ISSN 2039-1676


21 aprile 2017 |

La Corte di Cassazione alle prese con i principi stabiliti dalla Corte europea in materia di ne bis in idem in relazione al “doppio binario” sanzione penale - sanzione disciplinare (penitenziaria)

Nota a Cass, Sez. II, sent. 15 dicembre 2016 (dep. 24 febbraio 2017), n. 9184, Pres. Davigo, Rel. Recchione, Imp. Pagano

Contributo pubblicato nel Fascicolo 4/2017

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1. Con la sentenza in commento, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha escluso la violazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. – così come interpretato alla luce dell’art. 4 Prot. n. 7 Cedu e della rilevante giurisprudenza della Corte di Strasburgo, di cui si veda in particolare la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia – in un caso in cui un detenuto, a seguito della rottura del vetro di una finestra della casa circondariale in cui era ristretto, aveva subìto, ai sensi della legge sull’ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354), l’applicazione della sanzione disciplinare dell’esclusione dalle attività in comune, per la durata di cinque giorni; e, contemporaneamente, era stato sottoposto a giudizio penale, per i medesimi fatti, con l’imputazione di danneggiamento.

Dopo la recente condanna del nostro Paese da parte della Corte europea, nella decisione Grande Stevens, proprio per la violazione del principio del ne bis in idem in un caso di concorso tra illeciti amministrativi ed illeciti penali in materia di market manipulation[1], la vicenda in esame costituisce, quindi, un nuovo banco di prova per verificare a quali condizioni il sistema domestico del c.d. “doppio binario” sanzionatorio possa risultare conforme alle indicazioni scaturenti dalla CEDU e dalla Corte di Strasburgo.

 

2. Brevemente, una sintesi della vicenda.

Come appena accennato, il caso sottoposto ai giudici di legittimità riguardava un soggetto che, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, aveva provocato il danneggiamento di una finestra della casa circondariale in cui era detenuto.

Per questi fatti veniva immediatamente avviato un procedimento disciplinare avanti il Consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario, che si concludeva in data 23 dicembre 2014 con l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 39 ord. penit. della esclusione dalle attività in comune per la durata di cinque giorni.

Contemporaneamente, si procedeva all’iscrizione del soggetto nel registro degli indagati per il reato di danneggiamento, e si esercitava nei suoi confronti l’azione penale.

Tuttavia, il Tribunale competente dichiarava di non doversi procedere per il contestato reato, dal momento che l’imputato aveva già subìto, per gli stessi fatti, una sanzione – quella disciplinare – che, alla luce dei criteri Engel, doveva ritenersi sostanzialmente penale: di conseguenza, la celebrazione di un procedimento penale per un fatto, già sanzionato in sede disciplinare, doveva ritenersi preclusa, in quanto contraria al divieto di bis in idem ex art. 649 c.p.p., coerentemente con quanto affermato dalla Corte europea in relazione all’art. 4 Prot. n. 7 Cedu[2].

La Procura generale proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza dei giudici di primo grado, sostenendo la natura “non penale” della sanzione disciplinare già irrogata all’imputato dal momento che la sanzione in questione non rappresenterebbe altro che una mera modalità di restrizione carceraria e l’infrazione, da cui l’applicazione di tale sanzione era derivata, non costituirebbe necessariamente una condotta penalmente rilevante. 

La Corte di Cassazione, per i motivi di seguito esposti, ha accolto il ricorso del Procuratore generale, rinviando alla Corte d’appello competente per un nuovo giudizio penale.

 

3. La questione sottoposta alla Corte di Cassazione presenta indubbi profili di interesse: in particolare, essa rappresenta una nuova occasione, per i giudici di legittimità, di misurarsi con il tema dell’incidenza della Cedu e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul diritto interno.

Richiamando la recente sentenza n. 49 del 2015 della Corte Costituzionale, i giudici della Seconda Sezione hanno preliminarmente ricordato che l’obbligo di interpretazione adeguatrice, gravante sui giudici domestici, non riguarda ogni pronuncia della Corte edu, ma soltanto i casi in cui la decisione dei giudici europei costituisca “diritto consolidato” ovvero assuma la forma di una “sentenza pilota”[3]. In altri termini, il giudice nazionale non sarebbe in ogni caso vincolato, in sede di interpretazione del diritto interno, alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di Strasburgo, potendosene discostare ogniqualvolta quelle indicazioni non siano rappresentative di un orientamento stabile e condiviso.

