ISSN 2039-1676


14 maggio 2011 |

Sulla sussistenza della scriminante del diritto di cronaca giudiziaria in relazione al reato di diffamazione

Nota a Cass. pen., sez. V, 27-10-2010 (dep. 01-02-2011), n. 3674, Pres. Calabrese, Rel. Bevere

 
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione conferma la pronuncia della Corte d'Appello di Roma, che aveva dichiarato estinto per prescrizione il reato di diffamazione in capo ad un giornalista. Il fatto oggetto del giudizio è la pubblicazione di un articolo in cui l'imputato aveva riportato dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia nell'ambito di indagini circa finanziamenti mafiosi al gruppo Fininvest, corredate da ulteriori dichiarazioni rilasciate – al di fuori delle indagini – da altri soggetti coinvolti dall'inchiesta.
 
L'imputato aveva proposto ricorso per cassazione lamentando che la Corte, pur dichiarando la sussistenza del requisito di “veridicità della notizia” (da intendersi come corrispondenza tra il contenuto della dichiarazione resa nell'ambito di un'indagine giudiziaria ed il testo dell'articolo, non esteso invece alla veridicità di quanto riferito dal dichiarante), non avesse riconosciuto, ex art. 129 comma 2 c.p.p., l'evidente sussistenza dell'esimente del diritto di cronaca.
 
La Corte d'Appello aveva infatti ritenuto che le dichiarazioni “ulteriori riportate nell'articolo, rese al di fuori dell'indagine giudiziaria, fossero dirette “ad avvalorare la credibilità del dichiarante, realizzando la funzione di riscontro, che deve essere rimessa all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria”, ed aveva dunque escluso la configurabilità della scriminante (quantomeno sotto il profilo della “prova evidente”). A parere del ricorrente, invece, deve essere considerato esercizio del diritto di cronaca anche il riportare fedelmente dichiarazioni rese al di fuori del procedimento ma collegati all'indagine oggetto dell'articolo.
 
La Cassazione respinge il ricorso, dichiarando “pienamente condivisibile” la sentenza impugnata.
 
Conformandosi all'orientamento interpretativo prevalente, la Corte riconosce al diritto di cronaca giudiziaria la natura di diritto pubblico soggettivo, relativo “alla libertà di pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell'ambito della vita associata”. Più in dettaglio, ne individua il fondamento nell' “interesse dei cittadini essere informati su eventuali violazioni di norme penal[i] e civili, [nel] conoscere e controllare l'andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello stato dinanzi all'illegalità, onde potere effettuare consapevoli valutazioni sullo stato delle istituzioni e sul livello di legalità caratterizzante governanti e governati”, nonché nel “diritto della collettività [di] ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita sociale, politica o giudiziaria” (come, del resto, nel caso di specie).
 
Sulla base del diritto di cronaca giudiziaria viene dunque meno, per il soggetto sottoposto ad indagini giudiziarie o a processo, il diritto alla tutela della propria reputazione. Ciò, tuttavia, solamente ove siano rispettati i limiti del diritto di cronaca.
 
Oltre a richiedere il rispetto dei “tradizionali” limiti di tale scriminante (quali la verità o il serio accertamento della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto; la correttezza delle modalità espressive della notizia, che devono rispettare i limiti dell'obiettività), la Corte specifica che, nel peculiare campo dell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, costituisce legittimo esercizio di tale diritto solamente riportare i fatti ed i giudizi critici correlati allo svolgimento del procedimento; in sostanza, solamente “riferire atti di indagini e atti censori provenienti dalla pubblica autorità.
 
Il giornalista, insomma, non può legittimamente “effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività”. Infatti, il diritto di cronaca costituisce “diritto/dovere di narrare fatti già accaduti”; non è lecito invece confondere cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire”, prospettando l'esito delle indagini “in chiave colpevolista, e proponendo in sostanza ai cittadini “un processo agarantista, dinanzi al quale il cittadino interessato ha, come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione”.
 
Nel caso di specie, la Corte rileva che l'imputato ha condotto un'autonoma investigazione, pubblicando un testoche non si limita a riprodurre asetticamente alcune dichiarazioni rese nelle indagini giudiziarie, ma che costituisce “un articolato discorso che, comprendendo altri dati storici, tende inequivocabilmente a sostenere la verità del contenuto di queste, a fronte di indagini in corso proprio per l'accertamento di questa verità”.
 
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La decisione della Corte è in questo senso conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema, secondo cui l'autonoma valutazione “anticipatoria di futuri ed eventuali accertamenti” da parte del giornalista fa venir meno la configurabilità della scriminante del diritto di cronaca giudiziaria (cfr., recentemente, Cass. pen. sez. V, n. 7103, del 17.11.2010). La Cassazione ha più volte affermato, infatti, che la cronaca giudiziaria è lecita quando si limiti “a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sè ovvero a riferire o commentare l'attività investigativa o giurisdizionale” (si v. ad esempio Cass. pen., sez. I, n. 7333, 28.01.2008).
 
Ove invece i limiti dell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria siano superati, ed in particolar modo quando “le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario vengano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti ed autonomamente offensive”, la prevalente giurisprudenza di legittimità richiede, perché la condotta venga comunque scriminata sulla base del diritto di cronaca, che il giornalista si assuma “direttamente l'onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza (così Cass. pen. 7333/2008, cit.).
 
Nella sentenza in commento, tuttavia, la Corte sembra allontanarsi, sotto questo profilo, dai citati precedenti di legittimità; forse anche perché nel caso di specie ciò che è in discussione è solamente l'evidenza della sussistenza della scriminante. Infatti, una volta accertato che l'articolo pubblicato dall'imputato è il risultato di una autonoma investigazione, e che vi sono narrati fatti non veri, la Suprema Corte non ritiene necessario valutare se il giornalista abbia o meno diligentemente verificato l'attendibilità delle informazioni riportate, e ne abbia provato la pubblica rilevanza, per escludere l'evidenza della causa di giustificazione. Più precisamente, riprendendo le parole della Corte, “l'assenza di verità dei fatti narrati – finanziamenti di provenienza mafiosa all'ascendente manager dell'informazione e del trattenimento televisivi – comporta l'evidente carica diffamatoria della narrazione e la totale assenza di evidenza del corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria”.