ISSN 2039-1676


19 febbraio 2015 |

Pene 'incostituzionali' relative alle droghe 'leggere' e rideterminazione: a proposito di una pronuncia della Prima sezione penale

Cass. pen, sez. I, 22 dicembre 2014 (dep. 30 dicembre 2014), n. 53793, Pres. Siotto, Rel. Rocchi.

1. La sentenza in esame concerne il problema della rideterminazione in sede esecutiva delle pene per reati riguardanti droghe "leggere" e divenute definitive prima della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità della cornice edittale sulla base della quale tali pene sono state stabilite[1]. Come noto, dall'incostituzionalità della riforma "Fini-Giovanardi" del 2006, con cui era stato notevolmente inasprito il trattamento sanzionatorio previsto per le condotte illecite relative alle droghe "leggere"[2], è conseguita la reviviscenza della più mite disciplina previgente.

La sentenza della Prima sezione penale della Cassazione riguarda il caso di un condannato alla pena di due anni e otto mesi di reclusione per la detenzione di sostanza stupefacente rientrante nelle droghe leggere (canapa indiana) che aveva presentato istanza al Tribunale di Milano in funzione di giudice dell'esecuzione per la rideterminazione della pena. Il giudice rigettava l'istanza in ragione del supposto vincolo del giudicato; il condannato proponeva ricorso per cassazione.

 

2. Non stupisce che la Prima sezione penale abbia annullato l'ordinanza impugnata. Con le sentenze "Ercolano" [Cass., Sez. un. pen., 24.10.2013 (dep. 7.5.2014), n. 18821, su cui v. F. Viganò, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni Unite che chiude la saga dei "fratelli minori" di Scoppola, in questa Rivista, 12 maggio 2014] e "Gatto" [Cass., Sez. un. pen., 29.5.2014 (dep. 14.10.2014) n. 42858, su cui v. G. Romeo, Le Sezioni unite sui poteri del giudice di fronte all'esecuzione di pena "incostituzionale", in questa Rivista, 17 ottobre 2014; S. Ruggeri, Giudicato costituzionale, processo penale, diritti della persona, in questa Rivista, 22 dicembre 2014], le Sezioni unite hanno superato un precedente contrasto giurisprudenziale facendo proprio l'orientamento secondo cui gli effetti retroattivi dell'illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale diversa da quella incriminatrice non trovano il limite del giudicato, ma solo quello della totale espiazione della pena: finché la pena è in corso di esecuzione, devono essere rimosse tutte le conseguenze derivanti dall'applicazione della norma penale incostituzionale.

La sentenza "Gatto" ha infatti affermato il principio di diritto, testualmente richiamato nella pronuncia in esame, per cui "successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione". Non possono sorgere dubbi che tale principio, pur enunciato in una sentenza avente ad oggetto una situazione diversa[3], sia applicabile anche nel caso delle condanne definitive per droghe "leggere". Può tuttavia essere notato che l'ordinanza del Tribunale di Milano risale al 15.5.2014 e dunque precede di circa 15 giorni l'informazione provvisoria della sentenza "Gatto" (le cui motivazioni sono state depositate nell'ottobre 2014).

Coerentemente all'orientamento delle Sezioni unite, la Prima sezione penale ritiene che nel caso in questione debba trovare applicazione l'art. 30, comma 4 della L. n. 87/1953 (secondo cui "quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali"), interpretato nel senso che il concetto di "norma dichiarata incostituzionale" ricomprende anche le norme penali sostanziali diverse da quella incriminatrice che abbiano inciso sulla determinazione della pena.

 

3. Ai fini del dibattito giurisprudenziale in corso e considerando che, in astratto, il principio della permeabilità del giudicato alle istanze di legalità della pena non sembra poter più essere negato, è forse di maggiore interesse la seconda parte del provvedimento, in cui si affronta la questione dell'intervento che il giudice dell'esecuzione è chiamato a porre in essere.

