10 luglio 2014 |
Sara Turchetti, Cronaca giudiziaria e responsabilità penale del giornalista, Dike, Roma, 2014, pp. 285
Presentazione del libro
C'era una volta «il giro della morte» che, nei Luna Park di quando si era bambini, spericolati centauri avviavano con studiata coreografia dal basso di una grande struttura conica circondata dalle tribune, per poi dosare il gas e girare lentamente in circolo, e con le moto cominciare a salire, e salire ancora, e salire di più, fin quando, tenuti in equilibrio dalle forze centripeta e centrifuga, per qualche istante diventavano quasi orizzontali agli spettatori sfiorati sui sedili. Come questi centauri che nel "giro della morte" non potevano permettersi di sbagliare il dosaggio dell'acceleratore, anche i giornalisti, se danno troppo poco gas alla loro ricerca di notizie, rischiano di cadere risucchiati dalla concorrenza di chi vi arriva prima e meglio di loro, ma se danno troppo gas rischiano di perdere il controllo e decollare, facendo male molto a se stessi e più ancora agli spettatori-lettori in tribuna.
Sara Turchetti, con questo volume che spazia dagli approdi della Cassazione alle linee di tendenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, dallo sterminato e curioso universo delle diffamazioni sino alle multiformi incarnazioni della privacy, offre una cassetta degli attrezzi multiuso per i «centauri» di almeno tre scuderie. È un testo fondamentale certamente per i giornalisti, non poco bisognosi di slalom utili a portare a casa la pelle tra chi li insegue con il mattarello di querele penali e azioni civili non di rado temerarie. È un libro prezioso per gli avvocati e i magistrati, alle prese tutti i giorni (sebbene su versanti diversi) con una materia che vive più di giurisprudenza che di normativa. Ed è un volume importante soprattutto per l'opinione pubblica, perché il diritto (dei giornalisti) di informare è solo l'altra faccia del diritto (dei cittadini) a essere informati.
Con una conseguenza di ecologia professionale: se infatti questo libro diventerà la bussola per gli operatori del settore alla ricerca di quella «verità» apparentata da Kafka a «una isola circondata da un ampio e tempestoso oceano, sede propria della parvenza dove vari banchi di nebbia e masse di ghiaccio che tosto si fonde simulano la presenza di nuove terre, ingannando con vuote speranze il navigante che gira intorno per fare nuove scoperte», la minuziosa e perfino implacabile disamina giurisprudenziale di Sara Turchetti mette i giornalisti anche davanti alle responsabilità incombenti sul loro operato, proporzionalmente corrispondenti alla libertà di manovra tante volte (qualcuna a sproposito) invocata. E nessun giornalista serio può dire di aver bisogno di aspettare chissà quale futuribile Norimberga del giornalismo per sapere, in cuor suo, quanto sia drammaticamente calzante anche al proprio lavoro la spietata sincerità di Nietzsche: «"Io l'ho fatto", dice la mia memoria. "Io non posso averlo fatto", dice il mio orgoglio. Alla fine è la memoria ad arrendersi».
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