ISSN 2039-1676


22 gennaio 2019 |

La costante riforma del codice antimafia: un cantiere aperto

Principi e obiettivi che hanno animato la riforma: gli interventi più significativi, i margini di miglioramento

 

1. Premessa. – Appena un anno fa il Parlamento approvava una riforma organica del codice antimafia che ha interessato circa 50 articoli del decreto legislativo 159/2011, ma il codice si conferma un cantiere aperto, aperto all'infaticabile opera d'interpretazione di dottrina e giurisprudenza, tuttora oggetto di attenzione da parte del legislatore del 2018 che con il decreto 113/2018 ha introdotto ulteriori modifiche.

Sembra, allora, questo il momento per riflettere sullo stato delle cose.

Le criticità, le aporie che fin dal varo della riforma sono state segnalate hanno trovato soluzioni nella fertilissima prassi delle misure di prevenzione patrimoniale, instancabile laboratorio di soluzioni sempre più raffinate? Il legislatore che interviene nuovamente sul codice ha colto questi segnali? In quale direzione si muove un corpo legislativo ancora in divenire?

Credo si possa muovere dagli obiettivi che hanno animato la riforma e da alcuni assunti consolidati.

Possiamo certamente dire che il sistema italiano della prevenzione antimafia è considerato, oramai non più solo in ambito europeo, come la forma di legislazione più avanzata ed efficace per il contrasto alla criminalità organizzata ad alta redditività, non solo di tipo mafioso, ma si tratta di un sistema che pone un problema di “sostenibilità” in periodi di congiunture economiche sfavorevoli in e, in particolare, rispetto a un tessuto economico e imprenditoriale indebolito da deficit strutturali endemici e dalla crisi economica come si registra nel Sud del Paese.

Si tratta di fattori che possono favorire l'infiltrazione della criminalità organizzata nelle aziende e indurre gravi alterazioni nel sistema economico, nelle dinamiche del libero mercato e della concorrenza.

La crisi economica amplifica il bisogno di liquidità delle imprese e le rende più vulnerabili rispetto alla ciambella di salvataggio rappresentata dal denaro di provenienza illecita in cerca di partenogenesi. Viceversa la criminalità organizzata considera la crisi economica una ghiotta opportunità per riciclare denaro, fagocitare aziende e un potente volano di consenso sociale sospinto dalla creazione – spesso illusoria e di breve durata – di posti di lavori o dalla chimera del mantenimento dei livelli occupazionali.

Il legislatore del 2017[1] ha mostrato di avere ben presente la necessità di affinare il sistema della prevenzione antimafia in uno con la necessità di salvaguardare la libertà d'impresa e il mantenimento dei livelli occupazionali. Ed è proprio questa una delle principali finalità che hanno ispirato la riforma del codice antimafia del 2017[2].

Se vogliamo individuare nell’intervento riformatore un filo conduttore possiamo dire che le modifiche del codice antimafia sono informate alla ricerca di una possibile sintesi tra il libero esercizio dell'attività d'impresa ed un’efficace prevenzione dell'infiltrazione mafiosa nell'impresa.

La riforma è stata ispirata dalla consapevolezza che una positiva interazione tra gli obiettivi della prevenzione antimafia e le dinamiche d'impresa dovesse ruotare intorno ad alcuni punti fermi:

– apprestare adeguate garanzie ai diritti delle parti, ai diritti dei terzi;

– prestare massima attenzione al “fattore tempo” nella definizione del procedimento e nell'adozione delle decisioni che riguardano la prosecuzione dell'attività d'impresa;

– affinare gli strumenti di selezione di coloro cui è affidata – in concreto – l'amministrazione giudiziale delle aziende e, sopratutto, garantire continuità nella direzione della gestione e nella gestione medesima.

Prima di tutto questo il legislatore ha preso atto di come il fenomeno dell'infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa si sia, a sua volta, affinato e si declini in una varietà di situazioni che richiedono nuovi e più duttili strumenti di bonifica aziendale in alternativa a quelli ablatori.

I risultati della legge di riforma 161/2017 sono stati frutto della dialettica parlamentare in cui sono confluite anime diverse, e dunque suscettibili di miglior coordinamento ma gli obiettivi della riforma  sono state ritenuti ampiamente condivisibili da tutti gli attori istituzionali.

 

2. Affinare il processo di giurisdizionalizzazione delle misure di prevenzione antimafia e rafforzare le garanzie delle parti. – Il legislatore ha, in primo luogo tenuto conto, dello sbilanciamento del sistema vigente in favore delle esigenze preventive, e dunque del tema delle garanzie processuali ritenuto il più vulnerabile sotto il profilo della costituzionalità.

Le modifiche approvate appena un anno fa esprimono una maggiore cura per i diritti della difesa e si sono tradotte in varie innovazioni , due particolarmente significative.

