ISSN 2039-1676


29 novembre 2013 |

La Direttiva 2013/48/UE sul diritto al difensore e a comunicare con terzi e autorità  consolari in caso di privazione della libertà  personale

Alcune note a prima lettura

SOMMARIO: 1. La Direttiva 2013/48/UE nel quadro del rafforzamento dei diritti di imputati e indagati nel processo penale. - 2. Ambito di applicazione e soggetti. - 3. Il diritto di avvalersi di un difensore. - 4. I diritti di comunicare.

 

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1. La Direttiva 2013/48/UE nel quadro del rafforzamento dei diritti di imputati e indagati nel processo penale.

 Il 6 novembre scorso sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea è stata pubblicata la Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013 «relativa al diritto di avvalersi di un difensore[1] nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari».

Si tratta dell'attuazione della "misura C" e della "misura D" previste dalla «tabella di marcia» adottata il 30 novembre 2009 dal Consiglio per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali[2]. Nel 2010 e nel 2012, con riferimento a questo percorso, sono già state adottate la Direttiva 2010/64/UE sulla traduzione e interpretazione, il cui termine di recepimento è appena scaduto il 27 ottobre scorso[3], e la Direttiva 2012/13/UE relativa al diritto all'informazione nel procedimento penale[4]. A onor del vero, la "misura C" comprendeva anche il gratuito patrocinio, non disciplinato nella direttiva in commento, come si evince dall'art. 11. Nel suo quarantottesimo considerando, ci si limita, infatti, a stabilire come «nelle more dell'adozione di un atto legislativo dell'Unione sul patrocinio a spese dello Stato, gli Stati membri dovrebbero applicare il loro diritto nazionale in materia, che dovrebbe essere conforme alla Carta, alla CEDU e alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo».

Il quadro di riferimento delle tre direttive è quindi, ovviamente, comune, a partire dalla base giuridica, costituita dall'articolo 82, par. 2, TFUE, dove si individua nei «diritti della persona nella procedura penale» un ambito nel quale l'Unione può stabilire norme minime «per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale». La funzionalizzazione della normativa a uno scopo eminentemente pratico, se può apparire un mancato riconoscimento del valore in sé, di fine e non di mezzo, dei diritti della persona, ha anche un risvolto positivo per nulla scontato nel diritto dell'Unione, cioè l'inserimento di una «clausola di non regressione», volta a impedire interpretazioni della direttiva implicanti limiti e deroghe ai diritti garantiti dalla Carta dei diritti dell'Unione europea e della CEDU e, inoltre, salvaguarda le normative interne che assicurino «un livello di protezione più elevato»[5]. Lo stesso vale per il criterio interpretativo - e applicativo - da adottare per le disposizioni corrispondenti «ai diritti garantiti dalla CEDU o dalla Carta», costituito dalla «pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo», in aggiunta a quella della Corte di giustizia dell'UE[6]. L'ispirazione unitaria è poi espressamente proclamata laddove si parla della «tabella di marcia» come «strumento globale» e in fieri i cui «benefici si percepiranno appieno soltanto quando tutte le sue componenti saranno attuate»[7], sembrando suggerire pure ai legislatori nazionali un coordinamento delle normative di recepimento.

Alla luce di ciò lascia perplessi la scelta di Regno Unito e Irlanda, dopo aver partecipato all'adozione delle direttive 2010/64/UE e 2012/13/UE, di compiere la scelta opposta con riguardo alla presente direttiva, la quale, sebbene inerente a diritti di notevole rilievo, forse è quella di contenuto più puntuale rispetto a quella relativa all'assistenza linguistica e all'informazione nel processo.

