ISSN 2039-1676


13 giugno 2019 |

Alle Sezioni Unite una questione in tema di "controllo giudiziario delle aziende" ex art. 34-bis d.lgs. 159/2011: appello, ricorso per cassazione o nessun mezzo di impugnazione?

Cass., Sez. VI, ord. 15 maggio 2019 (dep. 3 giugno 2019), n. 24661, Pres. Fidelbo, Rel. Costanzo

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1. Con l’ordinanza in esame, la VI Sezione della Corte di cassazione – al fine di risolvere un contrasto giurisprudenziale – ha sottoposto all’esame delle Sezioni Unite una questione di diritto in tema di “controllo giudiziario delle aziendeex art. 34-bis d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia).

In particolare, i giudici di legittimità chiedono al massimo organo nomofilattico di chiarire «se contro il provvedimento con cui il tribunale, competente per le misure di prevenzione, neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dall’impresa destinataria di una interdittiva antimafia, sia proponibile ricorso per cassazione»[1].

 

2. Prima di illustrare i diversi orientamenti in cui si articola il contrasto interpretativo, sembra utile richiamare brevemente i tratti essenziali di questa “giovane” misura di prevenzione patrimoniale[2], introdotta in occasione della riforma del codice antimafia operata con la l. 17 ottobre 2017, n. 161[3].

Il “controllo giudiziario delle aziende” rientra tra le “misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca[4], e, proprio come “l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende” di cui all’art. 34 cod. ant., è finalizzato a promuovere «il disinquinamento» di determinate imprese attraverso un «intervento correttivo»[5]. Entrambe le misure vengono applicate «a soggetti ritenuti non socialmente pericolosi (e quindi non colpiti da misure di prevenzione personali)»[6], e presuppongono che non sussistano i requisiti per disporre la confisca di prevenzione[7].

Rispetto all’amministrazione giudiziaria di cui all’art. 34 cod. ant., però, il controllo giudiziario comporta un «approccio ancora più soft», dovuto ad un «minor bisogno di intervento»[8]. Il fatto che questa misura intenda intervenire su una situazione “meno allarmante” emerge dal tenore degli artt. 34 e 34-bis[9] del codice antimafia. Da un lato, infatti, l’amministrazione giudiziaria viene applicata «quando […] sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24»[10] cod. ant., ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluni gravi reati (cfr. art. 34, co. 1, cod. ant.). Dall’altro, il controllo giudiziario trova applicazione quando la suddetta agevolazione «risulta occasionale», e «sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività» (cfr. art. 34-bis, co. 1, cod. ant.).

Una volta applicato, il “controllo giudiziario delle aziende” non comporta alcuna «ingerenza diretta nella gestione aziendale, cioè non è prevista alcuna forma di amministrazione giudiziaria in senso stretto»[11]. Piuttosto, la misura in esame si sostanzia in una serie di prescrizioni e obblighi nei confronti del soggetto economico: il tribunale può infatti «limitarsi a imporre all’azienda oneri comunicativi nei confronti dell'autorità giudiziaria e di polizia», oppure può «nominare una sorta di tutor (definito impropriamente “amministratore giudiziario”) che, guidato dal giudice delegato, attua una “vigilanza prescrittiva” entro un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre»[12].

 

3. Un’importante peculiarità del controllo giudiziario ex art. 34-bis cod. ant. è data dal fatto che esso può essere disposto anche “a richiesta” del soggetto economico che sarà destinatario della misura.

In particolare, il comma 6 della disposizione in esame prevede che «possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario»[13] quelle imprese che, da un lato, siano state «destinatarie di informazione antimafia interdittiva» ai sensi dell’art. 84, co. 4, d.lgs. 159/2011, e, dall’altro, «abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto». Solo in presenza di queste condizioni il controllo giudiziario può essere applicato «su richiesta della parte privata»[14]. Il vantaggio che ne deriva sta in ciò: ai sensi dell’art. 34-bis, co. 7, cod. ant., l’accoglimento della suddetta richiesta determina la sospensione degli effetti prodotti dall’interdittiva antimafia di cui all’art. 94 d.lgs. 159/2011. In altre parole, l'azienda può tornare ad avere rapporti con la pubblica amministrazione.

