25 luglio 2011 |
Corte cost., 21 luglio 2011, n. 224, Pres. Quaranta, Rel. Frigo (sulla legittimità della fattispecie di omesso versamento dell'i.v.a. per l'anno 2005)
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l'ordinanza del 22 settembre 2010
1. La Corte Costituzionale ha rigettato la questione di illegittimità, sollevata con ordinanza del 22 settembre 2010 dal Tribunale di Torino, dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Tale fattispecie - che punisce il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.), dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine di versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo – era stata censurata per la supposta violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto avrebbe punito allo stesso modo due condotte considerate differenti: infatti, posto che il momento consumativo del reato è fissato (dall’art. 6, comma 2, l. n. 405 del 1990) al27 dicembre di ogni anno e che la norma incriminatrice è entrata in vigore nel luglio del 2006, sarebbe stato irragionevolmente punito allo stesso modo “tanto chi avesse omesso il versamento dell’i.v.a. per l’anno 2005 - avendo a disposizione solo il tempo residuo rispetto a tale termine (circa cinque mesi e mezzo) - quanto chi omettesse il versamento dell’imposta per gli anni successivi - fruendo dell’ordinario termine annuale”.
2. In primo luogo, la Consulta dichiara l’ammissibilità della questione, che invece era stata eccepita – facendo leva sulla supposta oscurità del petitum – dall’Avvocatura generale dello Stato: la Corte precisa che “dal tenore del dispositivo e della motivazione dell’ordinanza di rimessione emerge, infatti, in modo sufficientemente chiaro che il giudice a quo chiede a questa Corte una pronuncia che escluda l’applicabilità della norma incriminatrice censurata all’omesso versamento dell’IVA relativa all’anno 2005”. In sostanza, il petitum si sostanziava nella richiesta di una decisione interpretativa che, escludendo l’applicazione della fattispecie in relazione alle condotte omissive del 2006 (relative all’i.v.a. del 2005), ponesse rimedio alla lamentata disparità di trattamento.
3. Il rigetto della questione avviene, nel merito, con la netta formula della “manifesta infondatezza”. La Corte richiama la propria costante giurisprudenza per ribadire che “non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche” (sono richiamate, ex plurimis, sentenza n. 94 del 2009, ordinanze n. 61 del 2010, n. 170 del 2009 e n. 212 del 2008; nonché, con particolare riguardo alla disciplina dei termini, sentenze n. 342 del 2006, n. 489 del 1989 e n. 367 del 1987).
4. Il conciso quanto stentoreo riferimento al “fluire del tempo” come criterio ragionevolmente discretivo di situazioni giuridiche differenti, sembra non rendere sufficientemente giustizia alla reale problematicità della questione, che proprio su questa Rivista era stata ben tematizzata. In realtà, il prosieguo della decisione stempera notevolmente la lapidarietà di tale argomento, perché la Corte dimostra di calibrare la reale ragionevolezza del criterio del fluire del tempo in relazione alla fattispecie concreta: “d’altro canto, il termine di oltre cinque mesi e mezzo (dal 4 luglio 2006 al 27 dicembre 2006), riconosciuto al soggetto in questione (in luogo dei quasi dodici mesi “ordinari”), non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento”. (per analoga considerazione, con riguardo ad altra fattispecie, sentenza n. 342 del 2006). I Giudici delle leggi, pertanto, compiono una concreta valutazione, in termini di intrinseca ragionevolezza, della possibilità di adempiere al precetto penale, facendo logicamente supporre – a contrario – che la presenza di un lasso di tempo eccessivamente breve (per procedere al versamento dell’imposta dovuta) avrebbe potuto teoricamente giustificare una decisione diversa.
5. La Corte dimostra vieppiù consapevolezza e sensibilità rispetto alla possibile differenza di situazioni, prospettata come discriminatoria, oggetto del fattispecie punitiva. Lo strumento per porvi rimedio è tuttavia condivisibilmente individuato nel potere giudiziario di graduazione della sanzione in concreto: la previsione normativa di una “forbice edittale” di pena sarebbe proprio funzionale – ricorda e sottolinea in sostanza la Consulta – a tarare la risposta punitiva sulla base delle peculiarità di struttura e di disvalore che caratterizzano le diverse sottofattispecie astrattamente ricomprese nella fattispecie incriminatrice.
In questa prospettiva, la peculiarità dei fatti di omesso versamento i.v.a. consumati nel 2006 (che li distingue rispetto a quelli consumati negli anni successivi) “potrà essere, dunque, eventualmente apprezzata e valorizzata dal giudice in sede di determinazione della pena nell’ambito della forbice edittale, sufficientemente ampia a tal fine (da sei mesi a due anni di reclusione)”.