ISSN 2039-1676


13 ottobre 2011 |

Sulla utilizzabilità  di intercettazioni disposte per un determinato reato riguardo a fatti connessi o collegati per i quali le operazioni di ascolto non sarebbero ammissibili in via autonoma

Cass. pen., sez. VI, 14.6.2011 (dep. 26.9.2011), n. 34735, Pres. De Roberto, Rel. Citterio, Ric. Anzillotti e altri

1. Ben può accadere che, nel corso di attività investigative e grazie ad attività di intercettazione telefonica, emergano fattispecie di reato, nuove, ulteriori e diverse rispetto a quelle indicate nel decreto autorizzativo, nel rispetto delle prescrizioni normative.
In sostanza, la questione consiste nel verificare se il contenuto di intercettazioni telefoniche - regolarmente autorizzate ed eseguite, ai sensi degli artt. 266 e ss. c.p.p., in un determinato procedimento penale - possa essere utilizzato a fini probatori anche con riferimento ad ulteriori fatti ed ipotesi di reato, eventualmente emersi nell'ambito della stessa attività di intercettazione ma non riconducibili al catalogo previsto dall'art. 266 c.p.p. e quindi non idonei presupposti di un autonomo provvedimento autorizzativo.
Il quesito è stato posto, non a caso, quale eccezione processuale nell'ambito di un processo per forniture di materiale e strumentazione sanitaria in varie aziende ed ospedali della Lombardia in cui, all'originaria ipotesi d'indagine per corruzione si era aggiunta, proprio in ragione di quanto emerso dalle conversazioni intercettate, anche la turbativa d'asta.   
Tale eccezione era stata poi respinta sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello ed allora riproposta davanti alla Corte di cassazione.
 
2. Sul tema sono rinvenibili due orientamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità, che divergono circa l'interpretazione dell'enunciato normativo «L'intercettazione [...] è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati», contenuta al comma 1° dell'art. 266 c.p.p., a seconda che ad esso si attribuisca un significato "storico" (ipotesi di reato apprezzata nel momento in cui si dispone l'intercettazione) ovvero "ontologico" (ipotesi di reato su cui verte l'accertamento giudiziale).
Per alcune decisioni, infatti, è consentito al giudice valutare i risultati di intercettazioni telefoniche o ambientali, ritualmente autorizzate per lo stesso fatto - sia pure inquadrato in una diversa ipotesi di reato - purchè, in seguito alla mutata qualificazione giuridica, esso risulti punibile con una delle pene indicate nell'art. 266 co. 1° c.p.p. (Cass., sez. VI, 22.3.1994, n. 9247, dep. 26.8.1994, imp. Dell'Erba). Sul contiguo terreno dei fatti strettamente connessi al reato posto ad oggetto del provvedimento autorizzativo, e nella stessa logica, si è affermato che le intercettazioni sono utilizzabili purché ricorrano «le condizioni generali» cui la legge subordina la relativa legittimità, e che dunque occorre verificare se, per i fatti connessi, il controllo avrebbe potuto essere autonomamente disposto a norma dell'art. 266 cod. proc. pen. (Cass., sez. VI, 15.1.2004, n. 4942, dep. 6.2.2004, imp. Kolakowska).
Secondo un altro orientamento, invece, una volta che le intercettazioni telefoniche o ambientali sono legittimamente entrate a far parte del processo, sia nell'ipotesi in cui siano utilizzate per l'accertamento di un reato connesso, sia nell'ipotesi in cui il reato per il quale erano state disposte successivamente sia diversamente qualificato, non possono essere dichiarate inutilizzabili con riferimento alla fattispecie per la quale non sarebbero state consentite (Cass., sez. III, 22.9.2010, n. 39761, dep. 11.11.2010, imp. S.S.; Cass., sez. III, 28.9.1995, n. 794, dep. 27.1.1996, imp. Russo). 
 
3. La sesta sezione della Corte di cassazione, nell’aderire al secondo dei due orientamenti, conclude che «se l'intercettazione è già ritualmente autorizzata nell'ambito di un procedimento, i suoi esiti possono essere utilizzati anche per i reati diversi ma soggettivamente ed oggettivamente connessi o collegati, che siano emersi dalla medesima attività di intercettazione, anche quando il loro titolo o il loro trattamento sanzionatorio non avrebbero consentito un autonomo provvedimento autorizzativo» L'utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni anche per reati diversi ed ulteriori rispetto a quello per cui erano state originariamente disposte è fatta discendere da tre presupposti: la regolarità dell'autorizzazione di partenza disposta per uno dei delitti contemplati dall'art. 266 c.p.p.; l'utilizzo delle trascrizioni nell'ambito dello stesso procedimento e il collegamento o la connessione dei reati imputabili alla stessa persona sottoposta ad indagini.
In altre parole, se l'intercettazione è stata - in origine - legittimamente autorizzata, all'interno di un determinato procedimento, con riferimento ad uno dei reati previsti dall'art. 266 c.p.p., i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati connessi o collegati contestati nel medesimo procedimento.
 
4. Secondo la Corte di cassazione, tale conclusione risulterebbe coerente con le indicazioni ricavabili da una interpretazione corretta - dal punto di vista sistematico - delle norme processuali che regolano l'ammissibilità di tale mezzo di ricerca della prova e l'utilizzabilità dei suoi risultati.
Sul primo versante, infatti, l'art. 266 c.p.p., non disciplinando espressamente l'ipotesi del concorso di reati nel medesimo procedimento, non potrebbe essere inteso nel senso di voler escludere l'ammissibilità delle intercettazioni per i reati diversi da quelli espressamente indicati se, con questi ultimi, connessi o collegati. Pertanto, sempre secondo la Corte, la locuzione «[l'intercettazione è]consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati» deve essere interpretata nel senso della sufficiente presenza - all'interno del procedimento - di almeno uno dei reati di cui all'articolo 266 c.p.p.. Ragionando diversamente si arriverebbe, infatti, alla paradossale conclusione che l'art. 266 c.p.p. disciplini solo i casi in cui il singolo procedimento tratti uno solo, o più, dei reati che espressamente indica.
Sul versante dell'utilizzabilità, l'art. 270 c.p.p., laddove individua i parametri per legittimare l'utilizzo dei risultati delle intercettazioni in «altri procedimenti», non richiama l'elencazione tassativa dell'art. 266 c.p.p., ma indica una nuova e diversa combinazione di presupposti - quale l'indispensabilità per l'accertamento e che si proceda per delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza -, certamente non sovrapponibile, né coincidente con la clausola "generale" di cui all'art. 266 co. 1° lett. a) c.p.p.  

Una ricostruzione, questa, che, sempre secondo la Corte, non si porrebbe in contrasto neppure con il contenuto normativo dell'art. 271 c.p.p.: quest'ultima disposizione, infatti, pone il meccanismo sanzionatorio dell'inutilizzabilità a presidio - esclusivamente - dei vizi relativi al momento genetico dell'attività di intercettazione ovvero alle ipotesi in cui le intercettazioni siano state eseguite fuori dai casi consentiti dalla legge o senza l'osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 267 e 268 co.  1° e 3° c.p.p.