All’indomani della sua entrata in vigore, l’istituto qui in esame ha portato gli interpreti a domandarsi se l’applicazione del controllo giudiziario debba essere concepito quale effetto “automatico” della richiesta di parte, o se invece occorra una valutazione da parte del tribunale che vada oltre l’accertamento dei requisiti “formali” sopra menzionati.

Rinviando ad altri contributi per un approfondimento sul punto[15], basti qui segnalare che la giurisprudenza ha sino ad ora negato l’esistenza di “automatismi”. Secondo la Corte di cassazione, infatti, il giudice della prevenzione è chiamato ad accertare che l’ente economico agevoli solo “occasionalmente” l’attività di soggetti sottoposti a misura di prevenzione o a procedimento penale per taluni reati (v. supra, §2), e che «l’accesso al controllo giudiziario» non può essere considerato «un diritto potestativo dell’impresa»[16].

 

4. Il procedimento che ha portato all’emissione dell’ordinanza qui in esame ha preso le mosse proprio da una richiesta di applicazione del controllo giudiziario avanzata da parte di una società per azioni destinataria di informazione antimafia interdittiva.

Tale istanza veniva rigettata dal Tribunale di Roma in data 3 dicembre 2018, e ciò in quanto i giudici di merito avevano ritenuto «accertata la stabilità» – e non l’occasionalità – «della agevolazione di soggetti appartenenti alle categorie criminali descritte dall’art. 34 d.lgs. 159/2011»[17].

Così, avverso il provvedimento dei giudici romani veniva proposto ricorso per cassazione da parte del difensore del legale rappresentante della società per azioni interessata, che, lamentando l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 34 e 34-bis cod. ant., ne chiedeva l’annullamento.

Investiti delle doglianze del ricorrente, i giudici di legittimità hanno rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenza proprio in ordine all’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il tribunale neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, co. 6, d.lgs. 159/2011. Nel silenzio della legge, infatti, in giurisprudenza sono emerse posizioni fra loro contrastanti, che hanno indotto la VI Sezione della Corte di cassazione a portare all’attenzione delle Sezioni Unite il quesito riportato supra (§1).

 

5. Veniamo, dunque, ai termini del contrasto giurisprudenziale.

Un primo orientamento ritiene che avverso il provvedimento con cui il tribunale decide sulla richiesta di controllo giudiziario formulata ex art. 34-bis, co. 6, cod. ant., sia proponibile ricorso per cassazione, e ciò sia nel caso di accoglimento, sia nel caso di rigetto[18].

Secondo i sostenitori di questa posizione, l’«addentellato normativo»[19] per ritenere esperibile il ricorso per cassazione sarebbe offerto dallo stesso art. 34-bis, co. 6, d.lgs. 159/2011. Tale disposizione, infatti, prevede che, a seguito della presentazione dell’istanza, «il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti». Il richiamo alla disciplina del “procedimento in camera di consiglio” determinerebbe l’operatività anche del comma 7 dell’art. 127 c.p.p., ai sensi del quale i destinatari dell’avviso di fissazione della data dell’udienza «possono proporre ricorso per cassazione».

All’interno di questo filone interpretativo, peraltro, si registra una posizione secondo cui il ricorso per cassazione sarebbe proponibile non per tutti i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., ma solo per “violazione di legge”, proprio come previsto per i provvedimenti emessi dalla Corte d’appello in materia di misure di prevenzione personali e sequestro e confisca di prevenzione (cfr. artt. 10 e 27 cod. ant.)[20].

 

6. Secondo un diverso indirizzo interpretativo, invece, dovrebbe ritenersi esclusa «ogni impugnabilità»[21]. Questa conclusione viene motivata facendo leva sui seguenti argomenti.

Anzitutto, si afferma che il rinvio alla disciplina del procedimento in camera di consiglio ex art. 127 c.p.p. (v. supra, §5) riguarderebbe «solo la forma partecipata del procedimento», e non anche i mezzi di impugnazione, «per i quali vale il principio di tassatività ex art. 568, comma 1, cod. proc. pen.»[22]. A conferma di ciò, si sottolinea che numerose sono le disposizioni che, pur rinviando alle “forme” del rito camerale, al contempo si premurano di ammettere espressamente il ricorso in sede di legittimità.

