ISSN 2039-1676


11 marzo 2019 |

Ordine europeo di indagine e ritardata comunicazione alla difesa del decreto di riconoscimento: una censura della Cassazione

Cass., Sez. VI, sent. 31 gennaio 2019 (dep. 25 febbraio 2019), n. 8320, Pres. Paoloni, Est. De Amicis, in proc. Creo

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1. Cominciano ad udirsi i primi vagiti dell’ordine europeo di indagine penale (OEI), il neonato strumento di raccolta transnazionale delle prove introdotto dalla direttiva 2014/41 dell’Unione in sostituzione della rogatoria, e recepito dal nostro ordinamento con il d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108 (il “decreto”).

La sentenza in commento riguarda, in particolare, un OEI con cui l’autorità giudiziaria tedesca aveva chiesto all’Italia di compiere, tra l’altro, alcuni atti di perquisizione e di sequestro nei confronti di una persona indiziata di evasione fiscale.

Il relativo provvedimento di riconoscimento da parte dell’autorità italiana, emesso dal competente pubblico ministero il 16 aprile 2018, era stato comunicato alla difesa solo il 28 giugno. Nel frattempo l’organo di accusa aveva compiuto le attività richieste, effettuando le perquisizioni e i sequestri il 24 maggio e disponendo, il 5 giugno, degli accertamenti tecnici non ripetibili ex art. 360 c.p.p. per le operazioni di copia del materiale informatico sequestrato (inviando, in quella data, il prescritto avviso all’indagato).

Di qui una palese violazione dell’art. 4 comma 4 del decreto, ai sensi del quale, quando la legge italiana prevede “il diritto del difensore di assistere al compimento dell’atto” – ed è proprio il caso dei mezzi istruttori in questione –, il provvedimento di riconoscimento dell’OEI dovrebbe essere comunicato “al momento in cui l’atto è compiuto” o, perlomeno, “immediatamente dopo”.

È appena il caso di sottolineare l’importanza di tale adempimento, funzionale ad una rapida proposizione dell’opposizione al giudice per le indagini preliminari (ossia il rimedio previsto dall’art. 13 comma 7 del decreto avverso il provvedimento di riconoscimento degli ordini europei di “sequestro ai fini di prova”). È vero che si tratta di un mezzo di impugnazione non suscettibile di sospendere l’esecuzione degli atti istruttori: una regola che, prevista in generale dall’art. 13 comma 4 del decreto in rapporto agli ordini europei che non abbiano ad oggetto sequestri, appare applicabile in via analogica anche agli ordini europei di sequestro, nonostante che non sia stata riprodotta nel corpo dell’art. 13 comma 7[1]. Un’opposizione tempestivamente proposta, tuttavia, aumenta le chances di interrompere l’esecuzione dell’OEI o, comunque, di evitare la trasmissione delle cose sequestrate all’autorità straniera.

Evidente, dunque, il danno subito dalla difesa, la quale ha potuto proporre l’opposizione solo più di un mese dopo l’esecuzione delle perquisizioni e dei sequestri, in questo caso proprio per denunciare l’inosservanza dell’art. 4 comma 4 del decreto. Nondimeno, a seguito del prevedibile accoglimento dell’istanza, il pubblico ministero ha ritenuto ugualmente di proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 13 comma 7 del decreto. La Sesta sezione della Corte l’ha rigettato, svolgendo una serie di considerazioni che appaiono ineccepibili.

 

2. La giustificazione addotta dal pubblico ministero a sostegno del proprio operato riposa sulla nota logica del c.d. “pregiudizio effettivo”: anche se non sono pienamente conformi alla propria fattispecie legale, gli atti processuali potrebbero, comunque, considerarsi produttivi dei loro effetti nella misura in cui non ne discenda un reale svantaggio per i destinatari.

È quello che, a parere dell’organo di accusa, si sarebbe verificato nel caso in esame. La ritardata notifica del provvedimento di riconoscimento non avrebbe determinato un danno sostanziale alla difesa per la ragione che il contenuto dell’OEI era stato integralmente trasposto nel decreto di perquisizione e di sequestro, di cui l’indagato era potuto venire a conoscenza al momento dello svolgimento delle attività istruttorie.

È un’impostazione che ricorda quella delle vecchie udienze di exequatur delle rogatorie di fronte alla Corte di appello, nell’ambito delle quali la giurisprudenza non consentiva alla difesa di intervenire, permettendole di fare valere le proprie ragioni solo dopo l’esecuzione degli atti richiesti[2].

