ISSN 2039-1676


15 febbraio 2016 |

Reformatio in peius in appello in violazione del diritto all'equo processo (art. 6 CEDU): alle Sezioni Unite stabilire se la questione sia rilevabile d'ufficio

Cass, Sez. II, ord. 26 ottobre 2015 (dep. 20 gennaio 2016), n. 2259, Pres. Fiandanese, Rel. Recchione

 

1. Il rispetto dei parametri di legalità convenzionale scolpiti dalla giurisprudenza europea, compatta nell'esigere che il giudice d'appello, qualora intenda condannare l'imputato assolto in primo grado, riassuma la prova dichiarativa[1], funge da detonatore per un contrasto interpretativo "collaterale" in ordine all'ampiezza dei poteri cognitivi del giudice di legittimità. Il tema, che affonda senza dubbio le radici nelle dinamiche del giudizio di seconde cure - segnatamente, nelle regole che governano la rinnovazione probatoria (art. 603 c.p.p.)[2] - disvela subito un più ampio orizzonte argomentativo capace di irradiare con rinnovato vigore la mutevole trama dei rapporti tra diritto europeo e giustizia penale. È infatti noto che la Corte di cassazione conosce il procedimento limitatamente ai motivi proposti (art. 609 comma 1 c.p.p.), con il supplemento decisorio delle «questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo» e di «quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello» (art. 609 comma 2 c.p.p.). Se, tuttavia, si conviene sull'indiscusso valore da riconoscere alle decisioni della Corte di Strasburgo - incluse quelle che dichiarano iniquo il processo allorché il giudice dell'impugnazione, nel rovesciare la pronuncia assolutoria, decida sul merito senza assistere all'assunzione delle prove dichiarative -  si tratta di verificare se il vincolo di adeguamento possa giustificare l'ampliamento per via esegetica del perimetro cognitivo in sede di legittimità, consentendo alla Corte di cassazione di rilevare d'ufficio la violazione del diritto all'equo processo derivante dalla mancata rinnovazione della prova dichiarativa.

 

2. Essenziali i passaggi della vicenda concreta, puntualmente ricostruiti dall'ordinanza di rimessione. Nel capovolgere la sentenza assolutoria, la Corte d'appello valuta credibile la persona offesa ritenuta inattendibile in prime cure, operando su base cartolare un diverso apprezzamento del contegno del dichiarante. L'imputato propone quindi ricorso e deduce - inter alia - il vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità della persona offesa, evidenziandone la decisività, senza tuttavia lamentare la violazione dei parametri di legalità convenzionale derivante dall'omessa riassunzione della prova dichiarativa. In difetto di specifica doglianza del ricorrente occorre, allora, stabilire - è il quesito plasmato per le Sezioni unite - «se sia rilevabile d'ufficio la questione relativa alla violazione dell'art. 6 C.e.d.u. per avere il giudice d'appello riformato la sentenza di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilità di testimoni di cui non si procede a nuova escussione».  

 

3. Sul punto, è "significativo" - così, l'ordinanza di rimessione - il divario maturato all'interno della Corte di cassazione. La tesi negativa[3] poggia sull'assunto per cui la violazione dell'art. 6 Cedu derivante, nell'esegesi dei giudici europei, dalla mancata rinnovazione probatoria in appello, sarebbe ascrivibile al vizio di violazione di legge, subordinato all'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto da parte del ricorrente ex art. 581 c.p.p. e sottratto, quindi, al regime di rilevazione d'ufficio nel giudizio di cassazione. Valorizzato l'impulso di parte - il cui difetto, integrando il mancato esaurimento delle vie interne di ricorso, non consentirebbe di azionare il rimedio sovranazionale - se ne predica la necessità al fine di decifrare se la rivalutazione in appello della testimonianza abbia attinto profili di attendibilità intrinseca ovvero estrinseca, sul presupposto che soltanto la prima, investendo propriamente il flusso comunicativo, imponga sempre di rinnovare la prova, mentre la seconda, riferita alla coerenza rispetto al compendio probatorio nel suo complesso, potrebbe prescinderne[4]. Assai meno formalistico l'approccio seguito dall'opposto orientamento, secondo cui sarebbe invece rilevabile d'ufficio la violazione dell'art. 6 Cedu allorché il giudice d'appello condanni l'imputato, assolto in primo grado, sulla base della mera rivalutazione cartolare dell'attendibilità dei testimoni non escussi in seconde cure[5]. Forte dell'applicazione flessibile che la stessa Corte europea adotta in relazione alla regola del previo esaurimento dei ricorsi interni[6] - a soddisfare il requisito sarebbe infatti sufficiente che la parte interessata abbia comunque impugnato la decisione sfavorevole, sia pure senza proporre specifica doglianza per violazione del diritto a un processo equo[7] - la tesi assume che i dicta europei, quando evidenziano «una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna sostanziale» con la Cedu, rilevino anche nei processi diversi da quello nel cui ambito sono originati[8]. Consequenziale alle premesse sarebbe la possibilità di pervenire all'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 609 comma 2 c.p.p., senza necessità di censurarne ex art. 117 Cost. la legittimità nella parte in cui non riconosce alla Corte di cassazione il potere di rilevare d'ufficio la violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione europea così come interpretata dai giudici di Strasburgo. La ritenuta rilevabilità officiosa andrebbe invece esclusa - oltre ai casi in cui il dovere di rinnovare la prova dichiarativa, secondo la giurisprudenza europea, non trova applicazione (impossibilità di ripetizione, particolare vulnerabilità del teste) - allorché sia necessario un giudizio di fatto sulla rilevanza della prova dichiarativa che implichi attestazioni o allegazioni di merito non compatibili con il giudizio di legittimità[9].