Inoltre, si osserva che l’assenza uno specifico mezzo di impugnazione non sarebbe casuale[23], e a tale convincimento si perviene valorizzando una modifica che il legislatore ha apportato alla disciplina della “amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende” (art. 34 d.lgs. 159/2011) proprio quando ha introdotto il “controllo giudiziario delle aziende” ex art. 34-bis d.lgs. 159/2011. In particolare, si evidenzia che l’art. 34, co. 6. d.lgs. 159/2011, dopo aver previsto che la revoca dell’amministrazione giudiziaria possa essere accompagnata dalla contestuale applicazione del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis cod. ant., ovvero dalla confisca dei beni di provenienza illecita, precisa che, in questi casi, «per le impugnazioni contro i provvedimenti di revoca […] si applicano le disposizioni previste dall’articolo 27» del codice antimafia, che, richiamando l’art. 10 cod. ant., ammette sia il ricorso alla Corte d’appello, sia il ricorso per cassazione. Insomma, come vuole il noto brocardo latino, ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Ancora, si rileva che in questa materia «non è conducente il richiamo all’art. 111 Cost., perché il provvedimento ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159/2011, non incide sulla libertà personale, né concerne l’esercizio di diritti di rango costituzionale»[24].

Infine, per mettere in luce la reale portata delle ricadute derivanti da questa impostazione, si ricorda che «la decisione del tribunale della prevenzione ha un contenuto provvisorio sempre rivedibile in forza di elementi nuovi che sopraggiungano», e ciò fino a quando non si siano stabilizzati gli effetti dell’informazione antimafia interdittiva[25].

 

7. Dopo aver illustrato le posizioni attorno alle quali si è sino ad ora polarizzato il dibattito giurisprudenziale, la Sezione rimettente rileva la percorribilità anche di un “terzo sentiero”.

In particolare, viene richiamato quell’approccio interpretativo che, in materia di misure di prevenzione, non esclude a priori l’appellabilità di provvedimenti per i quali gli artt. 10 e 27 cod. ant. non riconoscono espressamente la possibilità di proporre ricorso alla Corte d’appello. A questo approccio hanno fatto ricorso le Sezioni Unite in una sentenza del febbraio 2017, con la quale si era affermato che anche il decreto di rigetto della richiesta del pubblico ministero di applicazione della confisca non preceduta da un sequestro fosse impugnabile mediante appello[26], nonostante l’art. 27 d.lgs. 159/2011 non menzionasse tale provvedimento tra quelli impugnabili. Tale soluzione è stata peraltro successivamente recepita dal legislatore: oggi, infatti, l’art. 27, co. 1, cod. ant. prevede espressamente l’impugnabilità dei provvedimenti con cui «il tribunale dispone […] il rigetto della richiesta di confisca anche qualora non sia stato precedentemente disposto il sequestro»[27].

Comunque, per quanto qui interessa, si deve segnalare che, imboccando questa strada, anche in materia di “controllo giudiziario delle aziende” sarebbe possibile proporre appello, e il ricorso per cassazione per saltum contro le decisioni del tribunale dovrebbe essere dichiarato inammissibile[28].

 

* * *

 

8. La questione oggi sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite sembra presentare un certo grado di complessità. Numerosi, come si è visto, sono gli argomenti invocati dai diversi orientamenti formatisi nella giurisprudenza di legittimità, la quale si è trovata a far fronte ad un infelice “silenzio” del legislatore.

In questa sede non è certo possibile coltivare tutti gli spunti di riflessione offerti dagli snodi motivazionali dell’ordinanza appena esaminata; piuttosto – nell’attesa di più meditate riflessioni – si vuole proporre al lettore solo alcune considerazioni “a prima lettura”.

