Il Giudice per le Indagini Preliminari di Busto Arsizio dichiarava non doversi procedere “perché il fatto non sussiste” in ordine al reato di maltrattamento di animali (art. 544 ter commi 1 e 2 c.p.), che punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, con previsione di aumento della pena se dai fatti deriva la morte dell’animale.
Nei confronti dell’imputata era stata richiesta da parte del Pubblico Ministero l’emissione di un decreto penale di condanna in relazione alla fattispecie di cui all’art. 544 ter c.p., a lei ascritta, “perché, dopo aver investito accidentalmente un gatto nel corso di una manovra alla guida di un’autovettura Ford Mondeo, senza necessità e giustificazione alcuna, ometteva di prestare all’animale le dovute cure, impedendo altresì a (omissis) e (omissis) di accedere all’interno del cortile ove si era verificato l’evento al fine di recuperare il gatto e trasportarlo presso un veterinario, così cagionandone la morte che sopravveniva dopo due giorni di agonia”.
Secondo il GIP le lesioni riportate dal gatto non erano conseguenza di sevizie e il comportamento omissivo successivamente tenuto dall’imputata non integrava la fattispecie criminosa ascrittale. Per questi motivi, non accoglieva la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e pronunciava sentenza di non doversi procedere.
Avverso la sentenza proponeva ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte territoriale per violazione di legge.
Preliminarmente: sui compiti del GIP richiesto dell’emissione di decreto penale
Ai sensi dell’art. 459 comma 3 c.p.p., come ricorda la Corte, il GIP, in caso di mancato accoglimento della richiesta di decreto penale, restituisce gli atti al Pubblico Ministero. È fatto salvo il caso in cui il Giudice debba pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
Tuttavia, già nel 2003 la Cassazione si era espressa nel senso che “nel caso in cu il mancato accoglimento dipenda da un diversa qualificazione giuridica del fatto, il giudice deve limitarsi a disporre la restituzione degli atti, senza poter pronunciare sentenza di proscioglimento in ordine al diverso reato ritenuto rispetto a quello originariamente contestato, giacché altrimenti tale sentenza, se non impugnata, darebbe luogo all’effetto preclusivo di cui all’art. 649 c.p.p.” (Cass., sez. I 29/10/2003-11/12/2003 n. 47515).
È quello che ha ritenuto non essere avvenuto il Procuratore Generale, che ha perciò impugnato la sentenza, argomentando nel senso di una qualificazione non corretta che doveva essere rimessa alla Procura con conseguente restituzione degli atti. A questo ragionamento ha aderito la Cassazione pronunciando l’annullamento della sentenza ex art. 129 c.p.p.
Sulla rilevanza della condotta omissiva nel delitto di uccisione di animali
Nel caso in esame, anche secondo la Suprema Corte, i fatti non integravano la fattispecie del maltrattamento di animali prevista dall’art. 544 ter c.p.; tuttavia, l’evento “morte” dell’animale si era verificato e, poiché l’ordinamento prevede anche la fattispecie di “uccisione” di animale in maniera autonoma rispetto al “maltrattamento”, i fatti andavano vagliati in riferimento alla loro riconsducibilità a tale delitto, previsto e punito dall’art. 544 bis c.p.
Prima facie, secondo la Corte, è configurabile nel caso di sepcie il delitto di cui all'art. 544 bis c.p. – uccisione di animali –, che punisce chi, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.
La Cassazione insomma aderisce all’orientamento secondo cui l’evento morte può ben derivare da una condotta puramente omissiva e ugualmente penalmente rilevante, come per l’omicidio (sulla falsariga del quale è ricalcato il delitto di uccisione di animali, tant’è che in dottrina vi è chi, con un neologismo, ha parlato di “animalicidio”). Nella specie, la Corte afferma che “la condotta attribuita all’imputata, concretatasi in particolare nell’aver impedito alle due (omissis) di accedere nel cortile per recuperare il gatto, con il suo conseguente abbandono dell’animale ad un’inevitabile morte, integra oggettivamente e soggettivamente, anche per quel che concerne il requisito della crudeltà, il fatto previsto e punito dall’art. 544 bis c.p.”.