La sentenza in esame non motiva sulla competenza del giudice dell'esecuzione, che è infatti un punto non controverso: pur in mancanza di una attribuzione espressa, si ritiene pacificamente che tale organo abbia il compito di decidere su tutte le questioni relative al rapporto esecutivo[4]. Tuttavia è attualmente controversa la questione dell'ampiezza dei poteri che il giudice dell'esecuzione può e deve esercitare nell'ambito della rideterminazione della pena: la norma su cui tale facoltà viene fondata (il citato art. 30, c. 4 della L. 87/1953) si limita infatti a indicare il caso in cui ciò può avvenire, ma è muta quanto alle modalità da seguire in concreto per la nuova commisurazione della pena.

Come già rammentato dalle pagine di questa Rivista (Sulle pene 'incostituzionali' in materia di droga si pronunceranno le Sezioni unite, 19 gennaio 2015), sulla questione in esame si riscontra attualmente una diversità di orientamenti sotto due aspetti: in primo luogo, in relazione alla possibilità di rideterminare la pena quando questa risulti comunque già compatibile con i limiti edittali oggi vigenti; in secondo luogo, in relazione ai criteri con cui deve essere operata la rideterminazione. Con la sentenza in esame, la Prima sezione penale della Cassazione prende una posizione precisa su entrambi gli aspetti.

 

4. Coerentemente con l'indirizzo fatto proprio dalle Sezioni Unite, la Prima sezione ritiene che il giudice dell'esecuzione sia tenuto a compiere due valutazioni successive.

In primo luogo, il giudice deve verificare la "incidenza concreta della decisione irrevocabile, all'atto della domanda, sulla libertà personale per essere in effettiva esecuzione la pena derivante - anche in parte - da norma di diritto sostanziale dichiarata incostituzionale"; si tratta, cioè, di verificare che la pena (o la parte di pena) di cui si richiede la rideterminazione non sia stata completamente eseguita, il che renderebbe gli effetti della sentenza irreversibili e, dunque, non più rimuovibili nonostante la sopravvenuta incostituzionalità della norma penale sostanziale. Infatti, la norma che legittima l'intervento in fase esecutiva (il già richiamato art. 30, c. 4 della L. 87/1953) prevede espressamente la "cessazione dell'esecuzione" della pena, da intendersi riferita - nei casi come quello in esame - alla quota di pena eccedente la misura legittima: se l'esecuzione è già terminata per integrale espiazione della pena, non c'è intervento che il Giudice dell'esecuzione possa porre in essere[5].

 

5. In secondo luogo, qualora la prima valutazione abbia dato esito positivo, il giudice dell'esecuzione deve procedere alla "ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile nel senso della "concreta incidenza" sul trattamento sanzionatorio determinato in sede di cognizione della specifica norma (...) dichiarata incostituzionale, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio, tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto da parte del giudice della cognizione nonché delle norme applicabili al momento della decisione in punto di commisurazione della sanzione". Questo passaggio riassume più aspetti di notevole importanza, che sono successivamente precisati dalla pronuncia in parola.

Quanto alla concreta incidenza della norma incostituzionale, la Prima sezione osserva che l'incostituzionalità dichiarata con la sentenza n. 32/2014 (che precisamente ha sancito l'illegittimità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del D.L. n. 272/2005, convertito con modificazioni in Legge n. 49/2006) ha colpito un intervento di complessiva riforma dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, con conseguente e automatica riespansione (rectius, reviviscenza) della previgente disciplina, certamente più favorevole al reo per la drastica riduzione dei minimi e massimi edittali. La Prima sezione ritiene che ciò sia sufficiente per considerare che siano viziate tutte le condanne per i fatti commessi durante la vigenza della norma illegittima e divenute definitive prima della declaratoria di incostituzionalità: "risulta in ogni caso "illegale" il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite concernenti le droghe c.d. "leggere" (...) atteso che, in relazione a tali sostanze, l'intervento normativo dichiarato illegittimo aveva comportato (...) un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione detentiva".

