ISSN 2039-1676


15 gennaio 2015 |

Liberazione anticipata speciale ''integrativa'': è concedibile il beneficio ai condannati 4-bis?

Tribunale di Sorveglianza di Catania, 8 ottobre 2014 (dep 10 ottobre 2014), Pres. ed Est. Marchionni

 

1. La pronuncia in esame si inserisce all'interno della tematica, attualmente assai controversa nella prassi, inerente alla concedibilità della liberazione anticipata speciale ai condannati per i delitti di cui all'art. 4-bis legge n. 354/1975 sull'ord. penit. nel caso di richiesta avanzata durante la vigenza dell'art. 4 d.l. n. 146/2013, poi non convertito in legge.

Com'è noto, l'art. 4, comma 4, d.l. 23 dicembre 2013, n. 146 estendeva i benefici della liberazione anticipata speciale (aumento, da 45 a 75 giorni per ogni semestre di pena scontata) anche ai condannati per reati di cui all'art. 4-bis ord. penit., sia per il futuro (per un periodo di due anni, «la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata prevista dall'ʹarticolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 è pari a settantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata», secondo il disposto dell'art. 4, comma 1, d.l. 146/13) che per il passato a decorrere dal 1° gennaio 2010», ex art. 4, comma 2, d.l. n. 146/13, liberazione anticipata "integrativa", ossia maggiorazione di giorni trenta per ogni semestre di liberazione anticipata ordinaria già concesso), a condizione che avessero «dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità».

Nel caso concreto, un detenuto, condannato in via definitiva per rapina aggravata, presentava istanza per ottenere la liberazione anticipata speciale integrativa, de praeterito, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 4 dell'art. 4 d.l. n. 146/2013.

Successivamente alla presentazione della domanda del detenuto, interveniva la legge di conversione (al d.l n. 146/2013) del 21 febbraio 2014 n. 10, che al primo comma dell'art. 4 ha premesso le parole: «Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti dall'art. 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni». La legge di conversione, quindi, prevede che ai condannati per taluni delitti (fra i quali quelli di cui all'art. 628, comma 3, c.p., presente nella specie), non si applichi de futuro la nuova detrazione di pena di 75 giorni, mentre (come autorevolmente sostenuto) mancando al comma 2 dell'art. 4 un'espressa ed apposita  clausola eccettuativa analoga a quella con cui si apre il primo comma, si dovrebbe ammettere che ai condannati ex art. 4-bis ord. penit. l'accesso al beneficio della liberazione anticipata "integrativa" anche per il triennio pregresso (Giostra, I delicati problemi applicativi di una norma che non c'è, in questa Rivista).

Il 15 maggio 2014 (dopo la conversione del d.l. n. 146/2013) il Magistrato di sorveglianza di Siracusa rigettava l'istanza di liberazione anticipata integrativa presentata dal condannato sotto la vigenza del d.l. n. 146/2013. Il detenuto proponeva reclamo sostenendo di godere delle previsioni dell'art. 4 comma 4 del d.l. stante la data di presentazione della domanda anteriormente alla legge di conversione e che avrebbe dovuto concedersi dal Magistrato di sorveglianza in presenza di un concreto recupero sociale.

Il Tribunale di sorveglianza etneo ritiene che la disposizione dell'art. 4, comma 4, del d.l. 146/2013, eliminata in sede di conversione, non può più applicarsi, e ciò a prescindere dalla data di presentazione della domanda da parte del condannato.

Ciò innanzitutto perché nel caso in esame non viene in rilievo l'art. 2 c.p. in materia di successione delle leggi penali nel tempo, non potendosi sostenere la natura sostanziale della disciplina invocata dal reclamante, in quanto sia la giurisprudenza della Corte costituzionale che quella della Corte europea dei diritti dell'uomo escludono che in materia di benefici penitenziari sia applicabile il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

Riconosciuta alla materia dell'esecuzione della pena natura "processuale", ne consegue che il principio che governa la scelta della norma applicabile vada correttamente identificato in quello di cui all'art. 11, comma 2, disp. prel. c.c., cd. tempus regit actum, escludendo per tale via l'ammissione del condannato al più favorevole trattamento in materia di liberazione anticipata previsto dal decreto legge non convertito, in legge, in quanto, al momento della decisione, la norma non era più in vigore per effetto della mancata conversione del decreto stesso sul punto.