La prima (art. 41, comma 1-quinquies) ha previsto la partecipazione della difesa del proposto alla camera di consiglio in seguito alla quale il tribunale decide se approvare o meno le proposte dell'amministrazione giudiziaria sulla prosecuzione dell'attività. La difesa del proposto partecipa, ora, all'udienza camerale unitamente all'amministratore giudiziario, al pubblico ministero e all'Agenzia. Il controllo giudiziario sulla gestione – che rimane fino alla destinazione una gestione per conto di chi spetta – è stato ampliato nel rispetto del contraddittorio e consente ora, per tale via, l'acquisizione di informazioni che potranno rivelarsi preziose nell'adozione delle scelte strategiche sulla gestione. Non solo. Il coinvolgimento della difesa del proposto e dell'Agenzia nelle decisioni sulla prosecuzione dell'attività corresponsabilizza nelle scelte decisive per la vita delle aziende i due interlocutori che avranno, alternativamente, la disponibilità del bene alla fine del procedimento, quanto all'Agenzia, fino alla destinazione .

La seconda innovazione introduce la possibilità per l'interessato di impugnare il provvedimento di sequestro innanzi alla Corte di Appello (art. 27, comma 1 e 2) nelle forme e nei termini previsti dall'art. 10 per il decreto di confisca ( dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento). Sul tema il DPR n. 113 del 2018, ora L. 1 dicembre 2018 n. 132, pubblicata in G.U. del 3.12.2018 n. 281, si limita a prevedere che " In caso di conferma del decreto impugnato, la corte di appello pone a carico della parte privata che ha proposto l’impugnazione il pagamento delle spese processuali". Le criticità dell'istituto non si limitavano a tale profilo. Invero, se è condivisibile avere introdotto questa forma di garanzia per la parte, la scelta del rito è stata, fin da subito, ritenuta infelice.

La prima perplessità riguarda il termine per proporre gravame. Dieci giorni possono rivelarsi un termine breve per allestire un ricorso avverso un decreto di confisca emesso a seguito di istruttorie articolate, su compendi documentali spesso imponenti, in cui confluiscono consulenze di parte, perizie, documentazione di ogni tipo magari acquisita nel corso di numerose udienze in contraddittorio tra le parti ma dieci giorni sono certamente un termine brevissimo per esaminare situazioni patrimoniali complesse, prospettate dal proponente all'esito di indagini senza termine di efficacia, ed esaminate dal giudice inaudita altera parte.

Il secondo punto critico riguarda la competenza della corte di appello sul gravame.

Impugnare il provvedimento cautelare dinanzi al giudice di secondo grado – che ha, ora, una sezione specializzata faticosamente assemblata – metterà in crisi la possibilità di garantire collegi specializzati per decidere il merito in appello a causa delle inevitabili incompatibilità funzionali che genererà.

Probabilmente sarebbe stato più funzionale introdurre la facoltà per il proposto di impugnare il rigetto della richiesta di revoca. Tale scelta avrebbe, in primo luogo, riequilibrato[3] i diritti delle parti. Allo stato il pubblico ministero può ricorrere contro il provvedimento del tribunale che accoglie la richiesta di revoca mentre il proposto non dispone di alcun mezzo di gravame avverso il rigetto della richiesta. Allo stesso tempo, la proposizione della richiesta di revoca del sequestro non è vincolata a un termine, la facoltà di impugnare il rigetto del tribunale potrebbe essere esercitata nel termine di dieci giorni ma il dies a quo sarebbe rimesso alle valutazioni difensive quanto alla individuazione del momento in cui una difesa tecnica adeguata può dirsi matura.

L'organo competente a decidere avrebbe potuto essere individuato nel tribunale ex art. 310 codice di procedura penale, collegio comunque già aduso a trattare le misure cautelari reali e al riparo da incompetenze funzionali per la decisione di merito.

 

2.1. Garantire tempi certi al procedimento di prevenzione e incidere sulla durata del procedimento. – Secondo obiettivo della riforma è stato incidere sul fattore “tempo”. La durata di un procedimento di prevenzione patrimoniale non è un fattore neutro, nessuna attività d'impresa può sopravvivere a lungo nel limbo di una gestione per conto di chi spetta, la gestione giudiziale più efficiente, dinamica e accorta non potrà mai avere la libertà decisionale di assumersi il rischio d'impresa di un privato imprenditore. Di qui le modifiche dirette a garantire tempi certi al procedimento di prevenzione e a incidere sulla sua durata.

Si iscrivono in questa direzione della riforma approvata nel 2017:

a) la disciplina dell'incompetenza territoriale e dell'eccezione di incompetenza funzionale dell'autore della proposta, tutte eccezioni da proporre, a pena di inammissibilità, alla prima udienza di trattazione, subito dopo l'accertamento della regolare costituzione delle parti, e da decidere immediatamente con eventuale trasmissione degli atti al procuratore distrettuale territorialmente competente;

b) l’efficacia degli elementi medio tempore acquisiti;

c) il termine di efficacia del sequestro emesso dall'autorità la cui competenza si contesta mutuato dall'art. 27 del codice di procedura penale con estensione della previsione al giudizio di appello[4];

d) l'introduzione di termini identici a quelli previsti per le sentenze per il deposito del decreto che definisce i gradi di merito, con sospensione dei termini per il tempo necessario alla redazione della motivazione, in pendenza di ricusazione, e in caso di necessità di identificazione di eredi, conviventi, prestanome ove si registri il decesso del proposto medio tempore,

e) la riduzione dei termini di efficacia del sequestro: un anno e sei mesi dall'immissione in possesso prorogabile una sola volta di sei mesi per indagini particolarmente complesse;

f) la previsione di sezioni specializzate in sede distrettuale, sia in primo che in secondo grado, per la celebrazione dei giudizi di prevenzione perché chi meglio conosce per l'esperienza consolidata un comparto della giurisdizione così specialistico può decidere più rapidamente.