Per fortuna la sentenza in commento ha individuato l’errore che vi si annida: l’equiparazione fra due atti – il riconoscimento dell’OEI e l’esecuzione delle operazioni istruttorie – “governati da presupposti, funzioni, finalità” del tutto diverse. Lo si evince dai numerosi motivi di rifiuto elencati dall’art. 10 del decreto, da cui emerge chiaramente come l’exequatur dell’OEI dipenda non solo dal tenore delle richieste istruttorie dell’autorità di emissione, per contrastare le quali sarebbe sufficiente conoscere il solo contenuto dell’OEI, ma anche dalla verifica del rispetto dei principi fondamentali del sistema dello Stato di esecuzione. Un complesso eterogeneo di valutazioni, insomma, che la difesa avrebbe la facoltà di contestare unicamente venendo in possesso dell’intero provvedimento di riconoscimento.

sarebbe consentito affermare che l’immediata trasmissione del provvedimento di riconoscimento potrebbe rallentare i tempi e compromettere l’efficacia della cooperazione. Ciò non avverrebbe per il motivo che, come si è già detto, l’opposizione non è suscettibile di determinare nessun effetto sospensivo delle attività istruttorie.

 

3. Ancora più debole, poi, un altro argomento speso dal pubblico ministero: quello secondo cui il d.lgs. n. 108 del 2017 non prevederebbe nessuna sanzione quando la comunicazione alla difesa del provvedimento di riconoscimento non fosse immediata.

Si dimentica, così, che la disciplina dell’OEI non è suscettibile di creare un sistema autosufficiente, ma delinea un regime che si trova in un rapporto simbiotico con le regole processuali interne.

Si potrebbe obiettare, invocando il canone dell’ubi lex voluit, dixit, che l’art. 36 del decreto detta apposite regole di utilizzabilità delle prove raccolte all’estero a seguito dell’emissione di un OEI da parte dell’Italia. Ma questa non sarebbe una buona ragione per concludere che, in mancanza di un’espressa prescrizione, altre invalidità non potrebbero operare. L’art. 36 si spiega con il fatto che nel nostro ordinamento non esistono inutilizzabilità di ordine generale: i divieti probatori sono sanciti volta per volta, in rapporto a ciascun atto processuale. Diverso il discorso per le nullità previste dall’art. 178 c.p.p., costruite per macro-categorie dalla portata omnicomprensiva e, come tali, estendibili anche agli atti disciplinati dal d.lgs. n. 108 del 2018.

Ebbene, se si conviene sul fatto che la ritardata comunicazione del provvedimento di riconoscimento si concretizza in un vulnus per la difesa, si comprende perché la Corte di cassazione abbia ritenuto di sanzionarla con una nullità intermedia per violazione delle norme attinenti all’assistenza dell’indagato ex art. 178 lett. c) c.p.p. Si tratta di un vizio suscettibile di ripercuotersi su tutte le attività istruttorie compiute. Anche se, purtroppo, esso verrebbe dichiarato troppo tardi nella misura in cui le cose sequestrate fossero ormai state trasmesse all’autorità che le aveva richieste, e l’ordinamento straniero non contemplasse la possibilità di ottenerne la restituzione.

 

4. La sentenza in commento ha, in definitiva, il merito di ricordarci che, nel nuovo regime di raccolta transnazionale delle prove predisposto dall’Unione, il riconoscimento delle richieste istruttorie provenienti dall’estero non è automatico, ma è soggetto ad un complesso di valutazioni finalizzate a preservare i principi fondamentali del diritto dello Stato di esecuzione. Valutazioni che, a loro volta, devono poter essere oggetto di un’efficace e tempestiva contestazione da parte della difesa, così da prevenire i danni (magari irreparabili) che un’illegittima esecuzione dell’OEI potrebbe generare.

Si tratta di un approdo che, come è agevole intuire, lascia impregiudicate altre questioni cruciali che l’OEI è destinato a sollevare.

Una di esse è se, in rapporto agli ordini europei di sequestro provenienti dall’estero, l’opposizione ex art. 13 comma 7 del decreto esaurisca tutti i mezzi di impugnazione proponibili dagli interessati, o se ad essa si affianchi il riesame previsto dagli artt. 257 e 324 c.p.p. in rapporto ai sequestri interni.

La sentenza in commento pare, sia pure incidentalmente, aderire alla seconda soluzione, quando afferma che l’opposizione integra lo “strumento riconosciuto dall’ordinamento all’indagato per sindacare la legittimità” del provvedimento di riconoscimento, mentre questo compito non potrebbe essere svolto dall’“eventuale richiesta di riesame proponibile avverso il decreto di perquisizione e sequestro, ossia nei confronti di un atto del tutto diverso, l’atto di indagine propriamente inteso, in ordine al quale ben differenti sono i parametri di censura e di valutazione da parte del tribunale in tal modo adito”.

