12 dicembre 2012 |
S. Canestrari, Bioetica e diritto penale. Materiali per una discussione, Giappichelli, 2012
Recensione
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso si è andata progressivamente costituendo - se non una nuova disciplina - un autonomo ambito d'indagine, quello del bio-diritto, distinto tanto dalla bioetica generale, quanto dall'etica medica e dalle singole branche giuridiche. Nel cammino percorso dagli esordi fino a oggi, il biodiritto è andato via via ampliando e arricchendo il proprio raggio di competenza - di pari passo con l'esplosione delle nuove questioni legate allo sviluppo della bioetica - e ciò ha contribuito alla progressiva individuazione di sotto-settori all'interno della più vasta esperienza biogiuridica.
Così, recentemente, si è cominciato a parlare di un "bio-diritto penale" quale specifico campo d'indagine attinente alle problematiche nascenti dall'incontro fra riflessione giuspenalistica e questioni bioetiche. In questa prospettiva si colloca il volume di Stefano Canestrari "Bioetica e diritto penale. Materiali per una discussione". Le riflessioni e i documenti raccolti dall'Autore tracciano un percorso variegato che unisce da un lato l'esperienza di studioso e docente di diritto penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Bologna, e dall'altro l'attività svolta in seno al Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) e al Comitato di Bioetica dell'Ateneo bolognese. L'orizzonte tematico è assai ampio: dal binomio bioetica-laicità alla procreazione medicalmente assistita; dalle questioni di fine vita e del rifiuto informato di cure al problema attualissimo dei suicidi in carcere; dall'obiezione di coscienza ai dilemmi delle scelte tragiche in ambito sanitario, fino al tema dell'abolizione universale della pena di morte.
Il volume si apre con un saggio dedicato al principio di laicità e alle differenti declinazioni in cui esso si scompone all'interno dell'esperienza penalistica. La scelta non è casuale: se è vero che la bioetica non è l'unico terreno ove sorge il problema della laicità del diritto (si pensi, ad esempio, al rapporto con le minoranze religiose, alla concezione della famiglia e del matrimonio, alla scuola), tuttavia, soprattutto nel nostro paese, è il riferimento alla bioetica a segnare la cifra del confronto pubblico e scientifico sul tema della laicità, tanto da suggerire l'immagine di una «laicità al tempo della bioetica» (Claudia Mancina). Il modello di laicità proposto da Stefano Canestrari è decisamente inscritto entro le coordinate dello stato democratico costituzionale, aperto alle istanze del pluralismo (inteso non solo come "fatto", ma come valore) e ancorato al valore della dignità umana e della tutela del cittadino quali orizzonti imprescindibili dell'intervento penale.
Il tema della laicità consente di introdurre la riflessione su uno dei fronti di più accesa contrapposizione fra "bioetica laica" e "bioetica cattolica", secondo la denominazione di Giovanni Fornero, vale a dire la regolamentazione della procreazione medicalmente assistita introdotta dalla legge n.40 del 2004. La disamina critica della legge operata da Stefano Canestrari all'indomani della sua entrata in vigore mette in luce una serie di criticità che, negli anni successivi, avrebbero in più occasioni impegnato la giurisprudenza, anche costituzionale, delineando una delle più emblematiche vicende di 'riscrittura' giurisprudenziale di un testo legislativo assai controverso sia sul piano dei contenuti che della tecnica redazionale.
Numerose sono le sezioni del volume legate all'attività dell'Autore in seno ai Comitati di bioetica (CNB e Comitato di Bioetica dell'Ateneo di Bologna): si tratta delle parti dedicate al rifiuto di cure life-saving, al fenomeno dei suicidi in carcere, all'obiezione di coscienza del farmacista ai contraccettivi d'emergenza e al drammatico caso delle gemelline siamesi con cuore unico nate presso l'Ospedale Sant'Orsola-Malpighi di Bologna.
La sezione intitolata ai dilemmi di fine vita si apre con il Parere su "Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico", redatto dal gruppo di lavoro del CNB presieduto dallo stesso Stefano Canestrari (2008). I temi affrontati nel documento vengono ripresi e ampliati dall'Autore nel saggio dedicato al diritto al rifiuto/rinuncia consapevole di trattamenti sanitari da parte del paziente competente: un diritto "da prendere sul serio", il cui esercizio non può essere assimilato - sottolinea Stefano Canestrari - a pratiche di c.d. eutanasia passiva consensuale. Per quanto ancora utilizzata da alcuni commentatori, tale formula tende ormai ad essere estromessa dalle categorizzazioni dottrinali più aggiornate. Certamente, la diversa denominazione non si risolve solo sul piano nominalistico, ma porta con sé un evidente giudizio di valore: se il riferimento all'eutanasia proietta un'ombra di disvalore sulla condotta, il rifiuto delle cure si colloca invece nell'area non solo del lecito, ma dell'esercizio di un diritto costituzionalmente fondato (artt. 2; 13; 32, co. 2, Cost.).
