ISSN 2039-1676


22 febbraio 2013 |

La Cassazione conferma che la c.d. zooerastia può essere penalmente rilevante come maltrattamento di animali (art. 544-ter c.p.)

Cass. Pen., sez. III, ud. 13 dicembre 2012 (dep. 7 febbraio 2013), n. 5979, Pres. Fiale, Rel. Andreazza

1. La pronuncia pubblicata in allegato si riferisce ad un procedimento nel quale il Giudice di primo grado (GUP Bolzano, 19 marzo 2010, in questa Rivista) aveva per la prima volta preso posizione sulla rilevanza penale come maltrattamento di animali (art. 544-ter c.p.) di condotte di cd. zooerastia, consistente nel compimento di atti sessuali con animali, finalizzati, nel caso specifico, alle riprese di un film pornografico. La Cassazione ha confermato la sentenza  di condanna dell'imputato sia in relazione alla sottoposizione dell'animale a tali tipi di comportamenti, sia in relazione ad una più ampia vicenda di maltrattamenti di animali, soffermandosi anche su alcuni aspetti problematici della fattispecie di cui all'art. 544-ter c.p. In particolare, la Corte esamina l'elemento soggettivo, ritenendo punibili, nel caso specifico, condotte realizzate con il dolo eventuale di arrecare lesioni agli animali; delinea poi i rapporti tra gli ambiti di applicazione dell'art. 544-ter c.p. e dell'art. 727 c.p. (Abbandono di animali); definisce, infine, in cosa consistano i "comportamenti" insopportabili, per le caratteristiche etologiche degli animali, rilevanti per il reato di maltrattamenti.

2. L'imputato, proprietario di un allevamento/pensione per cani, ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza di condanna del GUP di Bolzano, confermata in appello, per maltrattamento di animali (art. 544-ter c.p.) per avere detenuto i cani in condizioni di grave incuria, sporcizia e malnutrizione.

In particolare, in relazione all'imputazione per il reato di maltrattamenti aggravato dalla morte (art. 544-ter, comma 3, c.p.) di uno dei cani ospitati temporaneamente nella struttura, è stata ribadita la sussistenza del nesso di causalità tra le modalità di custodia e lo stato cachettico, di disidratazione e grave denutrizione riscontrato dai veterinari, evidentemente derivati da una prolungata detenzione in condizioni pessime e non da una momentanea fuga dell'animale, che sarebbe stata rilevante, al più, secondo le prospettazioni difensive, ai sensi del reato di abbandono di animali (art. 727 c.p.).

La Cassazione si è poi soffermata sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 544-ter c.p., in forza del quale sono punite le condotte tenute «per crudeltà o senza necessità». Mentre nell'avere agito per crudeltà si configurerebbe un reato a dolo specifico, sarebbe richiesto il dolo generico per quelle tenute senza necessità. Alla mancanza di necessità viene ricondotta la deliberata scelta dell'imputato di custodire i cani affidatigli da terzi privandoli di acqua e cibo, per periodi prolungati, costretti in spazi angusti e nella totale incuria: tale scelta sarebbe stata presa con la volontaria accettazione del rischio dell'evento malattia (sfociato, in effetti, nella morte in alcuni casi), a fronte degli evidenti progressivi segni di deterioramento delle condizioni fisiche degli animali. Il reato di cui all'art. 544-ter c.p. è stato dunque ritenuto sussistente nella condotta omissiva dell'imputato, consistita nelle modalità di detenzione dei cani, sorretta dal dolo eventuale in riferimento alla morte o alle lesioni. Le lesioni costituiscono l'evento del reato e, ad avviso della Corte, non devono consistere in un'alterazione psicofisica dell'animale del tutto sovrapponibile al concetto di "malattia" di cui all'art. 582 c.p., per le evidenti difficoltà di accertamento nei riguardi degli animali [sulla configurabilità del reato di cui all'art. 544-ter c.p. nella forma omissiva, T. Verona, 26 ottobre 2010, n. 854, in Corr. Merito 2010, p. 1076 con nota di G.L. Gatta; per un caso di uccisione, ai sensi dell'art. 544-bis c.p., v. Cass. Sez. III, 9 giugno 2011, n. 29543, in questa Rivista con nota di A. Gasparre].

 

3. E' stato invece accolto il ricorso dell'imputato sulla qualificazione giuridica della condotta consistente nel trasporto di numerosi cuccioli di cane con modalità giudicate produttive di sofferenze per gli animali (sottoposti in tenerissima età ad un lungo viaggio dalla Romania all'Italia, stipati nel bagagliaio di un'automobile) ma in assenza di lesioni o sevizie. Richiamando altri precedenti analoghi, la Corte ha affermato che tale condotta non integra il reato di maltrattamenti ma quello cui all'art. 727, comma 2, c.p., applicabile a chi detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze [v. Cass. sez. III, 26 gennaio 2011, rv 250365; Cass. sez. III, 4 maggio 2004, rv 229429; sul rapporto tra art. 544-ter e art. 727 c.p. G.L. Gatta, Art. 727, in E. Dolcini, G. Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, Ipsoa, 2011, p. 6979, anche per la casistica relativa alla contravvenzione].

 

4. Come anticipato, la pronuncia presenta un profilo di interesse particolare perché per la prima volta la Corte affronta il tema del maltrattamento di animali consistente nella loro sottoposizione a pratiche sessuali con esseri umani. Nel confermare la condanna, la sentenza prende in esame la nozione di comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche degli animali. Il concetto di "comportamenti", per assumere valenza autonoma rispetto a quello di "fatiche", contemplato anch'esso dall'art. 544-ter c.p., deve essere riferito non tanto alla capacità di sopportazione fisica dell'animale, quanto alla «evidente e conclamata incompatibilità» con il comportamento animale della specie di riferimento come ricostruito dalle scienze naturali. Ne discende che anche le pratiche di zooerastia o zoopornografia - nella fattispecie consistite nella coazione di un cane all'accoppiamento con una donna per le riprese di un film pornografico - possano essere ascritte al reato di maltrattamento di animali. Tale conclusione discenderebbe da due ulteriori fattori, presi in considerazione dalla Cassazione. In primo luogo, secondo la ratio delle incriminazioni del Titolo IX bis del codice penale, ossia la tutela del sentimento di compassione dell'uomo per gli animali, assumerebbero particolare disvalore proprio le pratiche in oggetto. Inoltre, pur essendo da escludere nel contesto specifico la crudeltà,  il reato si fonderebbe sulla evidente mancanza di necessità nella sottoposizione dell'animale a dette pratiche, anche nella sua accezione, comunemente accolta in riferimento ai reati contro il sentimento per gli animali, che ricomprende non solo lo stato di necessità ma anche le pratiche che fondino la propria legittimazione in un interesse socialmente apprezzato e degno di tutela, che prevalga su quello cui sono rivolte le norme incriminatrici [Cass. Sez. III, 24 ottobre 2007, rv 238456; sulla mancanza di necessità in relazione al bene protetto sia consentito il rinvio a T. Giacometti, Macelleria clandestina nel ristorante: maltrattamento di animali aggravato dalla morte, in Corr. Merito, 2012, p. 917].