ISSN 2039-1676


11 maggio 2014 |

Le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ma non verbalizzate rientrano a pieno diritto nell'ipotesi di inutilizzabilità  prevista dall'art. 191 c.p.p.

Cass., sez. III pen., 4 dicembre 2013 (dep. 11 febbraio 2014), n. 6386, Pres. Fiale, Rel. Di Nicola.

 

1. La Corte di Cassazione, nella decisione in oggetto, torna a riaffermare la propria consolidata posizione garantista circa l'interpretazione dell'art. 191 c.p.p., corroborando il recente orientamento in materia di regime di utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese ma non verbalizzate dalla polizia giudiziaria.

Si trattava, nel caso di specie, di stabilire se le dichiarazioni definite "spontanee" (non verbalizzate, ma successivamente trasfuse in un atto di polizia giudiziaria), rese dal coimputato, connesso per uno solo dei due reati oggetto del procedimento, fossero utilizzabili (a fini cautelari) nei confronti dell'altro coimputato, rispetto all'ipotesi nella quale il coimputato dichiarante figurava essere mera persona offesa.

Il problema, come noto, è già stato in parte risolto dalla giurisprudenza di legittimità nel senso dell'inutilizzabilità assoluta ex art. 63, co. 2, c.p.p., ma solo con riguardo alle dichiarazioni rese nei confronti di "persone coinvolte dal dichiarante in reati diversi, non connessi o non collegati con quello o quelli in ordine ai quali esistevano indizi a carico del dichiarante stesso, poiché in tal caso costui assume la veste di testimone" (così Cass., sez. un., 09 ottobre 1996, n. 1282, Carpanelli, Cass., sez. II, 21 ottobre 2009, n. 45566, Buonanata, Cass., sez., II, 26 febbraio 2010, n. 10765, Gentile).

2. Il tratto saliente della pronuncia in oggetto è, tuttavia, il seguente: si doveva stabilire la conseguenza (o meno) della mancata verbalizzazione di tali dichiarazioni, solo asserite come spontanee - ma unicamente trasfuse in successivi atti di polizia giudiziaria - e, quindi, carenti della relativa forma di acquisizione.

3. La lettura del combinato disposto degli artt. 191 c.p.p. e 350, co. 7, c.p.p. fornita dalla presente pronuncia, pur dando atto sul punto dell'oscillazione, anche recente, della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. II, 18 ottobre 2012, n. 150, Andreicik), propende, sinteticamente, per una soluzione garantista rispetto al regime delle inutilizzabilità c.d. "innominate". Infatti, a parere del Collegio, il sistema processuale accusatorio e i conseguenti principi alla base delle prove penali non potranno mai ammettere a dibattimento dichiarazioni accusatorie acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Nella sola fase delle indagini preliminari tali dichiarazioni potranno unicamente fondare indizio di reato e stimolo per ulteriore attività investigativa.

4. Le dichiarazioni de quibus, quindi, non possono in alcun modo concorrere alla formazione della prova in senso tecnico, e neppure nei limiti di cui all'art. 350, co., 7 c.p.p.

5. Prendendo spunto da tale problematica viene riaffermata, infine, la lettura più garantista dell'art. 191 c.p.p.: la previsione di non utilizzabilità, intesa come divieto, deve necessariamente riguardare "sia le proibizioni esplicite (del tipo "è vietato", "non è ammesso", "non possono essere utilizzati"), sia le norme che subordinano il compimento o l'uso di un atto a particolari forme, casi o presupposti, ponendo in tal modo un divieto implicito per tutti quelli che si discostino dalla fattispecie tipo."

6. Le dichiarazioni rese ma non verbalizzate e solo trasfuse in un successivo atto di polizia giudiziaria saranno, dunque, inutilizzabili, tanto nella fase dibattimentale che in quella cautelare. Resta, tuttavia, quale corollario rilevante nel caso di specie, che se il dichiarante, pur legittimamente richiesto, rifiuti la verbalizzazione delle dichiarazioni rese, non si avrà un'ipotesi di loro inutilizzabilità.