Assai interessante appare dunque la sentenza, riportata nel volume, in cui il GUP di Roma esclude la responsabilità per omicidio del consenziente del medico anestesista che, su richiesta «personale, autentica, informata, reale ed attuale» da parte di Piergiorgio Welby, aveva proceduto al distacco del paziente dal respiratore. Il GUP afferma che, sebbene del reato contestato ricorrano gli elementi costitutivi, tuttavia l'azione è priva di antigiuridicità rientrando nell'adempimento di un dovere professionale da parte del medico. Se infatti, ex art. 32, co.2, Cost., nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario fuori dai casi previsti dalla legge, ne deriva che di fronte al rifiuto del paziente sorge per il medico il dovere di cessare il trattamento. La condotta dell'imputato, quindi, non integra una violazione dell'obbligo di cura poiché tale obbligo si arresta - trova un limite - nel rifiuto informato opposto dal paziente competente. La sentenza si segnala, oltre che per la novità nell'ambito dell'ordinamento giuridico italiano, quale esempio di supplenza giudiziaria a fronte dell'inerzia del legislatore penale nel ridisegnare le fattispecie codicistiche dedicate ai delitti contro la vita.
La vicenda Welby evidenzia quanto siano profonde le implicazioni etiche sollevate dalle questioni biogiuridiche, e come chiamino inevitabilmente in causa la coscienza degli operatori posti dinnanzi alla necessità di operare "tragic choices" fra beni dotati tutti di primario valore. In questa prospettiva vengono in rilievo le due sezioni del volume dedicate a questioni certamente diverse, ma accomunate dal tema del dilemma della scelta e della libertà di coscienza.
In primo luogo, la vicenda delle neonate siamesi toraco-onfalopaghe con cuore unico, che solleva il dilemma se procedere o meno alla separazione chirurgica. Il Comitato di Bioetica dell'Ateneo bolognese viene chiamato a esprimere una valutazione etica rispetto all'eventualità di un intervento di separazione delle gemelline, intervento che avrebbe necessariamente comportato la morte di una delle due, con una percentuale di sopravvivenza per l'altra del 20%. Il parere, corredato da un commento di Marina Lalatta Costerbosa, individua come discrimine per la decisione il criterio del grave e imminente pericolo di vita, fermo restando il rifiuto di ogni accanimento clinico e terapeutico, proponendo così una linea guida per l'équipe medica nel rispetto del dialogo con i genitori delle bambine.
Il trait d'union del dilemma morale emerge, in secondo luogo, nella parte dedicata all'obiezione di coscienza. La sezione si apre con il Parere del CNB del 2011 sull'obiezione di coscienza del farmacista relativamente alla vendita di contraccettivi d'emergenza. Come annota Stefano Canestrari nella presentazione del documento, la gestazione del Parere è stata animata dalla contrapposizione fra le molteplici posizioni e orientamenti ideologici in campo, e dalla intrinseca difficoltà di pervenire a un bilanciamento soddisfacente fra i beni in gioco, tutti di rilievo costituzionale (salute, libertà di coscienza, autodeterminazione). Stefano Canestrari sintetizza le diverse posizioni identificando, da un lato, quelle orientate ad assimilare la figura del farmacista a quella del medico, attribuendogli così il diritto a rifiutare per motivi di coscienza la vendita della c.d. pillola del giorno dopo (analogamente al caso dell'interruzione di gravidanza); dall'altro, invece, le tesi che mantengono un discrimine fra il ruolo del medico e quello del farmacista (non essendo quest'ultimo responsabile né della prescrizione del farmaco, né delle condizioni personali di chi lo richieda), e che si pongono in modo critico rispetto alla possibilità che il farmacista possa disattendere/censurare la prescrizione del medico e inibire l'autodeterminazione della paziente negando la spedizione della ricetta. L'Autore, che aderisce a quest'ultima posizione, prosegue la riflessione sull'obiezione di coscienza attraverso la riproposizione del confronto da egli coordinato sulle pagine di Criminalia fra Ferrando Mantovani e Paolo Veronesi. Si tratta di un dialogo ad ampio raggio che i due studiosi conducono "da punti di vista e con opinioni assai differenti", illustrando in modo efficace le diverse risposte ai problemi dei requisiti, dei limiti di operatività e delle modalità di esercizio dell'obiezione per motivi di coscienza.