Un altro aspetto può sorprendere, e cioè la quasi completa assenza di richiami alle disposizioni delle altre due direttive: l'unico, peraltro molto parziale, è operato alle «disposizioni della direttiva 2012/13/UE che stabiliscono che indagati e imputati siano informati immediatamente del diritto di avvalersi di un difensore e [se] siano arrestati o detenuti ricevano immediatamente una comunicazione dei diritti per iscritto contenente informazioni sul diritto di avvalersi di un difensore»[8]. Di riferimenti, sebbene in ipotesi ovvi, alle problematiche linguistiche[9] non c'è traccia, a meno di non comprenderli implicitamente nella fondamentale ma generica enunciazione sulla necessaria effettività del diritto di difesa; un'unica disposizione, nell'art. 9, dove si disciplina la rinuncia al diritto alla difesa tecnica, prescrive che le informazioni sul contenuto del diritto, e sulle conseguenze della rinuncia a esso, siano date in un «linguaggio semplice e comprensibile», riferendosi, in tutta evidenza, alla nota questione dell'accessibilità ai «profani» del linguaggio dei «chierici»[10], non alle difficoltà precipue dell'alloglotto. Si può, naturalmente, osservare come il mancato richiamo non pregiudichi certo l'obbligo di tener conto, nell'attuazione di questa direttiva, delle disposizioni correlate contenute nelle altre, tuttavia il coordinamento non è stato considerato inutile, ad esempio, nella direttiva 2012/13/UE, secondo cui gli «Stati membri dovrebbero garantire che, nel fornire informazioni a norma della presente direttiva, alle persone indagate o imputate siano fornite, se necessario, le traduzioni o l'interpretazione in una lingua a loro comprensibile, conformemente alle norme di cui alla direttiva 2010/64/UE»[11].

 

2. Ambito di applicazione e soggetti

 Il punto non sembra porre particolari problemi, dato che, sia la definizione dell'ambito di applicazione, sia l'individuazione dei soggetti titolari dei diritti qui riconosciuti, sono comuni al "trittico" di direttive più volte enunciato.

Ai sensi della formulazione ripetuta nel primo paragrafo dell'art. 2, la direttiva «si applica agli indagati e imputati in procedimenti penali dal momento in cui sono informati dalle autorità competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagati o imputati per un reato, indipendentemente dal fatto che siano privati della libertà personale. Si applica fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che stabilisce se l'indagato o imputato abbia commesso il reato, inclusi, se del caso, l'irrogazione della pena e l'esaurimento delle procedure d'impugnazione». Il momento iniziale di decorrenza è, quindi, individuato esattamente dalla nozione materiale di accusa elaborata e utilizzata in ambito CEDU[12], la quale rende poi praticamente obbligato il riferimento a «indagati e imputati» («suspects or accused persons» nell'originale inglese).

Merita, tuttavia, di essere segnalata la disposizione secondo cui - in analogia con quanto stabilisce l'art. 63 c.p.p. riguardo alla nomina del difensore - la direttiva si applica anche a chi divenga indagato o imputato in sede di interrogatorio (art. 2, par. 3). La maggiore attenzione è, in effetti, posta proprio sul momento in cui sorge il diritto all'assistenza del difensore, su cui ci si soffermerà infra trattando dell'art. 3, in quanto strettamente collegato alla configurazione di tale diritto.

Tornando alla definizione dell'ambito applicativo, esso comprende pure i procedimenti di esecuzione del mandato di arresto europeo, cui la direttiva dedica un articolo a sé per tener conto delle particolarità che si riflettono sul diritto alla difesa tecnica (art. 10); mentre con riguardo ai «reati minori», per tali intendendo quelli per cui una sanzione - esclusa la privazione della libertà personale - possa essere irrogata da un'autorità diversa da quella giudicante penale, la direttiva si applica solamente alla fase di impugnazione avanti a quest'ultima.

 

 3. Il diritto di avvalersi di un difensore

 La direttiva 2012/13/UE, fra le informazioni fondamentali da fornire necessariamente all'indagato o imputato, enunciava al primo posto quelle relative al «diritto a un avvocato»; ora gli articoli 3 e 4 della direttiva in commento delineano i contenuti minimi di questo diritto, assieme all'art. 10, che lo declina nell'ambito del mandato di arresto europeo, e agli articoli 8 e 9 concernenti, rispettivamente, le condizioni generali per le «deroghe temporanee» e la rinuncia. Come si avrà modo di ricordare, per meglio comprendere la disciplina è fondamentale il riferimento ai considerando.

I tempi e le modalità di esercizio del diritto devono essere tali da rendere la difesa «concret[a] ed effettiv[a]», per cui, in primis si deve evitare «ogni indebito ritardo» («undue delay»), formula non molto perspicua ma ricorrente. Per darle un contenuto, almeno con riferimento al cruciale momento iniziale, l'art. 3, par. 2, precisa come quest'ultimo coincida con il primo ad accadere nella vicenda concreta tra gli eventi che seguono:

«a) prima che essi [gli indagati o imputati] siano interrogati dalla polizia o da un'altra autorità di contrasto o giudiziaria;

 b) quando le autorità inquirenti o altre autorità competenti procedono ad atti investigativi o altri atti di raccolta delle prove conformemente al paragrafo 3, lettera c);

c) senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale;

d) qualora siano stati chiamati a comparire dinanzi a un giudice competente in materia penale, a tempo debito prima che compaiano dinanzi a tale giudice».