 

9. Anzitutto, ad avviso di chi scrive la decisione delle Sezioni Unite sarà in grado di far luce ben oltre lo specifico quesito formulato dai giudici di legittimità. Questo, come si è visto supra (§1), riguarda la proponibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento che neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto dall’impresa destinataria di una interdittiva antimafia (art. 34-bis, co. 6, d.lgs. 159/2011). E tuttavia, ci sembra che pure rispetto ai provvedimenti che accolgano o rigettino la richiesta di applicazione del controllo giudiziario avanzata dal procuratore della Repubblica, dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dal questore o dal direttore della D.i.a. sussistano incertezze in ordine ai mezzi di impugnazione esperibili[29]. Infatti, da un lato tali provvedimenti non rientrano tra quelli espressamente menzionati dall’art. 27, co. 1, cod. ant. che, all’interno del titolo dedicato alle misure di prevenzione patrimoniali, rappresenta l’unica disposizione espressamente dedicata alle impugnazioni; dall’altro, l’art. 34-bis cod. ant., nel disciplinare questa misura di prevenzione, non reca una disciplina ad hoc per ciò che concerne i mezzi di impugnazione.

 

10. Partendo dall’ipotesi di controllo giudiziario, per così dire, “ordinario” – cioè applicato su richiesta di uno dei suddetti soggetti titolari della proposta ex art. 17 cod. ant., e non della impresa interessata – a nostro avviso il dato normativo offre almeno un argomento per ritenere che contro il provvedimento che disponga o neghi l’applicazione della misura sia proponibile sia appello, sia ricorso per cassazione.

A sostegno di questa conclusione ci sembra possa farsi riferimento al comma 6 dell’art. 34 cod. ant., che, come si è visto supra (§6), è stato richiamato dalla Corte di cassazione per affermare che l’assenza di un rimedio contro il provvedimento di rigetto della richiesta avanzata dall’impresa ex art. 34-bis, co. 6, cod. ant. non sia casuale, rappresentando invece una consapevole scelta del legislatore. 

La disposizione appena menzionata prevede che, prima della data di scadenza dell’“amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende” (art. 34 cod. ant.), il tribunale possa disporre o il rinnovo della misura, o la revoca della stessa. In quest’ultimo caso, è previsto che – contestualmente al provvedimento di revoca – il tribunale possa applicare il “controllo giudiziario delle aziendeex art. 34-bis cod. ant., che, come si è già detto (v. supra, §2), rappresenta una misura meno “invasiva” rispetto all’amministrazione giudiziaria. La stessa norma, si badi, aggiunge che «per le impugnazioni contro i provvedimenti di revoca con controllo giudiziario […] si applicano le disposizioni previste dall’art. 27» del codice antimafia, il quale, rinviando all’art. 10 cod. ant. – che a sua volta disciplina le impugnazioni in materia di misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria – ammette sia il ricorso alla Corte d’appello, sia il ricorso per cassazione.

A ben vedere, dalla littera legis si ricava che il legislatore ha reso operative le impugnazioni ex art. 27 cod. ant. per riconoscere alle parti il diritto di mettere in discussione non il provvedimento di revoca dell’amministrazione giudiziaria, bensì la contestuale applicazione del controllo giudiziario.

Alla luce di ciò, ad avviso di chi scrive gli stessi mezzi di impugnazione dovrebbero poter essere esperiti anche quando il controllo giudiziario sia applicato come prima misura, e non soltanto in sede di revoca dell’amministrazione giudiziaria. Non si vede, infatti, per quale motivo la previa applicazione dell’amministrazione giudiziaria dovrebbe rappresentare una circostanza idonea a giustificare maggiori garanzie per chi si veda applicare il controllo giudiziario. In definitiva, ci sembra che l’unica soluzione rispettosa del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) richieda di riconoscere l’operatività dei mezzi di impugnazione ex art. 27 cod. ant. anche in caso di applicazione del controllo giudiziario ab initio (i. e. non contestuale a revoca dell’amministrazione giudiziaria).

 

11. L’opinione appena proposta, come è evidente, può essere argomentata solo facendo proprio quell’approccio interpretativo – su cui ha richiamato l’attenzione la Sezione rimettente (cfr. supra, §7) – che non esclude a priori che possa essere proposto appello anche contro i provvedimenti non espressamente elencati tra quelli impugnabili ex artt. 10 e 27 d.lgs. 159/2011. E ciò in quanto, come si accennava supra (§9), né l’art. 27, né l’art. 34-bis chiariscono se e come possano essere impugnati i provvedimenti di applicazione o diniego del controllo giudiziario, mentre l’art. 34, co. 6, cod. ant., come si è appena visto, si occupa solo dell’applicazione del controllo giudiziario contestuale alla revoca dell’amministrazione giudiziaria.