Nel solco degli interventi diretti a garantire tempi certi e celerità del procedimento di prevenzione e di economia procedimentale probabilmente si iscrive la modifica dell'art. 17 comma 3-bis del codice antimafia per effetto dell'art. 24 del D.L. 113/2018. È stata soppressa la sanzione di inammissibilità della proposta formulata dal Questore o dal capo della DIA in caso di omessa comunicazione (ora) sintetica per iscritto della medesima al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto almeno dieci giorni prima della sua presentazione al tribunale. L'abrogazione della sanzione di inammissibilità rimuove il rischio di disperdere compendi investigativi che potrebbero essere preziosi . La norma ora prevede al comma 3-bis lett. c) che, ove vi sia pregiudizio per le indagini preliminari in corso, il procuratore concorda con l’autorità proponente modalità per la presentazione congiunta della proposta. Il coordinamento sarà assicurata dalla leale collaborazione istituzionale.

 

2.2. Garantire continuità nella gestione, realizzare una più rapida tutela dei terzi creditori. – Si iscrive tra le modifiche funzionali a garantire continuità della gestione e ad agevolarne le scelte avere previsto, con la riforma del 2017, che la gestione del bene in sequestro permanga in capo allo stesso organo e agli stessi ausiliari per tutta la fase di merito[5].

Su tale aspetto, che ha diretta ricaduta sulla efficienza, tempestività delle scelte di gestione, il decreto 113/2018 sembra tentennare. Nell'intervenire sull'art. 38 (Compiti dell'Agenzia) il decreto sicurezza prevede come facoltà discrezionale dell'Agenzia continuare ad avvalersi dell'amministratore giudiziario nominato dal tribunale laddove il testo del 2017 prevede la continuità soggettiva della gestione, fatta salva l'ipotesi che ricorrano le ipotesi di cui all'articolo 35, comma 7, o che sussistano altri giusti motivi.

Invero, la norma introdotta nel 2017 era diretta ad assicurare un oculato utilizzo delle risorse, a preservare il compendio di conoscenze e competenze specifiche acquisite dall'amministratore in carica in relazione a una gestione che potrebbe essere in corso da quattro anni. La possibilità di sostituirlo senza un giustificato motivo con altro professionista o con un funzionario dell'Agenzia che dovrebbero impadronirsi in poco tempo di dinamiche e tematiche sviluppatesi in svariati anni di gestione sembra un costo irrazionale ed evitabile.

Nello senso della necessità di assicurare una più rapida tutela dei terzi creditori si iscrive la previsione di verificare le pretese dei creditori per forniture funzionali e strategiche per l'attività d'impresa in uno con la formulazione del programma di prosecuzione dell'azienda. Il previgente approccio, mutuato acriticamente dalla disciplina del fallimento, rischiava di arrecare danni irreparabili al tessuto civile in cui era insediata l'azienda sequestrata e alle stesse prospettive di prosecuzione dell'attività di quest'ultima, società infiltrata ma non necessariamente decotta. Sono state apportate correzioni alle procedure di accertamento della buona fede dei creditori, tacciate di farraginosità e di indeterminatezza temporale ma le misure più significative riguardano proprio i primi passi dell'azienda sequestrata nei confronti dei creditori strategici. Per quanto concerne i contratti in tutto in parte da eseguire, il giudice delegato può, subito dopo il sequestro, autorizzare l'amministratore a subentrare nella posizione del prevenuto ovvero a risolvere il rapporto (art. 56), così come può autorizzare il pagamento di prestazioni di beni o servizi avvenuti in data anteriore al sequestro stesso qualora "tali prestazioni siano collegate a rapporti commerciali essenziali per la prosecuzione dell'attività" (art. 54 bis).

Più in generale, inoltre, l'amministratore giudiziario deve indicare, in uno con il programma di prosecuzione elaborato nei primi tre o sei mesi ai sensi dell'art. 41, l'elenco dei creditori "essenziali" (comma 1 ter), quelli cioè in assenza dei quali le attività d'impresa stenterebbero a riprendere normalmente.

Con l'approvazione del programma da parte del Tribunale questo elenco sarà il punto di partenza per il pagamento dei relativi debiti. Amministratore giudiziario e tribunale ora "possono formulare un programma di prosecuzione che si proietta nei tempi prevedibili "di due gradi di giudizio e consentire, dopo la doppia conforme in appello e prima della consegna del bene all'Agenzia, la verifica dell'esito del programma di prosecuzione medesimo, la ristrutturazione del debito, l'adempimento del dovuto, mantenendo, ove possibile e necessario, la continuità dei rapporti di fornitura e di finanziamento[6].