Ora, mentre i punti c) e d) non paiono porre rilevanti problemi, a parte eventualmente il chiedersi il senso della ripetizione del riferimento all'indebito ritardo, qualche dubbio interpretativo sorge per l'individuazione del momento sub a), perché, alla lettera, parlare di un "prima dell'interrogatorio" indefinito non avrebbe molto senso, specialmente visto il puntuale richiamo alle dichiarazioni indizianti come possibile momento di iniziale applicazione della direttiva. Soccorre parzialmente il ventesimo considerando, stranamente non ripreso nel testo dell'articolo 3, ai sensi del quale ai «fini della presente direttiva, non rientrano tra gli interrogatori le domande preliminari effettuate dalla polizia o da un'altra autorità di contrasto finalizzate a identificare l'interessato, a verificare il possesso di armi o ad accertare altre questioni analoghe relative alla sicurezza o a determinare se le indagini debbano essere avviate, ad esempio, nel corso di un controllo su strada o durante controlli periodici su base casuale qualora un indagato o imputato non sia ancora stato identificato». Si diceva parzialmente, se non altro per l'eterogeneità delle situazioni esemplificate, destinate ad ampliarsi secondo un criterio analogico, e perché «interrogatorio» non può essere inteso, linguisticamente, come termine, con un significato univoco, posto che, ad esempio, pure in sede di sommarie informazioni la sola ipotesi in cui si può prescindere dall'assistenza del difensore è quella di cui all'art. 350, comma 5 c.p.p. («sul luogo o nell'immediatezza del fatto» per «l'immediata prosecuzione delle indagini»).

Il riferimento sub b) è sufficientemente circoscritto dal rimando al paragrafo 3, lettera c), laddove garantisce la presenza del difensore «ove tali atti siano previsti dal diritto nazionale e all'indagato o all'imputato sia richiesto o permesso di essere presente» alle ricognizioni di persone, ai confronti e alle «ricostruzioni della scena di un crimine». Si può osservare, a riguardo, che la ricognizione in senso tecnico è disciplinata agli artt. 213 e 214 c.p.p., ma qui probabilmente ricomprende, inoltre, l'individuazione di persone ex art. 361 c.p.p. («identity parade»)[13] e, sicuramente a essa, come al confronto, l'indagato o imputato non può non partecipare, mentre la ricostruzione di cui sopra pare pacificamente identificabile con l'esperimento giudiziale (artt. 218 e 219 c.p.p.), anch'esso, nell'ottica della direttiva (v. considerando 26) inteso come atto cui la persona partecipa.

Venendo al contenuto del diritto, le disposizioni dell'art. 3, par. 3, in combinato disposto con l'art. 4, intitolato alla «riservatezza», sono alquanto stringate, prevedendo per l'interessato, «anche prima dell'interrogatorio», la garanzia di poter incontrare e comunicare riservatamente con il proprio legale, che deve poter essere presente e partecipare in modo effettivo all'interrogatorio, nonché «almeno» essere presente agli atti appena ricordati. Riguardo alla nozione di «interrogatorio» già si è accennato come non sembra debba intendersi in senso formale, ma piuttosto sostanziale, ispirandosi alla ratio garantistica della direttiva, evidente, tra l'altro, nell'enfasi con cui tutela in particolare chi è stato privato della libertà personale, con disposizioni che in alcuni punti paiono ridondanti. Merita poi rammentare l'art. 10, dove viene presa in considerazione sia l'assistenza legale nello stato di esecuzione, sia quella nello stato di emissione del mandato di arresto europeo, ponendo a carico di entrambi l'obbligo di fornire informazioni. Si deve andare ai considerando per trovare un maggior dettaglio e perfino preoccupazioni di carattere pratico, come la previsione di regolamentazioni per l'effettuazione delle comunicazioni e degli incontri con il difensore, per assicurarne la riservatezza, per disciplinare la partecipazione agli «atti investigativi o di raccolta delle prove»; regolamentazioni le quali «non dovrebbero pregiudicare l'effettivo esercizio o l'essenza del diritto»[14]. Nonostante si tratti di norme minime, e quindi la cosa abbia un rilievo relativo, sembra interessante evidenziare una disposizione che desta qualche perplessità laddove permette la prosecuzione dell'interrogatorio in caso di dichiarazioni autoindizianti qualora «l'interessato sia stato informato di essere indagato o imputato e sia in grado di esercitare pienamente i diritti previsti dalla presente direttiva»[15].