 

4. Anche tralasciando l'opinabile inquadramento della mancata rinnovazione probatoria in appello nel vizio di violazione di legge[10], la tesi che nega la rilevabilità d'ufficio muove da un argomento fallace: il valore accordato alla sola valutazione di attendibilità intrinseca quale presupposto per la rinnovazione in appello[11], che sarebbe onere della parte denunciare con apposite allegazioni, essendo invece ininfluente la valutazione di attendibilità estrinseca della dichiarazione operata nel raffronto con il restante compendio probatorio. La distinzione, invero, non trova alcuna plausibile ragion d'essere, atteso che il giudizio sulla credibilità "interna" del flusso comunicativo (attendibilità intrinseca) risente, inevitabilmente, anche del valore attribuito agli elementi "esterni" al dichiarato (attendibilità estrinseca), rendendo necessario in entrambi i casi riassumere la prova in appello[12]. Neutralizzato il preteso distinguo, parrebbe dissolversi l'esigenza di valorizzare sempre l'impulso di parte.

 

5. Nondimeno, anche il percorso argomentativo che vorrebbe condurre alla rilevabilità d'ufficio presenta taluni inconvenienti. Anzitutto, rimane oscuro il correttivo individuato dalla stessa tesi estensiva quale limite alla rilevazione officiosa della violazione: il «giudizio di fatto circa la rilevanza della prova dichiarativa» che possa «implicare attestazioni o allegazioni di merito che la Corte può non essere in grado di effettuare in via autonoma»[13], sarebbe necessario, infatti, nella misura in cui si intenda accreditare rilievo ai fini della rinnovazione alla sola attendibilità intrinseca, in modo da poterla distinguere, per il tramite di quelle allegazioni, dall'attendibilità estrinseca. Se invece si ritiene - come si ritiene - che la valutazione di credibilità interna pesi tanto quanto quella di coerenza esterna, viene meno anche l'esigenza di allegazioni fattuali e, con essa, l'asserito limite alla rilevazione d'ufficio. Tanto premesso, punctum dolens del ragionamento è l'interpretazione convenzionalmente conforme dell'art. 609 comma 2 c.p.p.: non si chiarisce, infatti, quale delle due porzioni della norma sia consentito "forzare" per ricomprendere nel potere cognitivo della Cassazione la rilevazione officiosa della violazione convenzionale. La mancata rinnovazione della prova dichiarativa in appello è, infatti, estranea alle «questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo» (art. 609 comma 2 prima parte c.p.p.): la categoria annovera - per quanto qui può rilevare - nullità assolute e inutilizzabilità, che richiedono, rispettivamente, previsione tassativa (art. 177 c.p.p.) e violazione di un divieto probatorio (art. 191 comma 1 c.p.p.), requisiti che parrebbero entrambi non soddisfatti nel caso di specie. D'altra parte, un vizio che sorge soltanto con la sentenza d'appello - tale è, per l'appunto, la mancata rinnovazione della prova - non è mai rilevabile in un momento anteriore, tanto meno «in ogni stato e grado»[14]. Di talché, l'innesto per via esegetica si rivela in parte qua problematico. Proprio per il fatto di originare con la sentenza di appello, il vizio in discorso rientra invece senza dubbio tra le questioni «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello» (art. 609 comma 2 seconda parte c.p.p.). Occorre tuttavia osservare che la previsione punta unicamente ad assicurare la cognizione della Cassazione su questioni "sopravvenute", altrimenti precluse perché non dedotte con i motivi d'appello (art. 606 comma 3 c.p.p.); nulla aggiunge in punto di rilevabilità, il cui regime - in difetto di deroghe espresse - parrebbe ancorato alla deduzione di parte, ancorché sopravvenuta[15]. Se, dunque, si volesse leggere nella disposizione il riconoscimento alla suprema Corte di un potere officioso, allo scopo di ricomprendervi la rilevazione della violazione convenzionale non devoluta dal ricorrente, il medesimo regime finirebbe per applicarsi non soltanto alla mancata rinnovazione della prova bensì a tutte le questioni "sopravvenute" all'appello e non dedotte, con ampliamento irragionevole del potere di cognizione officiosa del giudice di legittimità.