Il legislatore ha, poi, opportunamente esteso ai terzi titolari di diritti di garanzia o di credito su beni oggetto di confisca allargata la disciplina prevista per i sequestri e la confisca di prevenzione. Il comma 4-bis dell’articolo 12-sexies estende testualmente alle ipotesi di sequestro e confisca in esame non soltanto le norme “in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati” (in punto di applicazione della norma la giurisprudenza di legittimità era giunta a soluzioni contrastanti[7]), ma anche quelle “in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro”, previste dal decreto 161/2017. Gli articoli 52 e ss. del Codice Antimafia, con i delineati meccanismi di accertamento dei crediti e verifica della buona fede del terzo, opereranno anche riguardo ai beni oggetto di confisca allargata. Si realizza così una disciplina armonica ed omogenea tra misure di prevenzione e istituti penali della gestione giudiziale dell'impresa che contribuirà a consolidare la specializzazione dei magistrati e degli ausiliari del giudice.

 

2.3. Realizzare una rotazione effettiva e trasparente degli incarichi giudiziari, ridefinire, ampliando le competenze degli amministratori giudiziari. – La qualità professionale degli amministratori giudiziari e la concentrazione degli incarichi era problema dibattuto da tempo. L'art. 35 ( Nomina e revoca degli amministratori giudiziari) è stato riformulato quasi interamente dal legislatore del 2017 introducendo regole più stringenti:

– il limite massimo di tre incarichi per gestioni aziendali,

– l'obbligo della motivazione del decreto di nomina in relazione alla tipologia del bene da gestire,

– l'indicazione all'atto della nomina di altri incarichi eventualmente in corso anche in altre sedi giudiziarie,

– una serie di incompatibilità incentrate su pregressi rapporti professionali con il proposto o su rapporti di parentela o amicali con il magistrato che conferisce l'incarico,

– la possibilità – disciplinata – per l'amministratore di avvalersi di un ufficio di coadiuzione previa autorizzazione del giudice delegato.

Si tratta di disposizioni che certamente determineranno migliori risultati gestionali. Il limite dei tre incarichi, invece, reca in sé un rischio da non sottovalutare.

Fin dall'approvazione della legge 161/2017 è stato segnalato come la scelta di agganciare il limite degli incarichi al dato numerico, e non a quello qualitativo e di valore dei compendi già amministrati, non sembrava centrare l'obiettivo, e come tale assetto potrebbe finire per impedire il crescere di un "saper fare" specialistico e altamente professionalizzato nell'ambito della amministrazione giudiziaria, disperdere un prezioso bagaglio di competenze fin qui accumulato. Probabilmente al riguardo stenta a farsi strada la consapevolezza diffusa che il ruolo dell'amministratore giudiziario è del tutto peculiare, assembla differenti competenze, richiede una preparazione e un'organizzazione professionale non estemporanea o saltuaria, integra, da tempo, un profilo professionale autonomo.

Il decreto sicurezza avrebbe potuto essere l'occasione per recuperare il criterio qualitativo e di valore come limite al conferimento di incarichi al medesimo professionista.

Sul tema, invece, si registra solo l'intervento diretto a escludere dal novero dei tre incarichi quelli assunti nelle vesti di coadiutore senza considerare che tale norma elude il problema sostanziale. L'obiettivo avrebbe dovuto essere trovare una sintesi tra la necessità di poter contare su professionisti di solida esperienza, l'esigenza di evitare la concentrazione degli incarichi e quella di consentire , con l'affiancamento ai colleghi più esperti, la crescita e il consolidamento di una categoria professionale che assicuri una effettiva rotazione delle nomine di pari qualità.

Sembra, invece, rinvenirsi, anche tra le pieghe anche del più recente intervento legislativo, una nostalgia, mai sopita, verso la gestione pubblica.

Il legislatore del 2018 , infatti, non ha toccato le norme che conferiscono al tribunale la facoltà di avvalersi in qualità di amministratori dei dipendenti di Invitalia, a condizione che abbiamo i requisiti per l'iscrizione nell'albo speciale quando "il sequestro e la confisca riguardano aziende di straordinario interesse socio-economico, tenuto conto della consistenza patrimoniale e del numero degli occupati" (art. 41-bis, comma 14), e la possibilità che l'amministratore giudiziario possa essere nominato tra il personale dipendente dell'Agenzia senza emolumenti aggiuntivi.

Fin da subito è stato segnalato come la novella, eterologa rispetto alla genesi dell'asse portante della riforma, ossia l'A.C. 2737 Bindi, sconta il limite di avere immaginato un sistema a due velocità, tra imprese di serie A e imprese di serie B . La scelta di una gestione affidata tout court a funzionari pubblici avrebbe potuto essere una scelta strutturale per il problema della gestione delle aziende sequestrate, una direzione che avrebbe dovuto essere intrapresa con decisione, immaginando una profonda rivisitazione del sistema ma è una scelta che il legislatore non ha fatto, forse per gli esiti “problematici” della gestione affidata all'Agenzia nazionale , forse per mancanza di risorse.