Importante e articolato è l'apparato di deroghe, seppure temporanee. Mentre, ad esempio, nella direttiva 2012/13/UE vi è un'unica disposizione derogatoria in relazione al diritto di accesso alla documentazione delle indagini[16], qui ci sono due disposizioni particolari (più una riferita al diritto ad informare un terzo della privazione della libertà personale) e un articolo che stabilisce, come accennato inizialmente, le condizioni generali per l'applicazione delle deroghe. Sulla prima, relativa alle difficoltà generate dalla «lontananza geografica», non pare di doversi soffermare, mentre, ai sensi della seconda, riguardante il diritto al difensore nella sua pienezza di contenuto, è possibile derogare «in circostanze eccezionali e solo nella fase che precede il processo» e «nella misura in cui ciò sia giustificato alla luce delle circostanze particolari del caso, sulla base di uno dei seguenti motivi imperativi:

a) ove vi sia la necessità impellente di evitare gravi conseguenze negative per la vita, la libertà o l'integrità fisica di una persona;

b) ove vi sia la necessità indispensabile di un intervento immediato delle autorità inquirenti per evitare di compromettere in modo sostanziale un procedimento penale» (art. 3, par. 6).

L'art. 8 pone ulteriori limiti nel momento in cui sottopone in ogni caso le deroghe a «controllo giurisdizionale» e le caratterizza come proporzionate, «rigorosamente» limitate nel tempo, non basate esclusivamente sul tipo o la gravità del reato in questione e, a mo' di chiusura, non pregiudicanti l'equità complessiva del procedimento, fermo che, come si legge nei considerando n. 31 e 32, «ogni abuso [...] arrecherebbe, in linea di principio, un pregiudizio irrimediabile ai diritti della difesa» [17].

A questo proposito, vi è una disposizione, applicabile sia in caso di deroga (legittima) sia di violazione del diritto al difensore, ai sensi della quale «fatti salvi i sistemi o le norme nazionali in materia di ammissibilità delle prove, gli Stati membri garantiscono che [...] nella valutazione delle dichiarazioni rese da indagati o imputati o delle prove raccolte [...], siano rispettati i diritti della difesa e l'equità del procedimento» (art. 12, par. 2). Illustra meglio il punto il considerando 50, dove, richiamando per contrasto la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che vieta l'uso di tali dichiarazioni ai fini di una condanna, si argomenta sulla possibilità di utilizzarle per altri fini[18] e se ne ricava l'ulteriore conseguenza della possibilità di mantenere sistemi ove non vi sia una «valutazione distinta o preliminare dell'ammissibilità» delle prove «esistenti». Sulla possibilità di qualificare tali prove ottenute in violazione del fondamentale diritto all'assistenza del difensore si potrebbe discutere sul piano teorico: il tema si prospetta comunque amplissimo e sarebbe interessante esaminarlo specialmente in ottica comparatistica; qui ci si limita, se non altro, a notare come appaia alquanto singolare mettere sullo stesso livello una situazione in cui il materiale probatorio nasce in un contesto viziato con quella in cui si è in presenza di una deroga legittimamente prevista, e ciò anche se l'accostamento è operato per ribadire che, in entrambi i casi, vanno rispettati i diritti della difesa e assicurata l'equità del procedimento.

La trasposizione non sarà semplice e probabilmente, come spesso accade di fronte a disposizioni del genere, il legislatore interno si limiterà a una parafrasi, anche perché sembra francamente difficile risolvere meglio l'esercizio di equilibrismo fra garanzie ed esigenze connesse alla "sicurezza".

Per concludere, passiamo a quanto, sul tema, la direttiva non affronta in maniera espressa, riprendendo le osservazioni del primo paragrafo.