Ma se, come si diceva poc’anzi (supra, §10), un’interpretazione sistematica del dato normativo offre argomenti per affermare la proponibilità sia dell’appello, sia del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti che applicano il controllo giudiziario, non è del tutto escluso che le Sezioni Unite possano decidere di orientarsi verso una diversa soluzione con riguardo ai provvedimenti che rigettano la richiesta di applicazione del controllo giudiziario avanzata dalle imprese destinatarie di informazioni antimafia interdittive (art. 34-bis, co. 6, d.lgs. 159/2011), oggetto del contrasto giurisprudenziale.

A tal fine, però, l’unica via percorribile sembrerebbe quella di far leva sulle peculiarità del controllo giudiziario “a richiesta di parte” (art. 34-bis, co. 6, cod. ant.): si dovrebbe cioè affermare che le stesse siano così pregnanti da giustificare una diversa fisionomia dei mezzi di impugnazione.

Laddove, poi, si volesse accogliere l’orientamento restrittivo, che nega addirittura l’esperibilità del ricorso per Cassazione, si dovrebbe necessariamente negare che il provvedimento di diniego del controllo giudiziario rientri nella nozione c.d. sostanziale di sentenza accolta dall’art. 111, co. 7, Cost., ai sensi del quale «contro le sentenze […] è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge». Come noto, infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi a partire da una pronuncia delle Sezioni Unite del 1953[30], il dettato costituzionale si riferisce non solo alle sentenze in senso “formale”, bensì ad ogni provvedimento avente carattere decisorio[31].

Se si arrivasse ad accogliere l’impostazione restrittiva, peraltro, si determinerebbe un netto disallineamento tra la natura dei provvedimenti adottati ex art. 34-bis, co. 6, cod. ant., e quella dei provvedimenti adottati dal giudice della prevenzione quando gli si chiede di applicare altre misure personali o patrimoniali. È infatti pacifico che il decreto con cui si conclude il procedimento di prevenzione abbia «natura di sentenza»[32], e, conseguentemente, che nonostante il nomen juris ne debba seguire la disciplina.

 

12. Sia consentita una nota conclusiva. Sulle pagine di questa rivista è stato scritto che il c.d. codice antimafia rappresenta «un cantiere aperto»[33]. La metafora è senz’altro calzante: numerosi, negli ultimi anni, sono stati gli interventi del legislatore e della giurisprudenza che hanno tentato di “fare ordine” in un quadro normativo che – soprattutto dal punto di vista processuale – ancora oggi presenta più di un’ombra. La questione oggi portata all’attenzione delle Sezioni Unite ne è una testimonianza: come si è visto, quando si è alle prese con i profili dinamici del c.d. codice antimafia, richiamare con troppa fermezza il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione ex art. 568, co. 1, c.p.p. rischia di condurre l’interprete a soluzioni poco convincenti, e, pertanto, egli può avvertire la necessità di andare oltre il dettato normativo.

A fronte di questo scenario, l’auspicio non può che essere uno, e cioè che, quando farà ritorno in questo cantiere, il legislatore saprà assumere la “direzione dei lavori”.

Notevoli sono gli sforzi ermeneutici sino ad oggi posti in essere dai giudici di legittimità; essi, però, per quanto apprezzabili, non fanno che mostrare quanto sia sacrificato, nel processo di prevenzione, il principio di legalità processuale, che pretenderebbe il «primato della legge nel momento del procedere»[34].

 


[1] Questo il quesito formulato dalla Sezione rimettente, cfr. §2 del “considerato in diritto” dell’ordinanza in esame.

[2] Per un’analisi dell’istituto cfr., ad esempio, F. Balato, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all'art. 34-bis codice antimafia, in questa Rivista, 12 marzo 2019. Seppur giovane, questa misura di prevenzione ha – come è stato osservato in dottrina – «un cuore antico: già il co. 8 dell’art. 34 previgente (e ancor prima il co. 3 dell’art. 3-quinquies della l. 575/1965), prevedeva la possibilità di applicare un controllo giudiziario in caso di revoca dell’amministrazione giudiziaria, consistente in un onere comunicativo a carico del destinatario in favore dell’autorità di polizia avente per oggetto atti, transazioni, consulenze e contratti recanti un valore superiore a una soglia minima stabilita dal tribunale (non inferiore comunque a 25.000 euro)», cfr. G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, in Leg. Pen. (web), dal 14 febbraio 2018, §5.