Nello stesso senso si iscrive la previsione di cui all'art. 13 comma 2-ter della legge 161/2017 (nomina di funzionari dell'agenzia come amministratori giudiziari) che appariva e appare difficilmente compatibile con la struttura di un ente con due sole sedi secondo la legislazione previgente e che permane incompatibile anche rispetto a un ente con massimo quattro sedi secondarie - secondo la previsione dell'art. 112 comma 4 lett. c-bis come modificato dal decreto 113/2018 ora legge n. 132/2018.

La scelta appare difficilmente compatibile, rispetto a una funzione che richiede, per evidenti ragioni logistiche, la prossimità territoriale di chi amministra rispetto ai beni da amministrare, l'immediata reperibilità e disponibilità dell'amministratore per fare fronte alle molteplici esigenze ed emergenze di un'attività d'impresa, la tempestività dell'interlocuzione fra amministratore giudiziario e chi dirige la gestione giudiziale e che, invece, dovrà fare i conti con la insufficienza dell'organico dell'Agenzia a provvedere ai soli compiti, pur ridefiniti, dalla legge 161/2017.

 

3. Adottare strumenti di bonifica aziendale in alternativa a quelli ablatori. – Sul versante sostanziale degli strumenti di intervento contro le infiltrazioni criminali nelle attività imprenditoriali la legge 161/2017 ha introdotto rilevanti novità.

Anzitutto una riscrittura dell'art. 34 vigente con l'effetto di ridare "slancio e profondità"[8] al vecchio istituto della "Sospensione temporanea dall'esercizio di attività imprenditoriali" introdotto nel 1992 e poi ribattezzato nel 2011 "Amministrazione giudiziaria" il cui presupposto è la ricorrenza di "sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche a) sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione e assoggettamento previste dall'art. 416 bis c.p. o b) possa agevolare l'attività di persone indiziate di reati riconducibili alla criminalità organizzata". Ma soprattutto l'introduzione del nuovo istituto del "controllo giudiziario" di cui all'art. 34-bis del novellato codice antimafia.

 

3.1. Il controllo giudiziario art. 34-bis del codice antimafia. – Il controllo giudiziario nasce all'esito di uno studio condotto dal DEMS dell'Università di Palermo cui va ricondotta la paternità dell'istituto, condiviso e accolto nel disegno di legge di riforma della Commissione parlamentare antimafia[9].

Dai casi analizzati nell'ambito della ricerca del DEMS è emerso che ci sono forme di infiltrazione e condizionamento mafiosi di attività imprenditoriali o di condotte imprenditoriali che agevolano soggetti destinatari di proposte di prevenzione o sottoposte a procedimento penale per reati di criminalità organizzata "occasionali", che non pregiudicano la sostanziale integrità dell'azienda, o che riguardino solo un ramo circoscritto dell'azienda[10] e pertanto non giustificano una misura così invasiva come lo spossessamento gestorio. Lo studio dell'Università di Palermo ha evidenziato come rimanessero fuori dalla disciplina previgente quelle variegate forme di infiltrazione mafiosa nel sistema delle imprese che non hanno raggiunto consistenza tale da giustificare il sequestro finalizzato alla confisca ma che nondimeno possono condizionare l'operato di imprenditori anche importanti e/o avvantaggiare oggettivamente interessi mafiosi. Per questi casi si è pensato a un intervento giudiziario di bonifica del contesto aziendale che non necessariamente determina il "congelamento" dell'intera "governance" imprenditoriale. Di qui la genesi del controllo giudiziario.

Il controllo giudiziario è disposto dal tribunale nei casi in cui "l’agevolazione prevista dal comma 1 dell'articolo 34 risulta occasionale (…) se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività".

Si tratta di una misura innovativa, che non determina lo «spossessamento gestorio» bensì configura una forma meno invasiva di intervento: una «vigilanza prescrittiva», condotta da un commissario giudiziario nominato dal tribunale, al quale viene affidato il compito di monitorare «dall'interno dell'azienda» l'adempimento di una serie di obblighi di compliance imposti dall'autorità giudiziaria finalizzati a prevenire ulteriori devianze e a recuperare al tessuto sano dell'azienda la parte infiltrata o compromessa.

Il Tribunale può limitarsi a imporre all'azienda oneri comunicativi nei confronti dell'autorità giudiziaria e di polizia oppure nominare una sorta di tutor ("amministratore giudiziario") che, guidato dal giudice delegato, attua una "vigilanza prescrittiva" entro un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre, al fine di munire l'attività imprenditoriale dei presidi occorrenti per tenerla indenne dal condizionamento mafioso .

Ci si muove tra l'obbligo di comunicazione al questore o al nucleo di polizia tributaria di tutta una serie di atti che riguardano la "vita" dell'azienda, alla nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario, alla previsione di obblighi dell'amministratore giudiziario finalizzati al controllo tra cui l'adozione e l'attuazione di misure organizzative anche ai sensi degli art. 6, 7, 24-ter DL 231/2001, all'autorizzazione alla polizia giudiziaria ad accedere all'impresa, alle banche e ovunque si possano raccogliere informazioni e documenti utili a verificare l'adempimento degli obblighi.