Ciò premesso, i giudici di legittimità hanno riconosciuto che, in tema di ne bis in idem, il diritto convenzionale – dopo aver subìto “notevoli fibrillazioni” giurisprudenziali – è giunto ad un coerente e (per ora) definitivo approdo con la sentenza della Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, sicché in questo caso ci troviamo senz’altro di fronte ad una interpretazione “consolidata” dell’art. 4 Prot. n. 7 Cedu, capace di vincolare il giudice interno.  

 

4. Pur non essendo questa la sede per una puntuale analisi della richiamata decisione della Grande Camera A e B c. Norvegia[4], appare comunque utile ricordarne i punti salienti.

Chiamata a giudicare la lamentata violazione del principio del ne bis in idem in un caso in cui si era proceduto alla celebrazione di un processo penale, ed alla irrogazione delle relative pene, nei confronti di due soggetti che erano già stati sanzionati in via definitiva dall’amministrazione finanziaria con delle tax surcharges, la Grande Camera ha colto l’occasione per formulare alcuni principi di carattere generale in tema di art. 4 Prot. n. 7 Cedu.

In primo luogo, i giudici europei hanno affermato che, ai fini dell’individuazione della “materia penale” rilevante ai sensi dell’art. 4 Prot. n. 7 Cedu, devono essere utilizzati gli stessi criteri definiti dalla giurisprudenza di Strasburgo per gli artt. 6 e 7 Cedu: i criteri Engel, quindi, devono trovare applicazione anche in materia di ne bis in idem[5].

In secondo luogo, la Grande Camera ha escluso che vi sia una assoluta incompatibilità del sistema del c.d. “doppio binario” sanzionatorio – peraltro adottato da un gran numero di Stati aderenti alla Convenzione – con l’art. 4 Prot. n. 7 Cedu; ma al contempo ha richiesto, affinché il principio del ne bis in idem convenzionale sia rispettato, che tra i diversi procedimenti, avviati davanti a diverse autorità per il medesimo fatto, sussista una sufficiently close connection in substance and in time. Detto altrimenti, la Corte deve verificare che la pluralità di risposte sanzionatorie rispetto all’idem factum sia “the product of an integrated system enabling different aspects of the wrongdoing to be addressed in a foreseeable and proportionate manner forming a coherent whole, so that the individual concerned is not thereby subjected to injustice[6].

In particolare, sotto il profilo della connessione sostanziale la Grande Camera ha individuato alcuni fattori in base ai quali è possibile, per il giudice interno, stabilire se tra i diversi procedimenti vi sia, in effetti, uno stretto collegamento[7]. Il giudice interno è, quindi, chiamato a verificare:

- se i diversi procedimenti perseguono scopi differenti ed hanno ad oggetto differenti aspetti della medesima condotta illecita;

- se la pluralità di procedimenti risulta prevedibile dal soggetto al momento del compimento dell’azione;

- se le diverse autorità procedenti interagiscono adeguatamente, in modo tale da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova;

- se le sanzioni già irrogate nel primo dei procedimenti vengono tenute in debita considerazione dall’ autorità ancora procedente, così da garantire una complessiva proporzionalità della “sanzione integrata”.

Quanto, poi, al profilo della connessione temporale, la Corte europea – dopo aver escluso la necessità di uno stretto parallelismo tra i diversi procedimenti – si è limitata ad affermare che “the connection in time must be sufficiently close to protect the individual from being subjected to uncertainty and delay and from proceedings becoming protracted over time (…), even where the relevant national system provides for an ‘integrated’ scheme separating administrative and criminal components[8].