[3] Per una panoramica sulle novità apportate da questa riforma cfr. S. Finocchiaro, La riforma del codice antimafia (e non solo): uno sguardo d’insieme alle modifiche appena introdotte, in questa Rivisa, 3 ottobre 2017.

[4] Così è intitolato il capo V, titolo II, libro I d.lgs. 159/2011, in cui è collocato l’art. 34-bis.

[5] Per questa e la precedente citazione cfr. T. Alesci, I presupposti ed i limiti del nuovo controllo giudiziario nel codice antimafia, in Giur. it., 2018, VI, p. 1518 ss., §2.

[6] G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, cit., §4.

[7] L’art. 34, co. 1, cod. ant., prevede espressamente che l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende può essere disposta solo se «non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui al capo I del presente titolo». Come osserva M. Bontempelli, L'accertamento penale alla prova della nuova prevenzione antimafia, in questa Rivista, 11 luglio 2018, p. 2: «Sembra d’altronde implicito alla costruzione del comma 1 dell’art. 34-bis che il controllo giudiziario abbia lo stesso presupposto negativo dell’amministrazione giudiziaria, correlato all’inesistenza delle fattispecie di prevenzione patrimoniale».

[8] Per questa e per la precedente citazione cfr. F. Balato, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali, cit., p. 64 (corsivo aggiunto).

[9] Si tratta, comunque, di disposizioni «di non facile lettura», come osserva M. Bontempelli, L’accertamento penale alla prova della nuova prevenzione antimafia, cit., p. 10.

Secondo C. Visconti, Contro le mafie non solo confisca ma anche “bonifiche” giudiziarie per imprese infiltrate: l’esempio milanese (working paper), in questa Rivista, 20 gennaio 2012, p. 3, l’amministrazione giudiziaria ex art. 34 cod. ant. rappresenta un istituto «sotto-utilizzato nella prassi anche a causa di una trama normativa che certamente non brilla per chiarezza quanto a portata e scopi della procedura».

[10] Cfr. art. 34, co. 1, d.lgs. 159/2011.

[11] Così G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, cit., § 5.2.

[12] Per questa e la precedente citazione cfr. C. Visconti, Approvate in prima lettura dalla Camera importanti modifiche al procedimento di prevenzione patrimoniale, in questa Rivista, 23 novembre 2015.

[13] Si badi, però, che tale richiesta può riguardare solo il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis, co. 2, lett. b), cod. ant., cui consegue la nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario. 

[14] G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, cit., §5.1.

[15] Cfr., in particolare, la ricostruzione di F. Balato, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali, cit., §7, secondo il quale «che non operi un automatismo, bensì occorra una valutazione da parte del tribunale pare richiederlo la stessa disposizione allorquando stabilisce – ai fini della emissione del controllo – che il tribunale accoglie la richiesta “ove ricorrano i presupposti”». Per una diversa opinione cfr. G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, cit., §5.1: «Quel che risulta oscuro, tuttavia, è il richiamo della norma ai fantomatici “presupposti” di cui il tribunale dovrebbe verificare la sussistenza quando “accoglie la richiesta” della parte privata. A ben vedere, infatti, l’unica condizione da accertare è e non può che rimanere la pendenza del provvedimento interdittivo e l’atto di impugnazione, oltre il parere della Direzione distrettuale competente sul piano procedurale».

[16] Per questa e la precedente citazione cfr. Cass. pen., Sez. V, 2 luglio 2018 (dep. 20 luglio 2018), n. 34526, §3 “considerato in diritto”.

[17] Dal §2 del “considerato in fatto” dell’ordinanza in esame si ricava che nel ricorso presentato dal difensore del legale rappresentante della s.p.a. interessata si chiedeva, tra le altre cose, che il provvedimento emesso dal Tribunale di Roma venisse annullato per «inosservanza e erronea applicazione degli artt. 34, 34-bis, anche in relazione agli artt. 4, 16 e ss. d.lgs. n. 159/2011, violazione di legge e vizio di motivazione nel ritenere accertata la stabilità della agevolazione di soggetti appartenenti alle categorie criminali descritte dall’art. 34 d.lgs. n. 159/2011 e i presupposti per l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale al titolare dell’impresa richiedente il controllo giudiziario» (corsivo aggiunto).