Si tratta di casi in cui lo Stato potrebbe svolgere una funzione preventiva, assicurando la continuità dell'impresa e al contempo aiutando l'imprenditore a recidere i legami, anche occasionali, con il contesto criminale.

Il controllo giudiziario è destinato a trovare applicazione in luogo dell'amministrazione giudiziaria come del sequestro ai sensi dell'articolo 20 cod. ant., e della confisca ai sensi dell'articolo 24 cod. ant. nei casi in cui l'agevolazione «risulti occasionale (...) e sussistano circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare» l'attività d'impresa ed è il terzo possibile esito dell'amministrazione giudiziaria di cui all'art. 34, alternativo alla confisca o alla revoca.

Su questo tema la commissione parlamentare antimafia, che ha accolto l'istituto nel suo disegno di legge[11], ha formulato proposte nella medesima direzione anche con riguardo all'infiltrazione della criminalità mafiosa negli enti pubblici territoriali. Anche nel caso degli enti locali infiltrati dalla criminalità organizzata ci si è rappresentati la possibilità di situazioni in cui necessiti una vigilanza prescrittiva, un affiancamento degli organi amministrativi con l'obiettivo di recuperare alla legalità quanto di buono c'è[12].

Con questa proposta non si vuole certo evitare l’ipotesi di scioglimento nei casi in cui si accertino situazioni di condizionamento, così come già previste dalla legislazione vigente, bensì intervenire in quelle situazioni grigie ove oggi non vi è altra alternativa al non scioglimento.

Per le imprese il controllo giudiziario può fungere da adeguato strumento per consentire la prosecuzione dell'attività nei casi in cui le aziende vengano raggiunte da interdittiva prefettizia, garantendo così nel contempo il prevalente interesse alla realizzazione di opere di rilevanza pubblica (cfr. commi 6 e 7 dell'articolo 34-bis).

Il controllo giudiziario, infatti, può essere richiesto anche dall’imprenditore destinatario di interdittiva antimafia, impugnata dinanzi al Tar, che intenda cooperare con lo Stato per liberarsi dalle infiltrazioni mafiose. Se l'autorità giudiziaria accoglie l'istanza, si sospendono gli effetti del provvedimento prefettizio (art. 34-bis, comma 6 e 7).

Proprio la fattispecie di cui al comma 6 dell'art. 34-bis ha suscitato i maggiori dubbi interpretativi. Ci si è chiesti se non sussista una sorta di rischioso automatismo fra la richiesta della parte e il provvedimento del tribunale. Sono state formulate riserve sul fatto che l'applicazione del nuovo istituto a istanza di parte sia condizionato alla preventiva impugnazione dell'interdittiva antimafia prefettizia, e dunque sulla mancanza di senso politico-criminale di una disposizione che frustra ogni effetto deflattivo sulla giurisdizione amministrativa che invece potrebbe scaturire dall'escludere questo ulteriore requisito; sull'indeterminatezza dei filtri per l'adozione del provvedimento pur introdotti dal legislatore lungo il percorso di approvazione dell'istituto.

Invero leggendo l'istituto nell'intero contesto della riforma e ripercorrendo i lavori preparatori si dissipano molte incertezze. Il legislatore ha previsto che la decisione sulla richiesta della parte di applicazione del controllo giudiziario è adottata dal tribunale all'esito di un'udienza camerale in cui sono sentiti il P.M. e le parti interessate. La previsione di una fase istruttoria propedeutica alla decisione appare incompatibile con qualsivoglia automatismo decisorio e dice che il legislatore ha inteso lasciare al tribunale un fisiologico margine di discrezionalità se pur ancorato a precisi parametri. Allo stesso modo, nel prevedere quale requisito di ammissibilità dell'istanza la preventiva impugnazione dell'interdittiva antimafia dinanzi al TAR il legislatore ha chiaramente indicato come la procedura di richiesta del controllo giudiziario non è un modo per eludere la misura interdittiva, una scorciatoia per aggirare il controllo del TAR sulla misura prefettizia.

Oggetto dell'esame del tribunale non sono i presupposti di legittimità amministrativa del provvedimento prefettizio. Non c'è, né vi poteva essere, una impropria invasione di campo. La legge, oltre ai requisiti di ammissibilità, fissa precisi requisiti di merito per l'accoglimento della richiesta: – la richiesta deve provenire da un'impresa per cui ricorra l'ipotesi di cui al comma1 dell'art. 34-bis Dl 159/2011 e, dunque si ravvisi che "l’agevolazione prevista dal comma 1 dell'articolo 34 risulta occasionale (…) se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività"; – del controllo giudiziario "ricorrano i presupposti".

Entro questo rigoroso perimetro, il requisito di ammissibilità del previo ricorso al Tar avverso l'interdittiva, oltre a recidere finalità elusive del provvedimento prefettizio, contribuisce a formare il compendio probatorio sulla base del quale valutare l'effettiva "occasionalità" dell'agevolazione di cui al comma 1 dell'art. 34 bis o la sussistenza delle circostanze di fatto da cui possa desumersi il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attività. Fondamentale rilievo assume la definizione dei limiti dell'"occasionalità". Precipua attenzione dovrà esser prestata, ad esempio nel caso di un'azienda con elevato numero di dipendenti parte dei quali si considerino legati e addirittura diretta espressione di potentati mafiosi locali, alla incidenza numerica della parte sul tutto, alla peculiarità dei ruoli in concreto ricoperti, alla caratura criminale dei singoli dipendenti segnalati, alla capacità dei medesimi di incidere sulla gestione dell'azienda e di intrattenere rapporti con la "governance" della medesima, al fattore temporale e alla retrodatazione delle presenze in azienda[13].

