ISSN 2039-1676


08 giugno 2015

Infondata la questione di legittimità  costituzionale sulla soglia di punibilità  di 50.000 euro nel delitto di omesso versamento delle ritenute (art. 10-bis d.lgs. 74/2000)

Corte cost., sent. 13 maggio 2015 (dep. 5 giugno 2015), n. 100, Pres. Criscuolo, Rel. Frigo

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1. La Corte costituzionale ha ritenuto infondate le analoghe questioni di legittimità costituzionale sollevate da vari giudici a quibus, in relazione all'art. 3 (e, secondo il Tribunale di Forlì, all'art. 24) Cost., a proposito dell'art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute per importi non superiori, per ciascun periodo d'imposta, ad euro 50.000, anziché ad euro 103.291,38.

 

2. I giudici remittenti sospettavano in particolare che la norma censurata violasse l'art. 3, per l'irragionevole disparità di trattamento della fattispecie considerata "sia rispetto ai più gravi delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione (artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000), integrati da condotte maggiormente insidiose e lesive degli interessi del fisco; sia rispetto alla fattispecie criminosa analoga dell'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), prevista dall'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, quale risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale di cui alla sentenza n. 80 del 2014" della Corte costituzionale.

 

3. Come anticipato, la Corte ritiene infondati entrambi i profili di censura (mentre considera manifestamente inammissibili i profili relativi all'art. 24 dedotti dal Tribunale di Forlì, per difetto totale di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza).

 

4. La Corte rammenta anzitutto le considerazioni che l'avevano condotta, nel 2014, alla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 10-ter su cui fanno leva tutte le ordinanze di rimessione. La previsione di una soglia di punibilità di 50.000 euro prevista da tale disposizione (introdotta con il d.l. 223/2006) era in effetti manifestamente irragionevole in relazione in relazione alla ben più elevate soglie rispettivamente di 77.468,53 e di 103.291,38 euro previste per i delitti di infedele e omessa dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000, in vigore sino alle modifiche apportate a tali ultime disposizioni dal d.l. 138/2011, conv. con modif. dalla l. 148/2011, giacché in tal modo veniva sottoposto a un trattamento deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA senza versare l'importo di cui si era riconosciuto debitore, rispetto a chi non avesse presentato affatto la dichiarazione, o avesse presentato una dichiarazione inveritiera, evadendo del pari l'imposta.

Prendendo atto di tale incongruenza, il legislatore aveva provveduto nel 2011 a ridurre, rispettivamente, a 30.000 e 50.000 le soglie di punibilità per i delitti di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000; ma, trattandosi di modifiche peggiorative per il reo, la loro efficacia non poteva ovviamente essere retroattiva, con la conseguenza che - rispetto ai fatti commessi prima del settembre 2011 - permaneva l'irragionevole discrasia delle soglie di punibilità tra l'omesso versamento dell'IVA e l'omessa o infedele dichiarazione.

Tale discrasia aveva così reso necessario l'intervento della Corte costituzionale, attuato con la citata sentenza n. 80/2014, che aveva per l'appunto innalzato la soglia di punibilità per il delitto di cui all'art. 10-ter a quella più alta tra le soglie di raffronto, e dunque a quella prevista per il delitto di omessa dichiarazione (pari appunto a  103.291,38 euro), limitatamente ai fatti commessi sino al settembre 2011.

 

5. Ciò posto, l'argomento sotteso a tutte le ordinanze di rimessione era che la previsione di una soglia di 50.000 per il delitto di omesso versamento di ritenute di cui all'art. 10-bis si esponesse alle medesime censure di irragionevolezza che avevano condotto la Corte alla dichiarazione di illegittimità di tale soglia in relazione all'art. 10-ter.

La Corte respinge tuttavia tale assunto, sottolineando come - a differenza di quanto accade per la dichiarazione IVA - la dichiarazione di sostituto d'imposta non rientri tra quelle rilevanti ai fini dei delitti di infedele e omessa dichiarazione, invocati come tertia comparationis; con la conseguenza che "il sostituto d'imposta che omette di versare le ritenute certificate può essere chiamato a rispondere, sul piano penale, unicamente del reato di cui all'art. 10-bis, tanto se abbia regolarmente assolto i propri obblighi dichiarativi, quanto se abbia presentato una dichiarazione infedele, quanto se non abbia presentato affatto la dichiarazione (l'omessa o infedele dichiarazione di sostituto d'imposta integrano, per communis opinio, solo l'illecito amministrativo di cui all'art. 2 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»: illecito che concorrerà, se del caso, con il delitto in esame)". Col che resta escluso che i delitti di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000 possano essere assunti a validi tertia comparationis, ai fini della prospettata censura ex art. 3 Cost.

Né risulta fondata, ad avviso della Corte, l'idea secondo cui le fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter costituiscano in certo senso fattispecie 'gemelle', dall'identico disvalore, sì che la previsione di diverse soglie di punibilità per tali reati sarebbe per ciò stesso irragionevole. Le due fattispecie presentano, in realtà, significativi elementi differenziali, puntualmente evidenziati dalla Corte; di talché "l'allineamento quoad poenam e quanto a soglie di punibilità delle due ipotesi di omesso versamento, operato dal legislatore nel 2006, rappresenta [...] una soluzione costituzionalmente compatibile, ma non certo costituzionalmente imposta": come dimostra del resto l'analisi delle parabole storiche dei due reati, che evidenziano percorsi  di periodica criminalizzazione e de-criminalizzazione del tutto indipendenti l'uno dall'altro. (F.V.)