ISSN 2039-1676


08 luglio 2014 |

Ne bis in idem: la sentenza Grande Stevens è ora definitiva

Corte EDU, comunicato stampa n. 203 (2014) dell'8 luglio 2014

La cancelleria della Corte EDU ha comunicato ieri (clicca sotto su download documento) che un panel di cinque giudici ha rigettato la richiesta di rinvio alla Grande Camera formulata dal governo italiano contro sentenza Grande Stevens c. Italia, che diviene così definitiva ai sensi dell'art. 43 CEDU.

Il rigetto dell'istanza del governo italiano dimostra, evidentemente, che nell'ottica della Corte la sentenza non presenta particolari profili problematici, meritevoli di riconsiderazione da parte del massimo consesso europeo. La palla passa, così, all'ordinamento italiano, chiamato a dare applicazione nell'ordinamento interno ai principi espressi dalla Corte ai sensi dell'art. 46 CEDU. Diventa così attuale il dibattito sulle possibili ricadute della sentenza nell'ordinamento italiano, dibattito che - dopo aver dato a suo tempo notizia della pronuncia (cfr. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, 9 marzo 2014)  e dell'approfondita relazione sul tema dell'Ufficio Massimario della Corte di Cassazione - abbiamo già avviato dalle pagine della nostra Rivista nei giorni scorsi  (cfr. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem: verso una diretta applicazione dell’art. 50 della Carta? (a margine della sentenza Grande Stevens della Corte EDU), 30 giugno 2014; G. De Amicis, Ne bis in idem e 'doppio binario' sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza 'Grande Stevens' nell'ordinamento italiano, 30 giugno 2014).

Ho già espresso il mio personale punto di vista, in proposito, nel saggio appena menzionato, a cui posso qui soltanto rinviare. Solo mi preme evidenziare che il quesito non concerne tanto l'an dell'adeguamento, quanto più semplicemente il quomodo: attraverso un intervento del legislatore volto a correggere il sistema di doppio binario censurato a Strasburgo nella materia degli abusi di mercato, ovvero - ancor prima - mediante l'intervento del potere giudiziario, anch'esso vincolato - in quanto potere dello Stato - a rispettare gli obblighi imposti dalla sentenza della Corte?

La mia opinione è che, ferma l'opportunità che il legislatore si impegni al più presto in un complessivo intervento di razionalizzazione del sistema attuale, la magistratura italiana possa e debba evitare - nel frattempo - il prodursi o il protrarsi di nuove violazioni convenzionali, in particolare ponendo fine al più presto a tutti i procedimenti penali relativi ai medesimi fatti già giudicati dalla CONSOB con provvedimenti ormai definitivi. Anche qui, potremo discutere sul come giungere a tale risultato (attraverso una interpretazione conforme dell'art. 649 c.p.p., attraverso una questione di legittimità costituzionale ex art. 117 co. 1 Cost. relativa allo stesso art. 649 c.p.p., o ancora attraverso la diretta applicazione dell'art. 50 della Carta di Nizza); ma sulla necessità di raggiungere tale obiettivo non possiamo ragionevolmente nutrire dubbi, a meno che i giudici italiani non vogliano precostituire le condizioni per nuove condanne a Strasburgo - a questo punto più che certe, dopo la decisione della Corte di non accogliere la richiesta di rinvio alla Grande Camera del caso Grande Stevens.

Per quanto riguarda la via per pervenire a tale risultato, continuo d'altra parte a non comprendere gli ostacoli che si opporrebbero alla strada maestra spalancata dall'art. 50 della Carta: più che una strada, un'autostrada, che peraltro non è considerata affatto dalla Relazione dell'Ufficio Massimario, ed è evocata soltanto en passant dal pur documentatissimo lavoro di Gaetano De Amicis poc'anzi citato. L'art. 50 della Carta - disposizione di diritto primario dell'Unione, e come tale direttamente applicabile nell'ambito di applicazione del diritto UE (che a sua volta pacificamente coprende la materia degli abusi di mercato) - ha come proprio contenuto minimo (art. 52 § 3 della Carta) il contenuto della corrispondente norma convenzionale, e dunque dell'art. 4 Prot. 7 CEDU, così come interpretato dalla giurispduenza di Strasburgo: giurisprudenza che ci dice ora forte e chiaro che celebrare un processo penale dopo la conclusione di un procedimento sanzionatorio avanti alla CONSOB - un procedimento formalmente  qualificato come 'amministrativo' dal nostro ordinamento, ma in realtà di natura penale ai fini dell'applicazione delle garanzie convenzionali - viola il diritto al ne bis in idem dell'imputato.

Alla stessa conclusione non potrebbe, a mio giudizio, che pervenire anche la Corte di giustizia dell'UE, alla luce - appunto - dell'art. 52 § 3 della Carta; anche perché, nonostante quanto a volte si sostiene, mai la Corte di giustizia ha affermato il contrario, né in Fransson né tanto meno in Spector. Nulla vieta, comunque, a chi nutra dei dubbi in proposito di interpellare direttamente i giudici di Lussemburgo, attraverso un rinvio pregiudiziale di interpretazione ai sensi dell'art. 267 TFUE: che è come è noto strumento facoltativo per il giudice di merito, e obbligatorio per il giudice di ultima istanza, allorché questi nutra dei dubbi sull'interpretazione di una norma del diritto dell'Unione come, nel nostro caso, l'art. 50 della Carta.