Invero la
giurisprudenza (di merito) non è nuova ad individuare una responsabilità penale omissiva in capo a chi, “abbandonando” un animale, ne provoca la morte. Si vedano, in proposito, le pronunce del
Tribunale di Treviso (decreto penale del 2005, con riferimento ad un cane morto perché segregato in una stanza senza cibo né luce), quella sempre del
Tribunale di Treviso-sez. dist. di Conegliano (sentenza del 27 aprile 2009, con riferimento ai conigli di un allevamento, morti per inedia a seguito dell'abbandono), quella del
Tribunale di Roma del 2008 (condanna per la morte di un gatto abbandonato chiuso in casa durante le vacanze del proprietario). Si veda, altresì, il
decreto penale di condanna emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari di Busto Arsizio, nei confronti di L.P. responsabile di uccisione di animale (art. 544
bis c.p.), perché, nel luglio del 2007, abbandonava il proprio cane all’interno della propria autovettura parcheggiata in sosta presso il terminal dell’aeroporto di Milano Malpensa con un solo finestrino abbassato di soli 10 cm e si recava a Zurigo, incurante delle conseguenze che tale gesto avrebbe certamente comportato nei confronti della salute dell’animale, provocandone così la morte (per la disamina del concreto operare del reato omissivo applicato a fattispecie di uccisione di animale
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Ma la Corte di Cassazione va oltre. Infatti, precisa che oltre a sussistere l’evento previsto dalla norma incriminatrice, “appare configurabile l’elemento psicologico del reato”. Non si sottrae però la Suprema Corte dall’indicare che il vaglio che dovrà compiere il Pubblico Ministero cui è rimesso il fascicolo: dovrà verificare la sussistenza del nesso di causalità e la sussistenza di tutti gli altri requisiti richiesti per la configurabilità di un reato omissivo improprio (id est sussistenza della c.d. posizione di garanzia).
Concludendo in termini netti: trattandosi di erronea qualificazione del fatto, il GIP doveva rimettere gli atti al Pubblico Ministero, anziché pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p. Non avendo agito in tal modo, il Procuratore Generale ha dovuto impugnare la sentenza di proscioglimento attraverso il ricorso per Cassazione per violazione di legge, conformemente a quanto stabilito sul punto dalle Sezioni Unite (SU Cass. sent. 43055 del 30/09/2010), per rimettere nelle mani della Procura della Repubblica le valutazioni del caso e dunque restituire il potere di esercitare l’azione penale sulla base delle circostanze emergenti dal fascicolo delle indagini preliminari (impedendo così la preclusione del giudicato sui fatti); circostanze che sono tali da far presumere una prossima imputazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 544 bis e 40 c.p. per uccisione di animale mediante omissione.
I nuovi doveri di soccorso stradale degli animali feriti (l. n. 120/2010)
È solo il caso di accennare – per completezza dell'esposizione e per l'attinenza con il caso di specie – alle nuove disposizioni introdotte dalla Legge 120/2010 che ha apportato modifiche al
Codice della Strada, prevedendo l’
obbligo di soccorso degli animali coinvolti in sinistri stradali[1].
L’art. 31 della citata legge, rubricato Modifiche agli artt. 177 e 189 del D.lgs 285/92 in materia di mezzi di soccorso per animali e incidenti con danni ad animali, ha modificato il comma 1 dell’art. 177 e ha aggiunto un comma 9 bis all’art. 189. Entrambe le disposizioni sono posizionate nella parte del Codice relativa alle Norme di comportamento da tenere sulle strade.
In breve, all’art. 189 (Comportamento in caso di incidente) è stato aggiunto il comma 9 bis che prevede che, “l’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, da cui derivi danno a uno o più animali d’affezione, da reddito o protetti, ha l’obbligo di fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso agli animali che abbiano subito il danno”.
Viene così previsto l’obbligo di soccorso per gli animali coinvolti in un incidente stradale, per una causa comunque riconducibile al comportamento dell’utente della strada. La norma sanziona l'inadempimento del predetto obbligo con una sanzione amministrativa, consistente nel pagamento di una somma da euro 389 a euro 1.559.
La citata disposizione aggiunge altresì che “le persone coinvolte in un incidente con danno a uno o più animali d’affezione, da reddito o protetti devono porre in atto ogni misura idonea ad assicurare un tempestivo intervento di soccorso”. La previsione della sanzione amministrativa, in questo caso, è del pagamento di una somma da euro 78 a euro 311.
Tale normativa non potrà essere applicata nel caso in esame, per ciò che concerne le sanzioni previste - nonchè la previsione di una posizione di garanzia in capo al conducente -, poiché successiva ai fatti che la Procura dovrà riesaminare: la legge n. 120/2010 è infatti entrata in vigore solo il 13 agosto 2010.