 

5. Tornando ora alla sentenza in commento, i giudici di legittimità si sono chiesti, in primo luogo, se la sanzione disciplinare di cui all’art. 39 ord. penit. possa essere ricondotta alla “materia penale” alla luce dei criteri Engel elaborati dalla Corte di Strasburgo. A tale questione la Seconda Sezione della Cassazione fornisce risposta positiva in ragione della “significativa gravità” dell’esclusione del detenuto dalle attività in comune, esclusione che, in effetti, “rende la detenzione particolarmente afflittiva”, tanto da richiedere, per la sua applicazione, addirittura una autorizzazione medica.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha reputato sussistente la “sufficiently close connection in substance, richiesta da A e B c. Norvegia, sulla base delle seguenti considerazioni: innanzitutto, sarebbero diverse le finalità della sanzione penale e di quella disciplinare, dacché la prima avrebbe una funzione generalpreventiva (dissuasione della commissione di identiche condotte da parte di altri soggetti) e specialpreventiva (specifica rieducazione del condannato), mentre la seconda esprimerebbe la più ristretta funzione di garantire e ripristinare l’ordine interno dell’istituto penitenziario; inoltre, la pluralità di procedimenti sarebbe senza dubbio prevedibile dall’agente nel caso di specie in quanto, da un lato, reso edotto delle norme relative ai diritti e doveri dei detenuti all’interno dell’istituto e, dall’altro, certamente consapevole della rilevanza penale della contestata condotta; da ultimo, i due procedimenti – quello disciplinare e quello penale – presenterebbero adeguate interazioni, dal momento che il Consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può sospendere il giudizio davanti a sé, ex art. 79 d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230, quando un’informativa di reato sia trasmessa alla autorità giudiziaria.

In terzo luogo, ed infine, i giudici hanno ritenuto sussistente anche una “sufficiently close connection in time, dal momento che i due procedimenti sono “temporalmente contigui”: mentre il processo penale, infatti, è ancora in corso, “quello disciplinare si è concluso il 23 dicembre 2014, contestualmente con l’avvio di quello penale”.

Alla luce dell’iter argomentativo appena riassunto, la Corte di Cassazione ha quindi negato che l’avvio – e la prosecuzione – del procedimento penale per il reato di danneggiamento, in seguito alla conclusione del procedimento disciplinare che ha irrogato all’imputato la sanzione dell’esclusione dalle attività in comune per cinque giorni, costituisca una violazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p., “anche nella dimensione emergente dalla interpretazione assegnabile alla norma alla luce del diritto convenzionale”; con una raccomandazione, però, ai giudici del rinvio: affinché si possa davvero ritenere che la sanzione ex art. 39 ord. penit. e la (eventuale) sanzione penale rappresentino un “compendio sanzionatorio integrato”, occorrerà che i giudici di merito, in caso di positivo accertamento della penale responsabilità dell’imputato, tengano in debita considerazione, nella commisurazione della pena, la sanzione disciplinare già eseguita.

***

6. Rimandando ad altra sede più approfondite riflessioni in tema di ne bis in idem convenzionale e di possibili ricadute sull’ordinamento nazionale dei princìpi sanciti in A e B c. Norvegia, siano comunque consentite alcune brevi considerazioni.

Innanzitutto, si deve dare atto ai giudici di legittimità di aver rivolto adeguata attenzione alle indicazioni contenute nella più volte citata sentenza della Corte europea: e ciò sia per quanto attiene il concetto di “materia penale” rilevante ai sensi dell’art. 4 Prot. n. 7 Cedu, sia per quanto riguarda i criteri – sostanziali e cronologici – necessari per scongiurare una violazione del principio del ne bis in idem convenzionale.

Eppure qualcosa non torna: e subito sovviene la lunga ed articolata dissenting opinion alla sentenza A e B c. Norvegia, firmata dal giudice Pinto de Albuquerque il quale, dopo aver denunciato la vaghezza e l’arbitrarietà del concetto di “sufficiently close connection in substance and in time, ha sostenuto come la decisione della Grande Camera apra le porte “to an unprecedented, Leviathan-like punitive policy based on multiple State-pursued proceedings, strategically connected and put in place in order to achieve the maximum possible repressive effect”.

Ebbene, nel caso di specie sembra che proprio quella lamentata vaghezza si sia prestata ad una interpretazione “di comodo” dei giudici interni i quali, pur formalmente utilizzando i criteri forniti dalla Grande Camera, li abbiano in realtà adattati alle specificità dell’ordinamento interno, al fine di giustificare un sistema sanzionatorio che appare, francamente, poco compatibile con il principio del ne bis in idem, così come affermato dall’art. 4 Prot. n. 7 Cedu.