Quanto al concreto contenuto dei "presupposti" del controllo giudiziario alla cui sussistenza è ancorata la decisione del tribunale, occorre focalizzare le finalità dell'istituto che “consiste nel promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale delle imprese"; ricordare come "l'istituto del controllo giudiziario possa fungere da adeguato strumento per consentire la prosecuzione dell'attività di impresa nei casi in cui le aziende vengano raggiunte da interdittiva prefettizia, garantendo così nel contempo il prevalente interesse alla realizzazione di opere di rilevanza pubblica ( cfr. commi 6 e 7 dell'art. 34 bis)", richiamare la necessità di “parametri cui ancorare la discrezionalità per rendere uniformi le decisioni, o prevedere legislativamente specifiche cause di inammissibilità che tengano conto della fase di esecuzione dell’opera dei profili occupazionali, soprattutto delle condizioni soggettive che anno determinato l’informazione interdittiva[14]. Presupposto indefettibile per accogliere la richiesta dell'imprenditore è che l'agevolazione «risulti occasionale (...) e sussistano circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare» quindi che si possa recuperare alla legalità un'impresa non compromessa e che sussista un interesse pubblico alla realizzazione o al completamento di un'opera di rilevanza pubblica e alla salvaguardia di posti di lavoro.

Le prime applicazioni dell'istituto pongono l'accento sulla "posizione di terzietà"[15], intesa come "assenza di immedesimazione dell'impresa con soggetti o gruppi mafiosi e sia nel senso di mancato conseguimento di vantaggi o utilità" rispetto alla consorteria mafiosa dalla quale proviene "il pericolo di infiltrazione, condizionamento o contaminazione".

Deve sussistere un interesse di rilevanza pubblica che abbia forza prevalente rispetto all'interesse pubblico che si intende tutelare con la misura interdittiva[16] . La necessità di bilanciare interessi pubblici, tutti di particolare rilevanza, spiega perché nell'ipotesi di cui al comma 6 il controllo giudiziario è disposto nelle più rigorose forme di cui alla lettera b) del comma 2 dell'art. 34-bis[17].

Sulla definizione dei profili dell'istituto di cui al comma 6 dell'art. 34-bis è intervenuta la Corte di legittimità escludendo qualsiasi automatismo: il tribunale, per disporre il controllo giudiziario su richiesta dell'imprenditore raggiunto da interdittiva antimafia deve verificare la sussistenza dei "presupposti" che non si limitano a quelli processuali (interdittiva prefettizia impugnata dinanzi al giudice amministrativo). L'impresa non ha, al riguardo, un diritto potestativo. L'accoglimento dell'istanza di parte è rigorosamente subordinata alla verifica sostanziale sulla natura "occasionale" del contagio mafioso.

 

4. Pensati come istituti flessibili, il controllo giudiziario e l'amministrazione giudiziaria realizzano il progressivo affinamento dello "strumentario" legislativo della prevenzione patrimoniale, consentono di graduare il contrasto alle infiltrazioni mafiose nell'economia lecita, offrono concreta applicazione del principio di proporzione, adeguatezza e minor invasività delle misure cautelari, principio consolidato in tema di misure cautelari personali penali, ora riconosciuto anche in materia di prevenzione patrimoniale, in funzione di salvaguardia del libero esercizio dell'impresa.

 

 


[1] Il sistema della prevenzione antimafia relativo al fenomeno dell'infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa si muove su due versanti: uno amministrativa (informativa antimafia ex art. 91 Codice antimafia e straordinaria e temporanea gestione ex art. 32 D.L. 90/2014) e uno giudiziale (sequestro e la confisca di prevenzione ex artt. 20 e 24 Codice antimafia, amministrazione giudiziaria ex art. 34 Codice antimafia, e ora, il controllo giudiziario ex art. 34 bis Codice antimafia).

[2] Legge n. 161 del 17 novembre 2017 il cui asse portante è stato il disegno di legge della Commissione parlamentare antimafia A.C. 2737, Bindi.

[3] Tale asimmetria tra accusa e difesa potrebbe costituire oggetto di censura di costituzionalità.

[4] Art. 7, comma 10 bis, ter, quater della legge 161/2017.

[5] L'A.C. 2737 Bindi prevedeva che competente per la gestione fosse, fino alla confisca definitiva, il tribunale per le misure di prevenzione e che l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati assumesse la gestione del bene per la sola fase della destinazione.

[6] "Relazione sulle prospettive di riforma del sistema di gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata", XVII legislatura, Commissione parlamentare antimafia, Doc. XXIII n. 1.

