La sentenza annotata, che può leggersi in allegato, si segnala per l’interessante motivazione posta dalla Cassazione a fondamento della ritenuta legittimità dell’utilizzo di espressioni quali "xenofobo", "razzista", "antisemita" nei confronti di un’organizzazione – Forza Nuova – che si dichiara “fascista”, alla luce dell’intima connessione, di matrice storica, sussistente tra la qualità di fascista e i predetti connotati.
Prima di analizzare nel dettaglio le questioni di diritto affrontate dalla Corte pare opportuno soffermarsi sulla vicenda dalla quale esse sono scaturite.
Il caso in questione origina da un articolo, pubblicato nella sezione locale di un quotidiano a tiratura nazionale, in cui erano riportate le dichiarazioni rilasciate dal vicepresidente della Provincia di Roma a commento di un’iniziativa – nella specie, un corteo presso le vie di un quartiere romano – promossa da Forza Nuova.
Le dichiarazioni del politico, particolarmente critiche sull’iniziativa, si chiudevano apostrofando l’organizzazione in questione come ”chiaramente fascista” e portatrice di valori (sic) quali “la xenofobia, il razzismo, la violenza e l’antisemitismo”.
Il giornalista autore dell’articolo e l’uomo politico venivano chiamati a rispondere del delitto di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 co. 1, 2, 3 c.p. in relazione all’art. 13 l. n. 47/48), mentre il direttore responsabile della testata era accusato di omesso controllo sulla pubblicazione ex art. 57 c.p., in relazione al medesimo delitto.
All’esito dell’udienza preliminare, il Giudice di primo grado pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati. Il direttore della testata veniva prosciolto perché il fatto non sussiste; il politico ed il giornalista, per contro, erano mandati assolti perché il fatto non costituisce reato: ciò in quanto, con riguardo al giornalista, si ritenevano ricorrenti gli estremi dell’esimente del diritto di cronaca; in relazione alla posizione del dichiarante (cioè dell'uomo politico), per contro, il giudice valorizzava l’esercizio del diritto di critica politica, osservando l’organo giudicante che la sussistenza di detta scriminante prescinde dall’obiettiva verità dei fatti oggetto della contestazione.
Il PM ricorreva per cassazione, lamentando l’errata interpretazione ed applicazione degli articoli 51 c.p. e 21 della Costituzione in relazione all’esercizio del diritto di critica politica. La parte ricorrente sosteneva che il limite della verità dei fatti è da ritenersi sempre operante, anche con riguardo alla critica politica: il travalicamento di detta soglia, infatti, costituirebbe una pura e semplice aggressione all’altrui reputazione.
La Cassazione ha rigettato il ricorso.
L’iter motivazionale della sentenza annotata può essere così compendiato: l’esercizio della critica politica muove da presupposti ed è sottoposto a limiti differenti dal diritto di cronaca, poiché “la critica, in quanto espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica”.
Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica politica va ricercato, piuttosto che nell’intrinseca veridicità delle affermazioni, nella tutela dell’altrui dignità, posto che l’esercizio di tale diritto non può tradursi in occasione per infliggere attacchi gratuiti ed aggressioni ingiustificate.
D'altra parte, la pronuncia è in linea con l'orientamento della Cassazione (cfr. Cass. Sez. 5, 8.1.2010, n. 10449, rv. 247132) che, specificamente in relazione all'accostamento del movimento Forza Nuova (che dichiaratamente si ispira all'ideologia fascista) al razzismo e alla xenofobia, aveva già avuto modo di precisare che “la qualità di fascista non può essere depurata dalla qualità di razzista e ritenersi incontaminata dall’accostamento al nazismo, il che fornisce base di verità alle espressione di critica”.
Il piano di valutazione è, naturalmente, quello storico, afferente ai valori significanti dell’organizzazione politica fascista. A tal riguardo, la Corte osserva altresì che, “sempre in dimensione storica, qualifiche di xenofobia, razzismo, violenza ed antisemitismo attengono a principi o valori intimamente connaturati e strutturalmente coessenziali all’ideologia fascista”, anche alla luce dell’assetto normativo vigente durante il ventennio fascista.