Non convince, in particolare, la statuizione dei giudici di legittimità secondo cui la sanzione penale e quella disciplinare si distinguerebbero per le diverse finalità cui mirano: in realtà, dopo aver affermato la natura “sostanzialmente penale” della sanzione ex art. 39 ord. penit., riesce difficile sostenere che la sanzione de qua non assuma anche una funzione generalpreventiva e specialpreventiva.

Ma, soprattutto, non si comprende come la Corte di Cassazione abbia potuto ritenere integrato il criterio cronologico, accontentandosi del mero dato di fatto che i due procedimenti sono “temporalmente contigui”. In realtà, mentre il procedimento disciplinare si è concluso nel dicembre 2014, il procedimento penale è, oggi, ad oltre due anni di distanza, ancora in corso di svolgimento e in attesa di ben due gradi di giudizio: in una prospettiva come questa, appare arduo continuare a parlare di “sanzione penale integrata”, invece che di vera e propria duplice sanzione dell’idem factum.

Rilevando le suesposte incongruenze nella sentenza in commento, chi scrive non si vuole certo spingere ad affermare che, laddove sia già irrogata una sanzione penale, sia in ogni caso preclusa l’applicazione, per lo stesso fatto, di ulteriori sanzioni aventi medesima natura: al contrario, come sostenuto proprio dalla Corte di Strasburgo nella più volte citata A e B c. Norvegia, è ben possibile individuare alcuni (e stringenti) criteri in base ai quali ritenere compatibile, con il principio del ne bis in idem, la doppia punizione dell’idem factum, purché questi consentano di individuare con certezza i casi in cui si può parlare di “sanzione penale integrata”, con riferimento ad una pluralità di risposte sanzionatorie alla medesima infrazione.

Insomma, perché la Cedu ed i princìpi ivi contenuti possano trovare una piena attuazione nell’ordinamento domestico, occorre che i giudici interni non si limitino ad un formale rispetto delle indicazioni della giurisprudenza europea in un’ottica troppo spesso “conservativa”, dovendo sempre rammentare anche, e soprattutto, lo spirito che anima la Convenzione. Solo così si può scongiurare il rischio che le parole del giudice Pinto de Albuquerque diventino tristemente profetiche.

 

 

[1] Per un commento alla sentenza della Corte di Strasburgo, 7 luglio 2014, Grande Stevens c. Italia, v. G.M. Bozzi, Manipolazione del mercato: la Corte edu condanna l’Italia per la violazione dei principi dell’equo processo e del ne bis in idem, in Cass. pen., 2014, n. 9, p. 3099 ss.

[2] In un caso del tutto analogo, anche il Tribunale di Brindisi era giunto alla medesima conclusione, pronunciando sentenza di non doversi procedere ex art. 529 c.p.p. per improcedibilità dell’azione penale per bis in idem ex art. 649 c.p.p.: v. S. Finocchiaro, Improcedibilità per bis in idem a fronte di sanzioni formalmente ‘disciplinari’: l'art. 649 c.p.p. interpretato alla luce della sentenza Grande Stevens, in questa Rivista, 12 dicembre 2014.

[3] Per un commento a Corte cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, v. F. Viganò, La Consulta e la tela di Penelope. Osservazioni a primissima lettura su C. cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49, Pres. Criscuolo, Red. Lattanzi, in materia di confisca di terreni abusivamente lottizzati e proscioglimento per prescrizione, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., n. 2, 2015, p. 333 ss.; A. Ruggeri, Fissati nuovi paletti alla Consulta a riguardo del rilievo della Cedu in ambito interno, ivi, p. 325 ss.

[4] In proposito si può rinviare, anche per ulteriori riferimenti, a F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in questa Rivista, 18 novembre 2016.

[5] Corte Edu, Grande Camera, sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, § 107.

[6] Corte Edu, Grande Camera, sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, § 122.

[7] Corte Edu, Grande Camera, sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, § 132.

[8] Corte Edu, Grande Camera, sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, § 134.