In ogni caso - continua l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza catanese - qualora si volesse sostenere la natura sostanziale dell'art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013, come affermato da recente pronuncia della Suprema Corte, «la norma contenuta in un decreto legge non convertito non ha attitudine ad inserirsi in un fenomeno successorio quale quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p., ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali» [Cass. pen., 27 giugno 2014, (dep. 31 luglio 2014), Panno, pubblicata e commentata, se vis, dallo scrivente in Arch. pen., 2014, n. 3)].

Alle medesime conclusioni dell'ordinanza in commento giungono altre pronunce di merito che escludono la concessione della liberazione anticipata speciale ai condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis legge n. 354/1975 sull'ord. penit. nel caso di richiesta avanzata durante la vigenza dell'art. 4 d.l. n. 146/2013, poi non convertito in legge.

In particolare, Tribunale Sorv. Milano, ud. 30 giugno 2014, est. Panasiti, pubblicata in questa Rivista, e Trib. sorveglianza Torino, ord. 17 giugno 2014, affermano che le disposizioni dell'originario art. 4 d. l. n. 146 non potevano trovare applicazione alla data della pronuncia del provvedimento impugnato, essendo in quel momento in vigore il testo del decreto risultante dalle modifiche introdotte in sede di conversione; soprattutto, non può invocarsi l'art. 25 Cost., «perché codesta disposizione va posta in connessione con il fenomeno della successione di leggi penali nel tempo, mentre "la norma contenuta in un 'decreto legge non convertito' non ha attitudine, alla stregua del terzo ed ultimo comma dell'art. 77 Cost. ad inserirsi in un fenomeno 'successorio'" (Corte cost., sentenza 22 febbraio 1985, n. 51)».

 

2. A tale orientamento restrittivo se ne contrappone un altro, per la verità minoritario, seguito dal Magistrato di Sorveglianza di Vercelli che, con ordinanza del 19 giugno 2014, in questa Rivista, conclude per la concessione nel caso in decisione del beneficio della liberazione anticipata speciale, ritenendo la «necessità sotto il profilo costituzionale e convenzionale di applicare la legge più favorevole vigente al momento della presentazione dell'istanza di liberazione anticipata speciale, formulata da un condannato con riferimento a condizioni di ammissibilità e presupposti di concedibilità del beneficio stesso che si erano già compiutamente realizzati al momento dell'istanza stessa», in coerenza con il principio di divieto di regressione incolpevole del trattamento penitenziario e in ragione della legittima aspettativa del condannato nella concessione del beneficio richiesto.

Il percorso argomentativo seguito dal Giudice di Sorveglianza muove da una diversa interpretazione della sopra citata pronuncia della Corte Costituzionale n. 51/1985, la cui attenta lettura comporta l'impossibilità di applicare retroattivamente la norma penale più mite contenuta nel decreto legge non convertito "solo" ai fatti cosiddetti 'pregressi', ossia commessi antecedentemente l'entrata in vigore del decreto stesso. Ferma restando, al contrario, la necessità di applicare la norma più mite ai fatti cosiddetti 'concomitanti', ossia commessi sotto la vigenza del decreto, stante la prevalenza, sul disposto dell'art. 77, comma 3, Cost., del superiore ed irrinunciabile principio di irretroattività della legge penale più severa, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost. (Cecchini, 'Svuota-carceri' e liberazione anticipata speciale: decreto legge non convertito e successione di leggi penali nel tempo, in questa Rivista).