E' evidente, infatti, come un soggetto alloglotto debba ricevere tutte le informazioni sui suoi diritti in una lingua a lui nota, ai sensi della direttiva 2010/64/UE, non solo relativamente alla possibilità di farsi assistere da un avvocato, ma pure, ad esempio, sulla rinuncia a tale diritto, e come alla base di una difesa concreta ed effettiva nel caso in cui l'interessato e il suo legale non abbiano una lingua comune ci sia la soluzione alla problematica dell'assistenza linguistica. A riguardo, stando a quanto stabilisce l'art. 2, par. 2 della citata direttiva 2010/64/UE, gli «Stati membri assicurano, ove necessario al fine di tutelare l'equità del procedimento, che l'interpretazione sia disponibile per le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato, direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso o di un'altra istanza procedurale» [19].

Si tratta di una novità di un certo rilievo, dal momento che, dopo aver in passato, giudicato inapplicabile l'art. 6 comma 3 lett. e) CEDU ai rapporti tra l'imputato e il suo difensore, più di recente la Corte di Strasburgo, pur adottando una lettura estensiva della norma, non legata alle sole vicende processuali, non si è pronunciata esplicitamente sul tema[20]. L'Unione Europea, quindi, si pone a un livello di tutela più avanzato, nonostante, essendo le normative degli Stati membri sulla materia molto differenti, si sia poi scelto, nella versione definitiva della Direttiva, di limitare l'assistenza alla preparazione di specifici atti quando ciò è necessario al fine dell'equità del procedimento[21]. L'impressione è di essere di fronte a un ampliamento delle competenze dell'interprete d'ufficio, visto l'obbligo in capo agli Stati membri di assicurare tale assistenza gratuitamente, con la possibile conseguenza, quando il legislatore si deciderà a occuparsene, di giungere a un ripensamento dell'attuale assetto della nomina dell'interprete in quanto l'allargamento a un territorio così delicato come i rapporti extraprocessuali col difensore non pare compatibile con le lacune normative sul punto della definizione dell' «autorità procedente» cui spetta non solo la nomina - parzialmente colmate dal riferimento all'art. 52 disp. att. c.p.p. - ma pure il potere di sostituzione dell'interprete. Senza contare la questione dell'opportunità che un interprete nominato dal pubblico ministero, pur tenuto ovviamente al segreto, conosca "dal di dentro" le strategie difensive.

L'intervento dell'UE dovrebbe portare, inoltre, alla definizione dei rapporti dell'interprete d'ufficio con quello di fiducia, dato il residuare, considerata la limitazione prevista dalla direttiva, di un ambito "scoperto" nella preparazione della difesa: basti pensare a come le investigazioni difensive non siano necessariamente e/o strettamente funzionali a un particolare atto da compiere, a meno di rendere l'interpretazione dell'inciso «direttamente correlate» molto ampia, sottraendole sostanzialmente significato, pur se comunque, in concreto, non sembra facile poter assicurare il rispetto di un simile limite.

Poiché il termine per il recepimento della direttiva sull'assistenza linguistica, come si ricordava, è scaduto, sarebbe auspicabile che il legislatore traesse spunto dall'adozione della presente direttiva per occuparsi dei problemi appena accennati inserendoli nel quadro d'insieme del diritto alla difesa: purtroppo le probabilità in tal senso non sono molte.

 

4. I diritti di comunicare

 "I diritti" e non "il diritto": infatti fin dal titolo la direttiva si preoccupa di distinguere tra quello a informare un terzo riguardo alla privazione della libertà personale, quello di avere contatti durante lo stato di privazione della libertà personale e, infine, a informare le autorità consolari.

Al primo viene riservata la disciplina più articolata. Stando all'art. 5, l'informazione deve essere data ad almeno una persona «senza indebito ritardo» a meno che non sussistano i presupposti per una deroga temporanea, riproponendo sostanzialmente quelli già visti per il diritto all'assistenza legale[22]. Per i contatti con terzi durante la detenzione, vi è la possibilità di «limitare o differire» l'esercizio del diritto, prevedendo, con ciò, una deroga, sebbene non la si definisca tale, e utilizzando, nella formula giustificativa, il riferimento a «esigenze imperative» o «esigenze operative proporzionate»: non si comprende, in verità, il cambiamento di struttura, posto che in tal modo le espressioni suddette non vengono messe in relazione con l'art. 8, come invece per le deroghe espressamente definite tali. Quanto, invece, alla comunicazione con le autorità consolari, si tratta di un diritto spettante agli Stati ai sensi dell'art. 36 della Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari, mentre la direttiva intende riconoscere un analogo diritto a indagati e imputati privati della libertà personale, senza porre questioni particolari.