[18] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 15 marzo 2019 (dep. 12 aprile 2019), n.16105; Cass. pen., Sez. II, 14 febbraio 2019 (dep. 23 aprile 2019), n.17451; Cass. pen., Sez. II, 13 febbraio 2019, (dep. 3 aprile 2019), n.14586; Cass. pen., Sez. II, 13 febbraio 2019 (dep. 3 maggio 2019), n.18564; Cass. pen., Sez. V, 2 luglio 2018 (dep. 20 luglio 2018), n. 34526.

[19] Per la citazione contenuta in questo periodo cfr. Cass. pen., Sez. V, 2 luglio 2018 (dep. 20 luglio 2018), n. 34526.

[20] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 13 febbraio 2019 (dep. 3 maggio 2019), n.18564, §2.2: «Deve pertanto essere affermato che il giudizio di legittimità in alcun modo potrà avere ad oggetto aspetti riconducibili ai presupposti per l’emissione delle interdittive antimafia ma dovrà limitarsi a valutare le eventuali illegittimità del procedimento ex art. 34 bis codice antimafia ovvero l’errata valutazione dei presupposti di legge per ammettere il controllo giudiziario compiuto da parte dello stesso tribunale e ciò nei limiti propri del giudizio di legittimità in tema di misure di prevenzione in cui è precluso l’analisi di circostanze di fatto ed unico vizio deducibile è la violazione di legge» (corsivo aggiunto).

[21] Cfr. §1.2 “considerato in diritto” dell’ordinanza in esame, ove si richiamano le seguenti pronunce, tutte segnalate con notizia di decisione n. 20 del 9 maggio 2019: Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, Labate; Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, Lucianò; Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, Gienne costruzioni s.r.l.; Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, Scaramuzzino; Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, PM c. Eurostrade s.r.l.; Cass. pen., Sez. VI, 4 aprile 2019, Consorzio Go Service scarl.

[22] Cfr. §1.2 “considerato in diritto” dell’ordinanza in esame.

[23] Cfr. §1.2 “considerato in diritto” dell’ordinanza in esame.

[24] Cfr. §1.2 “considerato in diritto” dell’ordinanza in esame.

[25] Cfr. §1.2 “considerato in diritto” dell’ordinanza in esame.

[26] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 23 febbraio 2017, n. 20215, in questa Rivista, con nota di C. Forte, Impugnare o non impugnare? Questo è il dilemma. Le Sezioni Unite della Cassazione prendono l’armi contro una “svista del legislatore”, 4 luglio 2017.

[27] L’art. 27, co. 1, cod. ant. è stato modificato dall’art. 6 l. 17 ottobre 2017, n. 161.

[28] Sull’inammissibilità del ricorso per cassazione per saltum avverso i provvedimenti di primo grado in materia di misure di prevenzione personali, cfr. Cass. pen., Sez. II, 5 luglio 2013 (dep. 19 luglio 2013), n. 31075.

[29] L’art. 17 cod. ant. attribuisce a questi soggetti il potere di proporre l’applicazione di tutte le misure di prevenzione patrimoniali disciplinate dal titolo II, libro I, d.lgs. 159/2011, e quindi si riferisce anche al controllo giudiziario ex art. 34-bis cod. ant.

[30] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 30 luglio 1953, n. 2593.

[31] Sul punto cfr. V. Dente, Commento all’art. 111, in Commentario della Costituzione, G. Branca (a cura di), Zanichelli, Bologna, 1987, p. 13 ss.

[32] Cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. II, 2 luglio 2015 (dep. 16 ottobre 2015), n. 41728; Cass. pen., Sez. Un., 29 ottobre 2009 (dep. 8 gennaio 2010), n. 600. 

[33] Così K. Tassone, La costante riforma del codice antimafia: un cantiere aperto. Principi e obiettivi che hanno animato la riforma: gli interventi più significativi, i margini di miglioramento, in questa Rivista, 22 gennaio 2019.

[34] Così N. Galantini, Considerazioni sul principio di legalità processuale, in Cass. pen., 1999, VI, p. 1989 ss., §1.