente legittima.

 

2. Innanzitutto la vicenda. Il Tribunale di Imperia, con due distinte ordinanze, si interroga sulla legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1-bis citato, nella parte in cui non prevede una soglia di punibilità al di sotto della quale sia consentito mandare esente da responsabilità il datore di lavoro che abbia omesso il versamento di ritenute previdenziali e assistenziali di minima entità.

In fatto, tale dubbio si manifesta nei riguardi di imputati che hanno omesso versamenti per la somma di euro 24,00, nel primo caso; e di euro 1.544,00 e 1.804,00 in due distinti periodi di imposta nel secondo caso.

L'impianto comune ad entrambe le ordinanze di rimessione evidenzia l'irragionevole disparità di trattamento che intercorrerebbe tra gli imputati ex art. 2 citato e quelli chiamati a rispondere del delitto di cui all'art. 10-bis d. lgs. 74/2000: tale ultima disposizione, infatti, nell'incriminare la condotta di chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta le relative ritenute, prevede espressamente la non punibilità degli omessi versamenti che non eccedano i cinquantamila euro per periodo d'imposta.

In particolare, il primo giudice chiede alla Corte costituzionale di riconsiderare la posizione a suo tempo espressa con l'ordinanza 206/2003, con la quale il giudice delle leggi aveva dichiarato manifestamente infondata analoga questione di legittimità, pure sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione. In quell'occasione, dopo aver premesso che un sindacato che investa direttamente il merito delle scelte legislative è ammissibile nei limiti in cui vengano in considerazione profili di "assoluta arbitrarietà o di manifesta irragionevolezza", la Corte motivò la propria decisione sulla base della strutturale disomogeneità dell'obbligo tributario rispetto a quello previdenziale, al quale ultimo sono connesse esigenze di tutela della posizione contributiva del lavoratore subordinato, compendiate negli artt. 1, 4, 35 e 38 della Costituzione.

In quest'occasione, allora, il Tribunale di Imperia suggerisce alla Corte un "ripensamento" della propria decisione. Secondo il rimettente, alla base di quella sentenza doveva porsi il remoto convincimento, al tempo diffuso in giurisprudenza, secondo cui l'omesso versamento di contributi assistenziali o previdenziali costituisce condotta strutturalmente diversa da quella incriminata dall'art. 10-bis d. lgs. 74/2000, tra l'altro suscettibile - a differenza di quest'ultima - di integrare gli estremi della condotta appropriativa penalmente sanzionata all'art. 646 c.p.

Il nuovo assetto giurisprudenziale, da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite[1], è invece orientato nel senso di ritenere "completamente sovrapponibili" le due posizioni; con la conseguenza, secondo il rimettente, che in ciò risiederebbe la premessa per ravvisare l'irragionevole disparità di trattamento operato da due disposizioni incriminatrici le quali - a fronte dell'incriminazione di condotte, appunto,  "sovrapponibili" - divergono nella previsione di una soglia di rilevanza penale delle medesime.

Ad ulteriore rafforzamento di tale strutturale identità tra le condotte, il giudice a quo valorizza altresì l'ulteriore argomento, desunto dall'art. 2116, comma 1, c.c., a norma del quale le prestazioni previdenziali e assistenziali risultano dovute al lavoratore "anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti": al pari, rileva il ricorrente, di quanto avviene in caso di omesso versamento di ritenute fiscali.

In aggiunta, la seconda ordinanza di rimessione ritiene, sostanzialmente aderendo alle ragioni sin qui esposte, di spingersi oltre: non solo lamentando l'illegittimità della disposizione in esame, ma anche giungendo a individuare per via interpretativa, attraverso calcoli che la sentenza della Corte non esplicita, l'ammontare della soglia di punibilità "desiderata" nell'importo di euro 18.485,00 per periodo d'imposta.

 

3. La Corte costituzionale, richiamando il proprio precedente del 2003, disattende tutte le censure sollevate e conferma la legittimità della norma in esame.

In particolare, il giudice delle leggi ribadisce come il merito della scelta sanzionatoria operata dal legislatore non possa dirsi viziata da arbitrarietà né da manifesta irragionevolezza, rilevando al contempo che "gli obblighi tributari e gli obblighi previdenziali di cui si tratta, pur rientrando nell'ampia categoria delle obbligazioni pubbliche, sono correlativi a diversi interessi, rispettivamente presi in considerazione dai due diversi precetti costituzionali di cui agli articoli 53 e 28 della Costituzione". Risulta coerente, pertanto, una ragionevole differenziazione della risposta sanzionatoria che il legislatore predispone a fronte di eventuali violazioni: anche, naturalmente, sul piano penale, dal momento che la razionalità e l'intima coerenza del sistema non può essere valutata che esclusivamente all'interno del proprio ambito di riferimento.

A fortiori, la Corte osserva altresì come diversa appaia la genesi normativa delle due disposizioni incriminatrici in esame: l'una - l'art. 2 d. l. 483/1983 - volta a tutelare la stessa "tenuta" del sistema previdenziale previsto per i prestatori di lavoro, come conferma la previsione, a carico del datore di lavoro, dell'ulteriore obbligo di versare una somma aggiuntiva pari fino a due volte l'importo dovuto, in caso di omesso o incompleto pagamento; l'altra - l'art. 10-bis d. lgs. 74/2000 - elaborata in attuazione di principi e criteri direttivi tesi a configurare un "ristretto numero di fattispecie" caratterizzate da "rilevante offensività per gli interessi dell'erario".

Né decisivo potrebbe risultare, del resto, l'argomento dell'autonomia della prestazione previdenziale rispetto alla regolare corresponsione dei relativi contributi di cui all'art. 2116 c.c.; a ben vedere, infatti, esso potrebbe risultare utile all'opposto fine, di sottolineare la tutela rafforzata di cui godono gli interessi del lavoratore all'interno del nostro ordinamento: un dato - lascia intendere implicitamente la Corte - cui ben potrebbe accompagnarsi un correlato rafforzamento della risposta penale.

 

4. Ciò osservato, avendo così respinto le doglianze avanzate dai rimettenti, la Corte trova il modo, in chiusura, di dare spazio ad un ulteriore - e significativo - spunto. Ravvisa il Collegio, sia pur circoscrivendo espressamente la portata del proprio rilievo alla sola ordinanza relativa all'omesso versamento per euro 24,00, che il giudice ordinario neppure dovrebbe porsi il problema dell'omessa previsione di una soglia legale di punibilità ogniqualvolta, all'esito di una valutazione dei fatti, ritenga che la condotta contestata all'imputato risulti "in concreto palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati".

La Corte, in sostanza, richiama l'interprete ad un più puntuale rispetto del principio costituzionale di offensività nella sua declinazione concreta: e cioè quale strumento interpretativo imprescindibile per espungere dall'ambito applicativo di una fattispecie incriminatrice ogni condotta che - pur conforme al tipo, e dunque astrattamente offensiva - nondimeno non abbia comportato alcun pericolo o danno per l'interesse tutelato.

 

[1] Si tratta di Cass. pen., Sez. un., 25 maggio 2011, n. 37954, pubblicata in questa Rivista, 24 ottobre 2011, con scheda di G. Romeo.