Perciò, «la norma del decreto legge - che prevedeva l'applicabilità universale dell'istituto temporaneo a tutti i detenuti meritevoli - andrebbe ciò nonostante applicata dal giudice ai "fatti concomitanti", che qui sono costituiti dalle situazioni soggettive (diritto alla detrazione di settantacinque giorni) maturate nell'arco temporale compreso tra l'entrata in vigore della norma e la sua mancata conversione in legge» (così, Bronzo, Problemi della «liberazione anticipata speciale», in Arch. Pen., 2014, n. 2). Cioè, a tutti i detenuti che in quel periodo abbiano acquisito il diritto allo sconto, avendo tenuto una condotta partecipativa all'opera di rieducazione durante i semestri di detenzione ai quali la previsione era allora riferibile, ossia quelli compresi tra il 1° gennaio 2010 e il 22 febbraio 2014 (giorno successivo alla pubblicazione della legge).

La rilevanza dell'art. 25, secondo comma Cost., non può dunque escludersi tout court (come sostenuto dalle pronunce di sorveglianza dell'opposto orientamento e da Cass. pen. 27 giugno-31 luglio 2014), sempre ed in ogni caso di decreto non convertito o convertito con emendamenti implicanti mancata conversione parziale. Qualora, come nel caso di specie, il condannato per un reato di cui all'art. 4-bis ord. penit. abbia maturato i requisiti per accedere alla liberazione anticipata speciale nella vigenza provvisoria del decreto legge n. 146/2013, si si avrà una ultrattività di una norma penale più favorevole - applicazione dello speciale beneficio di cui all'art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013 - successivamente estromessa dalla legge di conversione n. 10 del 2014.

La necessità di ancorare la soluzione sulla concessione o meno del beneficio premiale della liberazione anticipata integrativa ad un parametro più certo rispetto alla natura sostanziale o processuale o "terza" delle norme che incidono sulla qualità e quantità della pena nel corso della sua esecuzione (peraltro, come vedremo, in via di superamento grazie alle sollecitazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo), consiglia di far riferimento al principio del divieto della regressione trattamentale in assenza di motivi di demerito del condannato, sempre più frequentemente applicato nella giurisprudenza, anche costituzionale ed europea.

Il Magistrato di Sorveglianza di Vercelli evidenzia come, condividendo la tesi della non applicabilità del beneficio della liberazione anticipata speciale ai soggetti sopra menzionati, «si finisce per addossare ad un soggetto incolpevole carenze strutturali e organizzative degli uffici di sorveglianza, facendo dipendere l'esito della domanda dalla circostanza - del tutto casuale ed estranea alla volontà e alla capacità di controllo dell'interessato - che sia stata o meno decisa nell'ambito temporale di vigenza delle norme più favorevoli».

Nei fatti, la concessione della liberazione anticipata speciale, ammessa in vigenza del d.l. 146/2013, a favore di coloro che erano stati condannati per taluno dei delitti previsti dall'art. 4 bis ord. penit. era fondata sull'accertamento del proficuo percorso rieducativo compiuto dal condannato durante il periodo di detenzione: si fondava cioè su elementi già maturati al momento della decisione, riferendosi a semestri di esecuzione di pena già trascorsi.

Ci troviamo, dunque, dinnanzi a condannati meritevoli del beneficio già prima dell'entrata in vigore della modifica normativa in pejus. In tal senso si è espressa la giurisprudenza che, in tema di introduzione di norme legislative che modifichino restrittivamente la concessione dei benefici penitenziari, ne ha  negato l'applicazione nei confronti di coloro che, prima dell'entrata in vigore della disciplina più rigorosa, avessero utilmente raggiunto i risultati rieducativi richiesti per la concessione del beneficio (Cass., Sez. I, 21 gennaio 2010, n. 8092, Vizzini). Allo stesso modo, la Consulta ha ritenuto illegittime le norme restrittive sopravvenute nella parte in cui non prevedono che i benefici possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, ai condannati che «abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti» (Corte cost., n. 79/2007). La funzione rieducativa della pena, quindi - secondo la condivisibile  giurisprudenza della Corte costituzionale - comporta che il percorso trattamentale non possa subire regressioni non ascrivibili alla condotta del condannato.

Un corollario a tale principio di non regressione è legato all'esigenza di tutela della legittima aspettativa maturata dal condannato ai fini dell'accesso al beneficio, per il quale risultano integrati, al momento dell'istanza, tutti i presupposti e le condizioni di legge (richiamato sempre da Mag. Sorv. Vercelli, 19 giugno 2014).