Infine, una parte consistente del volume è dedicata alla riflessione su pena di morte e carcere. Argomenti, questi, che non appartengono al nucleo tradizionale dei temi della bioetica - rappresentando semmai un classico della riflessione giuspenalistica e giusfilosofica - e che tuttavia si iscrivono a pieno titolo fra le questioni che più da vicino chiamano in causa il governo del bios da parte del diritto. In altre parole, pena e carcere vengono qui osservati non tanto e non solo come territori presidiati dal diritto penale, o come dispositivi di controllo sociale, ma come punte emergenti del tracciato che unisce la riflessione biopolitica e quella bioetica in un'ottica di tutela prioritaria dei diritti umani.
La drammatica situazione della condizione carceraria italiana è fotografata in modo eloquente dal tasso dei suicidi commessi dietro le sbarre. L'incremento del fenomeno suicidiario nella popolazione carceraria non certifica semplicemente il collasso dell'utopia rieducativa della pena, ma chiama in causa la capacità stessa delle istituzioni di farsi garanti dei diritti fondamentali e della dignità umana del detenuto, senza creare nicchie di sospensione o negazione dei diritti all'interno del tessuto sociale. Al riguardo, nel 2010 il CNB ha approvato all'unanimità un parere inteso a stimolare l'adozione di un "piano d'azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere", sottolineando come "la prevenzione del suicidio rientr[i] a pieno titolo nella tutela della salute e della vita" di soggetti che la situazione detentiva espone a una particolare "vulnerabilità bio-psico-sociale". Stefano Canestrari annota come le indicazioni provenienti dal CNB sembrino aver trovato un riconoscimento da parte dell'autorità penitenziaria, che in recenti provvedimenti ha fatto rinvio al parere del Comitato; ciò che induce a un cauto ottimismo nel quadro pur desolante della condizione detentiva in Italia.
Se il ricorso alla morte autoinflitta segna la popolazione carceraria nel nostro paese, la morte inflitta dallo Stato come pena contrassegna la realtà di altri ordinamenti giuridici, alcuni tutt'altro che alieni alla tradizione delle grandi democrazie costituzionali. In questa prospettiva si inserisce l'impegno personale dell'Autore nel promuovere il "Documento per l'abolizione della pena di morte nel mondo", pubblicato nel 2009 e sottoscritto dai docenti di materie penalistiche di tutte le Università italiane. Il documento è stato diffuso in oltre ottocento atenei nel mondo, diventando il manifesto del Coloquio madrileno che ha tenuto a battesimo l'International Academic Network for the Abolition of Capital Punishment. L'ispirazione del documento - redatto in occasione del V centenario dall'istituzione, a Bologna, della prima cattedra di ius criminale - è all'insegna di "un impegno civile e morale" da parte dello studioso di diritto, e segnatamente di diritto penale. Impegno che caratterizza, del resto, l'intonazione generale del volume di Stefano Canestrari, sintetizzata in quello "sforzo [...] di superare il tradizionale isolamento del giurista, il cui ruolo non può restare confinato nell'ambito di una pura sfera tecnica". Ciò si traduce anche in una precisa scelta di linguaggio e di metodo da parte dell'Autore, e in un tipo d'approccio non tecnicistico alle questioni affrontate.
L'intento dell'opera è dunque quello, reso esplicito fin dal titolo, di offrire "materiali per una discussione". Una discussione che coinvolga non solo la sede degli studi universitari e della formazione post-laurea, ma anche gli operatori di settori cruciali per la vita dei singoli e della società (medici, operatori della salute, bioeticisti, esperti di diritto sanitario). Se, come nota Arthur Kaufmann, «la rivoluzione della biotecnologia» ha fatto sì che «il nucleo della cellula, ancor più del nucleo dell'atomo, stia diventando il banco di prova dei diritti umani», si può comprendere il motivo del peculiare coinvolgimento nelle questioni bioetiche di chi studia il diritto penale, tradizionalmente deputato alla salvaguardia dei beni fondamentali della vita e dell'integrità fisica della persona.