Merita, in conclusione, ricordare, sul punto, la specifica considerazione dei minori[23], riguardo ai quali è previsto sia l'obbligo, nel dare informazioni sulla privazione della loro libertà personale, di tener conto del classico «interesse superiore del minore», sia, in caso di deroga, di informare comunque un'autorità preposta alla loro tutela.

 

 


[1] Ai sensi del considerando 15, il «termine "difensore" si riferisce, nella presente direttiva, a qualsiasi persona che è qualificata e autorizzata conformemente al diritto nazionale, ad esempio mediante abilitazione da parte di un organo preposto, a fornire consulenza e assistenza legali a indagati o imputati».

[2] In GUUE C 295 del 4.12.2009, citata nel considerando 8.

[3] Si veda in proposito M. Gialuz, È scaduta la direttiva sull'assistenza linguistica. Spunti per una trasposizione ritardata, ma (almeno) meditata, in questa Rivista, 4 novembre 2013.

[4] Per un commento si veda, S. Ciampi, La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto all'informazione nei procedimenti penali. Note a margine della Direttiva 2012/13/UE, in questa Rivista, 27 giugno 2012.

[5] Articolo 14. Analoga disposizione si trova nella Direttiva 2010/64/UE (art. 8) e nella Direttiva 2012/13/UE (art. 10). Addirittura nel considerando 32 della prima di queste direttive si auspica che gli Stati membri possano ampliare i diritti da essa previsti «al fine di assicurare un livello di tutela più elevato anche in situazioni non espressamente contemplate dalla presente direttiva».

[6] Considerando 53. Analoga statuizione si trova nella Direttiva 2010/64/UE (considerando 33) e nella Direttiva 2012/13/UE (considerando 42).

[7] Considerando 9. Il tassello a oggi mancante, oltre all'assistenza legale gratuita, è la "misura E" concernente garanzie speciali per indagati e imputati vulnerabili, sebbene già in alcune disposizioni delle direttive finora adottate si richiami l'attenzione su queste situazioni: il considerando 27 della direttiva 2010/64/UE enuncia il principio generale secondo cui «Le autorità preposte all'esercizio dell'azione penale, le autorità di pubblica sicurezza e le autorità giudiziarie dovrebbero [...] prende[re] in considerazione qualsiasi potenziale vulnerabilità che comprometta la [...] capacità di seguire il procedimento e di farsi capire [...]», mentre ai sensi dell'art. 3, par. 2 della direttiva 2012/13/UE «Gli Stati membri assicurano che le informazioni fornite a norma del paragrafo 1 siano fornite oralmente o per iscritto, in un linguaggio semplice e accessibile, tenendo conto delle eventuali necessità delle persone indagate o imputate in condizioni di vulnerabilità». Nella presente direttiva, oltre alla speciale considerazione per i minori, va ricordato l'art. 13, secondo cui gli «Stati membri garantiscono che, nell'applicazione della presente direttiva, si tenga conto delle particolare esigenze di indagati e imputati vulnerabili».

[8] Considerando 14.

[9] Più ampiamente sul punto, ci si permette di rinviare a F.A. Bubula, Lingue e tutela dei diritti nel processo penale, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013, consultabile nel Bicocca Open Archive (BOA), identificativo http://hdl.handle.net/10281/46802.

[10] L'espressione è di M. Chiavario, La tutela linguistica dello straniero nel nuovo processo penale italiano, in Riv. dir. proc., 1991, p. 352.

[11] Considerando 25, Direttiva 2012/13/UE: si vedano inoltre gli artt. 3, par. 1 e 4, par. 5.

[12] Come noto, il termine di accusa, nel contesto della CEDU ha acquisito un proprio autonomo significato, rispondente a una «concezione materiale» che la identifica con «la notificazione ufficiale, emanante dall'autorità competente, del rimprovero di aver commesso un'infrazione penale». Di conseguenza, in tal senso, si può essere «accusati» prima che sia adito un organo giudicante, non essendo necessario nemmeno inserire l'«accusa» in una comunicazione recettizia. Su questa base sono stati quindi considerati momenti iniziali del procedimento e di decorrenza della garanzia, tra gli altri, l'arresto in flagranza, l'emissione di un provvedimento cautelare, l'invito a rendere interrogatorio avanti al magistrato, l'interrogatorio del sospettato di aver commesso un illecito penale, la notifica dell'informazione di garanzia: si veda G. Ubertis, L'autonomia linguistica della Corte di Strasburgo, in Arch. Pen., 1, 2012, 21 ss. e giurisprudenza ivi citata; R. Chenal, sub art 6, in S. Bartole, P. De Sena, V. Zagrebelsky, Commentario Breve alla Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo, Padova, 2012, 185 ss.