 

3. Infine, la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui alle norme che presiedono all'esecuzione della pena non potrebbe riconoscersi natura sostanziale, ma solo processuale  sembra, invero, in crescente difficoltà di senso rispetto all'evoluzione dell'ordinamento.

Preziose indicazioni in tale direzione ci provengono proprio dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel caso Del Rio Prada c. Spagna, del 21 ottobre 2013 la quale ha stabilito che la modifica del sistema di imputazione delle riduzioni di pena, a seguito di un overruling interpretativo del Tribunale Supremo spagnolo che, dapprima, nel 1994, aveva ritenuto che la pena massima da scontare di trent'anni, a seguito del cumulo operato, in assenza di una specifica previsione normativa, era una «pena nuova e autonoma» sulla quale dovevano essere calcolate tutte le riduzioni previste dalla legge, e successivamente, nel 2006, calcolando le redención de penas por el trabajo (riduzione di pena per lavoro intramurario) non più sulla pena massima ma in successione su ciascuna delle singole pene irrogate, ha avuto l'effetto di modificare, a scapito della ricorrente (condannata per più delitti connessi ad attentati terroristici) la portata della pena inflitta, privando di ogni effetto utile il beneficio delle riduzioni di pena già accordate.

A tale proposito, i giudici europei ricordano che se gli Stati sono liberi di modificare la loro politica criminale rafforzando soprattutto la repressione di crimini e delitti, resta il fatto che essi devono rispettare le norme contenute nell'art. 7 CEDU che proibisce in maniera assoluta l'applicazione retroattiva del diritto penale in malam partem.

Poiché nel momento in cui sono state pronunciate le condanne per la ricorrente e in cui quest'ultima ha ricevuto la notifica del provvedimento di cumulo e fissazione della durata massima della pena, non era ragionevolmente "prevedibile" alcuna tendenza nell'evoluzione della giurisprudenza che andasse nella direzione del Tribunale Supremo del 2006, vi era stato nel caso di specie la violazione del principio nulla poena sine lege. L'elaborazione della doctrina Parot ha pertanto comportato un prolungamento della pena imprevedibile da parte della ricorrente e che pertanto tale revirement deve essere considerato alla stregua di una violazione del principio di legalità, al pari di una riforma legislativa retroattiva.

Infatti, la nuova interpretazione delle modalità applicative del beneficio della redención de penas accolta dal Tribunale Supremo nel 2006 che, di fatto, si risolve in un sensibile allungamento (retroattivo) della pena e che - data la sua applicazione generalizzata a determinate categorie di detenuti (soprattutto esponenti di terrorismo separatista) e la "vicinanza" con la riforma del 2003 che per tali soggetti portava il limite massimo della reclusione da trenta a quarant'anni - «pare effettivamente mascherare un inasprimento "postumo" della pena» (Mazzacuva, La materia penale e il "doppio binario" della Corte europea: le garanzie al di là delle apparenze, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1939).

Anche se nel nostro caso non si tratta di successione tra norme nel tempo ma di "alternatività sincronica", non si può impedire, come detto, l'applicazione giudiziale di una tal norma ai fatti "concomitanti", commessi cioè nelle more tra il decreto e la legge di conversione, ostandovi il principio di irretroattività ex art. 25, co. 2, Cost.; quest'ultimo, in quanto collegato alla salvaguardia del diritto inviolabile alla libertà personale, ha un rilievo prevalente rispetto ai principi attinenti la forma di governo (Bronzo, Problemi della «liberazione anticipata speciale», cit.).

Come ricorda Autorevole dottrina «È pur vero che sinora la Corte ha affermato il principio con riguardo al fenomeno della successione di norme nel tempo, ma la irrinunciabile esigenza ad esso sottesa, di non frustrare i positivi esiti dell'opera rieducativa, induce a ritenere che la Corte manterrebbe un simile orientamento anche là dove la più restrittiva norma sopravveniente fosse contenuta in una legge di conversione, come nel caso di specie» (Giostra, I delicati problemi applicativi di una norma che non c'è, cit).