Di diverso avviso un’altra recente sentenza della Cassazione, laddove si legge che se “una perquisizione o un sequestro siano disposti in attuazione di un ordine europeo di indagine, il rimedio esperibile non è l’ordinaria richiesta di riesame, ma in ogni caso l’opposizione al g.i.p. ai sensi dell’art. 13, non essendo ammissibile […] un doppio binario di tutela, di fronte al g.i.p. per l’ordine di indagine e il decreto di riconoscimento, di fronte al tribunale del riesame per i provvedimenti conseguenti”[3].

Mi sembra che quest’ultimo sia l’approccio più conforme alle scelte legislative. La tesi della coabitazione fra l’opposizione e il riesame trova un ostacolo testuale nella circostanza che il riesame ex art. 324 c.p.p. è previsto dal decreto (art. 28) unicamente in rapporto agli ordini europei di sequestro emessi dall’Italia. Ne discenderebbe, oltretutto, un’antieconomica duplicazione di rimedi non richiesta dall’art. 14 § 1 della direttiva 2014/41, il quale si limita a postulare la predisposizione di mezzi di impugnazioneequivalenti a quelli disponibili in un caso interno analogo”: un compito che l’opposizione, anche da sola, appare in grado di assolvere.

Certo, dovrebbe trattarsi di un’opposizione provvista del massimo ambito applicativo, con la quale fosse permesso contestare anche i presupposti di emissione delle perquisizioni e dei conseguenti sequestri, così come essi sono stati prospettati dall’autorità straniera, anche alla luce dei criteri nazionali (cioè della probable cause delineata dall’art. 247 c.p.p.). Una facoltà che, peraltro, sarebbe pregiudicata se non fosse concesso alla difesa conoscere perlomeno il contenuto del provvedimento istruttorio a suo tempo emesso dall’autorità straniera (il quale dovrebbe, comunque, essere allegato all’OEI[4]).

Non è difficile prevedere, anche tenendo conto della prassi consolidatasi in rapporto alle rogatorie, che tale estensione del rimedio non troverebbe il favore della giurisprudenza. Proprio la sentenza da ultimo citata precisa che l’opposizione potrebbe “comprendere la deduzione di eventuali vizi genetici o di comunicazione del decreto di riconoscimento, come anche la contestazione delle modalità di attuazione dell’ordine d’indagine” [5], sembrando in questo modo implicitamente escludere la facoltà di criticare i requisiti operativi delle perquisizioni e dei sequestri.

Molti osservano che tale lettura restrittiva troverebbe un chiaro appiglio testuale nell’art. 14 § 2 della direttiva 2014/41, ai sensi del quale “le ragioni di merito dell’emissione dell’OEI” potrebbero essere contestate “soltanto mediante un’azione introdotta nello Stato di emissione[6].

La perentorietà di tale statuizione, tuttavia, è scalfita dalla clausola di salvezza prevista immediatamente dopo: vanno “fatte salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stato di esecuzione”. Non  si può fare a meno, qui, di ricordare come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia più volte ribadito che fra le garanzie indispensabili per evitare “l’abuso e l’arbitrarietà” da parte degli organi inquirenti rileva, per l’appunto, la presenza di una solida giustificazione fattuale a sostegno dello svolgimento delle perquisizioni[7]. E questo è un argomento a favore dell’interpretazione estensiva dell’opposizione: potrebbe risultare difficile assicurare lo standard indicato dai giudici di Strasburgo se non fosse consentito alla difesa contestare anche nello Stato di esecuzione i presupposti di merito delle operazioni istruttorie; non è detto che, a questo fine, i rimedi apprestati dallo Stato di emissione sarebbero adeguati.

 


[1] Si veda E. Lorenzetto, L’assetto delle impugnazioni, in M.Daniele – R.E. Kostoris (a cura di), L’ordine europeo di indagine penale. Il nuovo volto della raccolta transnazionale delle prove nel d.lgs n. 108 del 2017, Giappichelli, 2018, 173.

[2] Cfr. Cass., sez. I, 29 novembre 2006, n. 40415.

[3] Cass., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 5940.

[4] Come sostenuto da alcuni dei partecipanti all’incontro sull’ordine europeo di indagine organizzato da Eurojust nel settembre del 2018: cfr. Eurojust meeting on the European investigation order. The Hague, 19-20 september 2018. Outcome Report, p. 8, in www.eurojust.europa.eu.

[5] Cass., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 5940.

[6] Così, ad esempio, E. Lorenzetto, L’assetto, cit., 162.

[7] In modo da evitare che esse vengano usate “per fornire alle autorità incaricate dell’inchiesta elementi compromettenti su persone non ancora identificate come sospettate di aver commesso un reato”: Corte eur. dir. uomo, 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, § 41 ss.