[13] Espressione che, curiosamente, è l'equivalente informale di quella normalmente usata, cioè «identificatory parade».

[14] Considerando 22 e seguenti.

[15] Considerando 21.

[16] Art. 7, par. 3: «In deroga ai paragrafi 2 e 3, purché ciò non pregiudichi il diritto a un processo equo, l'accesso a parte della documentazione relativa all'indagine può essere rifiutato se tale accesso possa comportare una grave minaccia per la vita o per i diritti fondamentali di un'altra persona o se tale rifiuto è strettamente necessario per la salvaguardia di interessi pubblici importanti, come in casi in cui l'accesso possa mettere a repentaglio le indagini in corso, o qualora possa minacciare gravemente la sicurezza interna dello Stato membro in cui si svolge il procedimento penale. Gli Stati membri garantiscono che, secondo le procedure del diritto nazionale, una decisione di rifiutare l'accesso a parte della documentazione relativa all'indagine, a norma del presente paragrafo, sia adottata da un'autorità giudiziaria o sia quantomeno soggetta a un controllo giurisdizionale».

[17] Come già si è ricordato in altri casi, maggiori indicazioni si rinvengono nei considerando, in particolare, nel considerando 31 si ipotizza il caso di informazioni essenziali per la vita, libertà e integrità fisica di una persona da ottenersi in sede di interrogatorio, nel 32 si parla invece di evitare la distruzione o alterazione di prove essenziali o l'influenza sui testimoni. Più in generale, nel considerando 34, si fa salva la violazione della riservatezza per operazioni di «sorveglianza legittima» e si lascia «impregiudicato» il lavoro di intelligence volto al «mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna».

[18] Ovvero «la necessità di eseguire atti investigativi urgenti per evitare la perpetrazione di ulteriori reati o gravi conseguenze negative per chiunque, o legate all'urgente necessità di evitare di compromettere in modo sostanziale un procedimento penale, qualora la possibilità di avvalersi di un difensore o un ritardo nello svolgimento delle indagini possa pregiudicare irrimediabilmente indagini in corso su un reato grave».

[19] Qui si fa riferimento, quanto al contenuto, al testo dei considerando 19 e 20, anche se non viene espressamente riportata la disposizione, contenuta nel considerando 19, secondo cui gli «indagati o gli imputati dovrebbero, tra l'altro, poter spiegare al loro avvocato la loro versione dei fatti, segnalare eventuali dichiarazioni con cui sono in disaccordo e mettere il loro avvocato a conoscenza di eventuali circostanze da far valere a loro difesa». Probabilmente lo si può recuperare nell'interpretare la clausola relativa all'equità del procedimento, sebbene non sembri agevole da farsi in sede di pratica applicazione.

[20] Il riferimento è alle sentenze Corte e.d.u., 24 settembre 2002, Cuscani c. United Kingdom, in part. § 39, Corte e.d.u., 14 gennaio 2003, Lagerblom c. Sweden, in part. § 49 e alla decisione Corte e.d.u., 17 maggio 2001, Güngör c. Germania. Sul punto G. Repetto, L'ammissione degli stranieri al patrocinio a spese dello Stato e l'"obbligo del condizionale", in Giur. Cost., 2007, 4, 2535 ss. e M. Gialuz, L'obbligo di interpretazione conforme alla direttiva sul diritto all'assistenza linguistica, in Dir. pen. proc., 2012, 4, 433 ss.

[21] Per questo rilievo, M. Gialuz, op. ult. cit., 434 (il quale cita C. Morgan, The new European directive on the rights to interpretation and translation in criminal proceedings, in Videoconference and Remote Interpreting in Criminal Proceedings, a cura di S. Braun e J. Taylor, Guildford, 2011). Dello stesso A. si veda, inoltre, Novità sovranazionali, in Proc. pen. e giust., 2011, n. 2, 9 ss.

[22] Nel nostro codice, il riferimento immediato è, come noto, l'art. 387, secondo cui la «polizia giudiziaria, con il consenso dell'arrestato o del fermato, deve senza ritardo dare notizia ai familiari dell'avvenuto arresto o fermo».

[23] Per tali, in ambito internazionale e anche, espressamente qui, si intendono i minori di diciotto anni.