 

4. Dunque, contrariamente a quanto statuito dalla pronuncia in commento (e come sembra evincersi dallo stesso tenere letterale delle disposizioni contenute nell'art. 4 del d.l. n. 146/13 e in quelle di modifica della sua conversione in legge n. 10/2014) è preferibile ritenere  che anche ai condannati per i reati descritti nell'art. 4-bis ord. penit. vada riconosciuto il diritto al beneficio della liberazione anticipata speciale, de praeterito, quando ne abbiano maturato i requisiti prima dell'entrata in vigore della legge. E ciò a prescindere dalla circostanza che la relativa istanza sia stata già avanzata nella vigenza del decreto legge o venga presentata dopo la sua conversione.

La disciplina della legge di conversione, nella parte in cui esclude dalla maggiorazione i detenuti assoggettati al regime dell'art. 4-bis, sarebbe dunque applicabile unicamente ai semestri successivi all'entrata in vigore della legge stessa.

Maggiore coraggio, in definitiva, si chiede alla magistratura di sorveglianza nell'emettere pronunce "scomode" all'opinione pubblica ma rispettose del principio di legalità della pena (art. 25 Cost.), anche a favore di condannati del binario restrittivo ex art. 4-bis ord. penit.. Magistratura di sorveglianza che ha il delicato compito di accompagnare il condannato nel percorso rieducativo ex art. 27, comma 3, Cost., (che non può regredire senza sue colpe) e di non vedere frustrata la sua legittima aspettativa a non vedere nullificati da una legge successiva gli sforzi trattamentali già realizzati. Ciò anche per l'esigenza di rispetto del canone di razionalità, coerenza e ragionevolezza che l'art. 3 Cost. impone ai revirement del legislatore (sempre più emotivo) e che sembra trovare un contraltare nei principi affermati dalla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

 

5. La questione di legittimità costituzionale dell'esclusione per i condannati ex art. 4-bis ord. penit. dalla liberazione anticipata speciale è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Suprema Corte [Cass. pen., 27 giugno 2014, (dep. 31 luglio 2014), Panno,]. Dopo aver ricordato che, riferendosi il ricorso a un condannato per il reato di associazione di tipo mafioso, la questione sarebbe rilevante nel caso in esame solo con riferimento ai condannati per i reati di cui all'art. 416-bis c.p., la sentenza afferma che quella descritta dall'art. 4, d.l. n. 146 del 2013 è, per l'appunto, una disciplina "speciale" (che estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati) e di "favore" (che amplia a certe condizioni gli effetti di favore, escludendo però i condannati per detto reato associativo).

È agevole quindi l'osservazione che, trattandosi di disposizione speciale di favore, intanto sarebbe possibile porre un problema di irragionevole diversità di trattamento in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe differentemente e meglio trattate, da porre quali tertia comparationis appropriati. E pur poggiandosi l'esclusione della misura alternativa alla "presunzione di pericolosità", il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso ha natura e connotazioni di immanente pericolosità di tale peculiarità che nessun termine di paragone con i delitti non compresi nella fascia di eccezione risulta utilmente istituibile e consente, d'altro canto, di escludere che l'eccezione prevista dalla disposizione speciale di favore possa essere ritenuta irragionevole e di per sé in contrasto con l'art. 27 Cost.

Tali rilievi pongono in dubbio la compatibilità costituzionale della mancata estensione del beneficio a talune categorie di condannati per reati meno gravi tra quelli inseriti nell'art. 4-bis ord. penit..

Appare evidente che il perseguimento delle esigenze di tutela della sicurezza pubblica, sottese all'esclusione del beneficio per taluni condannati, avviene attraverso un'esclusione assoluta e condizionata che accomuna tutti i condannati per i delitti elencati nell'art. 4-bis, tanto diversi tra loro, senza gradazioni né ambiti di apprezzamento giudiziale (Bronzo, Problemi della «liberazione anticipata speciale», cit.), rendendo così irragionevole sotto il profilo dell'art. 3 Cost. l'attuale disciplina.