ISSN 2039-1676


03 novembre 2011 |

La responsabilità  oggettiva in relazione all'età  della persona offesa nei reati contro la libertà  sessuale non contrasta con le disposizioni della Convenzione

Nota a C. eur. dir. uomo, sez. IV, dec. 30 agosto 2011, ric. n. 37334/08, G. c. Regno Unito

Si segnala all’attenzione dei lettori la decisione G c. Regno Unito (qui allegata) che affronta la questione riguardante la compatibilità dell’ipotesi di responsabilità oggettiva in relazione all’età della persona offesa nei reati di violenza sessuale previsti dalla sezione V del Sexual Offences Act del 2003 con i diritti e le garanzie contenute nelle disposizioni della Cedu.
 
La Corte EDU, interpretando l’art. 6 § 2 Cedu, ritiene che rientri nella discrezionalità del legislatore nazionale la possibilità di derogare alla presunzione di innocenza prevista dalla norma attraverso presunzioni di fatto o di diritto in relazione a specifici elementi del fatto di reato, purché tali presunzioni rimangano contenute entro limiti ragionevoli risultanti dal bilanciamento tra gli interessi tutelati ed il diritto di difesa dell’imputato. Con riferimento alla vicenda oggetto di giudizio, la Corte dichiara compatibile con le disposizioni della Cedu la norma inglese che attribuisce completa irrilevanza giuridica all’erronea percezione dell’età della persona offesa nei reati di violenza sessuale.
 
La decisione della Corte trae origine dalla seguente vicenda.
G., cittadino inglese di quindici anni, consumava un rapporto sessuale con una ragazza dodicenne e consenziente che, durante precedenti incontri, aveva sostenuto di essere sua coetanea. La sez. 5 del Sexual Offences Act del 2003, al fine di predisporre una tutela rafforzata dei bambini minori di 13 anni, ritiene sussistente il reato di stupro in presenza di un rapporto sessuale vaginale, anale o orale, indipendentemente dal consenso del minore o dall’errore dell’agente sull’età della persona offesa. G. veniva condannato dai giudici nazionali per stupro di un minore di anni 13 in tutti i gradi di giudizio.
 
G. ricorreva alla Corte EDU lamentando la violazione degli artt. 6 §§ 1 e 2 Cedu ed 8 Cedu.
 
Il ricorrente sosteneva, infatti, che la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti contrastasse con il diritto ad un equo processo e con la presunzione di innocenza di cui all’art. 6 §§ 1 e 2 Cedu, perché tale presunzione comporta il divieto di incriminazione in assenza di un comportamento colpevole. Nel caso di specie, la normativa nazionale inglese superava i ragionevoli limiti entro i quali sarebbero ammissibili reati a responsabilità oggettiva, perché il ricorrente - quindicenne al momento del fatto - aveva agito senza colpa, avendo fatto affidamento sulla dichiarazione della ragazza di essere sua coetanea e sul suo consenso al rapporto sessuale. Diversamente, il Governo – ripercorrendo l’iter argomentativo dei giudici nazionali - sostiene che i §§ 1 e 2 dell’art. 6 della Convenzione si riferiscano esclusivamente alla garanzia formale di un processo equo e corretto.
 
La Corte rammenta che la presunzione di innocenza si esplica nell’attribuzione dell’onere probatorio all’organo dell’accusa circa l’esistenza degli elementi del reato. Tale regola non impedisce, però, al legislatore di prevedere presunzioni di fatto o di diritto e, conseguentemente, ipotesi di responsabilità oggettiva, purché entro ragionevoli limiti che tengano conto degli interessi tutelati e del rispetto del diritto di difesa dell’imputato. Al di fuori di tali ragionevoli limiti, non è compito della Corte definire gli elementi costituivi dei reati né i contenuti del diritto penale interno dei singoli Stati.
 
La conoscenza dell’età della persona offesa e la volontà di quest’ultima di partecipare all’attività sessuale non sono elementi del fatto di reato di stupro secondo la sezione 5 del Sexual Offences Act. Siffatta scelta legislativa, mutuata dall’esigenza primaria di protezione dei bambini dagli abusi e dallo sfruttamento sessuale, nonché dalla prematura attività sessuale – ancorché consenziente - non supera i limiti di ragionevolezza sopra indicati.
 
Secondo i giudici di Strasburgo, dunque, la previsione della completa irrilevanza dell’errore sull’età della persona offesa sull’accertamento della responsabilità dell’agente per i reati di stupro – in altri termini, la previsione della responsabilità oggettiva in ordine all’età della persona offesaè compatibile con le garanzie previste dalla Convenzione. Sotto questo profilo, il ricorso è inammissibile perché incompatibile con le disposizioni della Convenzione.
 
Con il secondo motivo di ricorso, G. sostiene che la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti costituisca un’ingerenza sproporzionata nel suo diritto al rispetto della vita privata (art. 8 Cedu), nell’aspetto relativo alla vita sessuale. Avendo la ragazza acconsentito al rapporto sessuale ed avendo la stessa dichiarato di avere un’età superiore, la punizione del comportamento incolpevole dell’imputato non sarebbe necessaria in una società democratica, quale quella inglese, soprattutto alla luce dei gravosi effetti penali della sentenza di condanna.
 
La Corte, sebbene non contesti che il concetto di vita privata comprenda quello di vita sessuale, rileva che l’ingerenza lamentata dal ricorrente è prevista dalla legge nazionale ed è conforme ai criteri di necessità e di proporzionalità rispetto agli obiettivi di prevenzione della criminalità e di tutela dei diritti e delle libertà altrui richiesti dall’art. 8 § 2 Cedu. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
 
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Si segnala, nella giurisprudenza della Corte EDU, la sentenza C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 20 gennaio 2009, ric. n. 75909/01, Sud Fondi c. Italia che, assumendo una posizione parzialmente opposta a quella della decisione qui annotata, nell’interpretare la portata del principio di legalità evidenzia l’esigenza di assicurare un’adeguata rilevanza all’accertamento di un effettivo nesso psicologico tra l’autore ed il fatto commesso.
 
Necessario è altresì il confronto, nella giurisprudenza nazionale, con la sentenza C. cost. 24.07.2007, n. 322 che, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 609 sexies c.p. che attribuisce irrilevanza assoluta all’ignoranza o l’errore sull’età della persona offesa nei reati contro la libertà sessuale commessi in danno di un minore degli anni 14, afferma la necessità di procedere ad un’interpretazione conforme al principio di colpevolezza, estromettendo dal penalmente rilevante le ipotesi caratterizzate da ignoranza “inevitabile” sull’età del minore offeso.