È chiaro che, seguendo questa impostazione, il solo fatto che le cornici edittali introdotte con la riforma "Fini-Giovanardi" fossero illegittime e non sovrapponibili a quelle che sono state ripristinate rende automaticamente "illegali" tutte le condanne definitive, senza che sia necessario valutare caso per caso se le singole pene irrogate siano o meno compatibili con la normativa ritornata in vigore. La Prima sezione postula dunque un concetto di pena illegale in astratto[6], per cui l'illegalità discende non da un superamento dell'attuale e ripristinato limite massimo (come invece richiedere il concetto di pena illegale in concreto), bensì dal fatto che in ogni caso si tratta di "pena determinata sulla base di una forbice edittale dichiarata illegittima"[7] e nettamente più sfavorevole.

 

6. La Prima sezione esclude dunque che la rideterminazione possa essere limitata a una mera sottrazione del quantum di pena eccedente i limiti massimi vigenti. Né viene accolta l'ipotesi di effettuare una proporzione matematica fra i vecchi e i nuovi estremi della cornice edittale, in modo da riprodurre la medesima collocazione della pena concretamente inflitta nell'arco compreso tra il minimo e massimo della pena alla luce della normativa ripristinata dalla Corte costituzionale.

La soluzione qui seguita parte invece dalla considerazione che la commisurazione della pena "è frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie, con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il minimo e il massimo edittale", per cui "il profondo mutamento di "cornice" derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria (...) una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il giudice dell'esecuzione deve compiere tenendo conto del "fatto", così come accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici espressi da tale giudice (...) trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio legislativo (legge del 2006)". Dunque, il giudice dell'esecuzione è chiamato a una rivalutazione che, pur dovendo basarsi sui fatti accertati in via definitiva dal giudice della cognizione, implica una nuova determinazione della pena "tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio (tra cui quello per cui non può essere aumentata l'afflittività della pena stabilita nella sentenza di condanna)". Il che non esclude, dunque, che il giudice dell'esecuzione possa stabilire una pena in proporzione più distante dal minimo edittale rispetto a quella precedentemente stabilita in sede di cognizione, fermo restando che in termini assoluti essa non possa essere aumentata.

 

7. Si tratta di una soluzione che ci pare spiccatamente a tutela della libertà personale del condannato, a cui con la nuova determinazione della pena viene riconosciuto un trattamento sanzionatorio pienamente conforme al quadro edittale ripristinato dalla Corte costituzionale.

Non si tratta del resto di un orientamento nuovo, come emerge da vari provvedimenti già pubblicati precedentemente su questa Rivista: Trib. Treviso, ud. 18 giugno 2014, Giud. Vettoruzzo, con annotazione di A. Della Bella, Rideterminazione della pena in materia di stupefacenti: quali i poteri del giudice dell'esecuzione? pubblicata in data 23 giugno 2014; GIP Trib. Pisa, 15 aprile 2014, giud. Bufardeci, con annotazioni di M. C. Ubiali, Dichiarazione di incostituzionalità della disposizione più sfavorevole: il giudice dell'esecuzione ricalcola la pena, pubblicata in data 11 maggio 2014; Trib. Trento, Sez. Incidenti esecuzione, 18 aprile 2014, (ord.) Giud. Ancona con annotazione di N. Canzian, Il (superato) limite del giudicato e l'ampiezza dei poteri del giudice dell'esecuzione a fronte dell'incostituzionalità della cornice edittale: prime pronunce a seguito della sent. n. 32/2014, pubblicata in data 15 maggio 2014.