[7] Cass. sez. I n. 5119/2014, Cass. sez. II n. 1041/2014; Cass. sez. I n. 29031/2014; Cass. sez. I n. 9139/2013; Cass. sez. I n. 45612/2012

[8] cfr. "Approvate in prima lettura dalla Camera importanti modifiche al procedimento di prevenzione patrimoniale" , Costantino Visconti in Diritto Penale Contemporaneo, 23 novembre 2015.

[9] A.C. 2737 Bindi.

[10] È interessante l'applicazione di una "amministrazione giudiziaria di affiancamento" adottata ante litteram dalla sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Milano con il provvedimento del 28.9.2016 ( e dunque successivo alla prima approvazione della Camera della legge di riforma) nell'ambito del procedimento a carico di Fiera Milano spa e, in particolare, della controllata Nolostand spa" Per quanto riguarda il procedimento di prevenzione, il tribunale, in esito ad un giudizio di bilanciamento tra le esigenze di bonifica delle società sottoposte all'amministrazione giudiziaria e quelle di continuità dell'operatività aziendale, ha adottato un modulo che prevede non il totale impossessamento dell'azienda da parte dell'Amministratore nominato dal Collegio, ma un affiancamento degli organi della procedura a quelli societari, nel settore specifico degli allestimenti (dove si è accertata l'invasione malavitosa)". Il tribunale, ritenuto che la misura non dovesse "assumere un carattere sanzionatorio o repressivo in contrasto con la finalità tipica di prevenzione e di (ri) costruzione di una imprenditorialità sana" ha adottato la formula dell’affiancamento all’organo di gestione di Fiera Milano spa dell’amministratore giudiziario nominato dal tribunale che ha esercitato un controllo pubblico fino alla risoluzione delle criticità rilevate.

[11] A.C. 2737, Bindi.

[12] Doc. XXIII n. XVI "Relazione sulla situazione dei comuni sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso o sottoposti ad accesso ai sensi dell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di San Sostene (Cz), Joppolo (VV), Badolato (Cz), Sant'Oreste(Rm), Platì (RC), Rivadi (VV), Diano Marina (Im), Villa di Briano (Ce), Morlupo (Rm), Scalea (Cs), Finale Emilia (Mo), Battipaglia (Sa), e Roma capitale in vista delle elezioni del 5 giugno 2016": "In questa fase viene precisata e sviluppata l’ipotesi della terza via, come un intervento autonomo da applicare nei casi in cui non sia stato possibile riscontrare il condizionamento mafioso ma siano comunque emerse situazioni opache o di criticità che l’amministrazione non è in grado, per debolezza strutturale, di affrontare da sola. Una forma di affiancamento che non priva i cittadini della guida politica, non azzera l’autonomia e le responsabilità di chi è stato eletto ma le accompagna in un percorso di ripristino della legalità che investa in modo particolare la burocrazia che proprio a Roma si è dimostrata tanto fragile e permeabile alla corruzione. Con questa proposta non si vuole certo evitare l’ipotesi di scioglimento nei casi in cui si accertino situazioni di condizionamento, così come già previste dalla legislazione vigente, bensì intervenire in quelle situazioni grigie ove oggi non vi è altra alternativa al non scioglimento".

[13] Interessanti spunti di riflessione si traggono dall'ordinanza del Tribunale di Bari n. 1/18 A.C. del 29 novembre 2018 c /Ariete Soc. Coop.

[14] Relazione conclusiva della Commissione Fiandaca.

[15] Tribunale di Catanzaro, decreto n. 42/2018 Reg. C.V./Int. del 4 dicembre 2018.

[16] "Solo ove tale interesse sia esistente e concreto l'ordinamento potrà garantire una "deroga" all' impresa colpita da interdittiva permettendo alla stessa di operare e rimanere sul mercato nonostante l'esistenza di un provvedimento della Prefettura e in pendenza della decisione del T.A.R." Tribunale di Reggio Calabria, sezione per le misure di prevenzione, decreto 13372017 del 17.1.2018 e decreto n. 135/2017 del 31.1.2018.

[17] Il tribunale deve: “nominare un giudice delegato e un amministratore giudiziario, il quale riferisce periodicamente, almeno bimestralmente, gli esiti dell’attività di controllo al giudice delegato e al pubblico ministero. 3. Con il provvedimento di cui alla lettera b) del comma 2, il tribunale stabilisce i compiti dell’amministratore giudiziario finalizzati alle attività di controllo e può imporre l’obbligo: a) di non cambiare la sede, la denominazione e la ragione sociale, l’oggetto sociale e la composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza e di non compiere fusioni o altre trasformazioni, senza l’autorizzazione da parte del giudice delegato; b) di adempiere ai doveri informativi di cui alla lettera a) del comma 2 nei confronti dell’amministratore giudiziario; c) di informare preventivamente l’amministratore giudiziario circa eventuali forme di finanziamento della società da parte dei soci o di terzi; d) di adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni; e) di assumere qualsiasi altra iniziativa finalizzata a prevenire specificamente il rischio di tentativi di infiltrazione o condizionamento mafiosi” cfr. art. 34-bis comma 2 lett. b) e comma 3.