Per il diverso orientamento che limita l'intervento del giudice dell'esecuzione alla sola non eseguibilità della pena nella misura superiore al nuovo limite edittale massimo, si segnala invece Trib. Milano, Sez. XI pen., 3 aprile 2014, (ord.) Giud. Cotta, con annotazione di N. Canzian, Il (superato) limite del giudicato e l'ampiezza dei poteri del giudice dell'esecuzione a fronte dell'incostituzionalità della cornice edittale: prime pronunce a seguito della sent. n. 32/2014, pubblicata in data 15 maggio 2014. Per l'ulteriore differente orientamento secondo cui il Giudice dell'esecuzione è chiamato a una rideterminazione della pena in misura aritmeticamente corrispondente a quella effettuata in sede di cognizione, si veda Trib. Bologna, ud. 27 maggio 2014, Giud. Giangiacomo e il relativo commento di M. De Micheli, La declaratoria di illegittimità della legge Fini-Giovanardi e la rideterminazione della pena irrogata con sentenza irrevocabile, pubblicato su questa Rivista in data 15 ottobre 2014 (con puntuale disamina dei vari indirizzi emersi nella prassi giurisprudenziale).

Al momento si assiste dunque a una inconciliabile pluralità di indirizzi, dovuta sostanzialmente alla mancanza di una disposizione processuale che preveda in modo espresso il potere di rideterminare la pena definitiva a seguito di incostituzionalità sopravvenuta di una norma penale sostanziale diversa da quella incriminatrice.

Un problema in parte analogo si presenta per le sentenze di applicazione concordata della pena ex art. 444 c.p.p., per cui si assiste a due indirizzi che divergono sulla qualificazione di pena "illegale" - se cioè essa discenda automaticamente dall'applicazione della cornice edittale incostituzionale o se invece derivi da un superamento del tetto massimo di pena attualmente previsto; tale distinzione, come visto in precedenza, è rilevante anche ai fini della rideterminazione in fase esecutiva.

 

8. I contrasti interpretativi in corso saranno comunque affrontati nella ormai prossima udienza delle Sezioni unite del 26 febbraio 2015 (per una disamina delle numerose questioni che le Sezioni Unite saranno chiamate a risolvere si rinvia al già menzionato contributo Sulle pene 'incostituzionali' in materia di droga si pronunceranno le Sezioni unite, in questa Rivista, 19 Gennaio 2015); in specie, particolare importanza riveste il ricorso assegnato direttamente dal primo Presidente e concernente la duplice questione della necessità o meno di rideterminazione della pena in sede esecutiva e del criterio da seguire nella rideterminazione.

 

 


[1] Per un commento alla sentenza n. 32/2014 si segnala V. Manes-L. Romano, L'illegittimità costituzionale della c.d. "Fini-Giovanardi": gli orizzonti attuali della democrazia penale, in questa Rivista, 23 marzo 2014.

[2] Per le condotte illecite legate alle droghe "leggere" la riforma del 2006 aveva portato il minimo edittale da 2 a 6 anni di reclusione e il massimo da 6 a 20 anni di reclusione; per la condotta attenuata, il minimo era stato innalzato da 6 mesi a un anno di reclusione e il massimo da 4 a 6 anni di reclusione.

[3] La sentenza "Gatto" riguarda la caducazione del divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4 c.p. a seguito della sentenza n. 251/2012 della Corte costituzionale.

[4] Cfr. le motivazioni della sentenza "Gatto", in specie cons. in diritto, punto 7.

[5] Al riguardo, nella Sentenza "Gatto" si osserva che "tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure parzialmente, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere rimossi dall'universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati" (cons. in diritto, p. 5.2).

[6] Per i concetti di "pena illegale in astratto" e "pena illegale in concreto" si veda G. Riccardi, Giudicato penale e "incostituzionalitàÌ€" della pena. Limiti e poteri della rideterminazione della pena in executivis in materia di stupefacenti, in questa Rivista, 26 gennaio 2015, pp. 15 ss.

[7] Così testualmente G. Riccardi, Giudicato penale e "incostituzionalitàÌ€" della pena, cit., p. 15.