 

6. Certamente, non si nega che la via dell'interpretazione conforme esprima nella sostanza una scelta di buon senso: non rispettare le indicazioni convenzionali - lo ricorda l'ordinanza in commento - equivale ad «immettere nell'ordinamento un prodotto "precario"», esposto alla censura sovranazionale con conseguente riapertura del processo interno[16]. Soprattutto nel caso di specie, dove i dicta europei - benché forse non "consolidati" nel significato recentemente coniato dalla Consulta[17], tenuto conto che sono tutti riferiti a ordinamenti diversi da quello italiano[18] - sono univoci nell'esigere la rinnovazione della prova. E perentori, sottolinea ancora il Collegio rimettente, poiché gli organi giurisdizionali nazionali «hanno l'obbligo di adottare misure positive a tal fine, anche se il ricorrente non ha fatto richiesta»[19], configurando una garanzia officiosa a tutela trasversale. Se, tuttavia, l'ostacolo normativo esiste e non vi è modo di superarlo se non a prezzo di forzature sistematiche - tale sarebbe, come detto, l'ampliamento indiscriminato del potere di cognizione ex officio del giudice di legittimità - la sua ragionevole rimozione parrebbe doversi inscrivere nell'incidente di costituzionalità dell'art. 609 comma 2 c.p.p., in relazione all'art. 117 Cost., nella parte in cui non consente alla Corte di cassazione di rilevare d'ufficio la violazione del diritto all'equo processo derivante dalla mancata rinnovazione della prova dichiarativa[20]. E nulla esclude che tra le due opposte opzioni prospettate nell'ordinanza di rimessione, le Sezioni unite scelgano proprio la terza via e rimettano la questione - questa volta sì, d'ufficio - alla Corte costituzionale.

 


[1] L'assunto si fonda sulla considerazione per cui «qualora un giudice d'appello sia chiamato ad esaminare un caso in relazione ai fatti di causa e alla legge, e a fare una valutazione completa della questione relativa alla colpevolezza o all'innocenza del ricorrente, non può, per una questione di giusto processo, adeguatamente stabilire questi problemi senza una valutazione diretta delle prove». Il principio si rinviene (lo rammenta A. Gaito, Vecchio e nuovo a proposito della rinnovazione in appello, in www.archiviopenale.it (n. 3/2015-rivista web), p. 7) in Corte e.d.u., 24 novembre 1986, Unterpertinger c. Austria, ed è stato successivamente ripreso da un copioso filone: Corte e.d.u., 15 settembre 2015, Moinescu c. Romania; Corte e.d.u., 29 ottobre 2013, Hogea c. Romania; Corte e.d.u., 4 giugno 2013, Hanu c. Romania; Corte e.d.u., 9 aprile 2013, FlueraÅŸ c. Romania; Corte e.d.u., 5 marzo 2013, Manolachi c. Romania; Corte e.d.u., 26 giugno 2012, Găitanăru c. Romania; Corte e.d.u., 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia.

[2] Il d.d.l. in materia di impugnazioni all'esame del Parlamento (d.d.l. C n. 2798, ora d.d.l. S n. 2067) propone di introdurre un nuovo c. 4-bis nell'art. 603 c.p.p. secondo cui, nel caso di «appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». In argomento, v. M. Bargis, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di impugnazioni nel recente d.d.l. governativo, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 1/2015, p. 4; Id., I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del d.d.l. n. 2798 approvato dalla camera dei Deputati, in questa Rivista, 19 ottobre 2015.

[3] V. Cass. pen., sez. I, 9 giugno 2015, B.L.B. e al., CED 263961; Cass. pen., sez. V, 20 novembre 2013, Basile, in Cass. pen., 2014, p. 3805; Cass. pen., sez. IV, 19 novembre 2013, CED 261920.

[4] V. Cass. pen., sez. V, 20 novembre 2013, Basile, cit.

[5] V. Cass., sez. I, 3 marzo 2015, M.A., in Arch. nuova proc. pen., 2015, p. 462; Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2015, R.G., in Dir. giust., 22 maggio 2015; Cass. pen., sez. III, 12 novembre 2014, P.F., CED 262978; Cass. pen., sez. II, 10 ottobre 2014, Di Vincenzo, CED 261555.

[6] V. Corte e.d.u., 19 marzo 1991, Cardot c. Francia; Corte e.d.u., 6 novembre 1980, Van Oosterwijck c. Belgio; Corte e.d.u., 16 settembre 2014, Mischie c. Romania.

[7] V. Cass. pen., sez. III, 12 novembre 2014, P.F., cit. Per un commento adesivo, v. F. Giunchedi, La Cassazione e la tela di Penelope. I giudici "guardiani" dell'equo processo, in Proc. pen. giust., 2015, n. 5, p. 43.

[8] V. Cass. pen., sez. II, 10 ottobre 2014, Di Vincenzo, cit., che richiama sul punto l'opinione espressa in Cass. pen., sez. un., 19 aprile 2012, Ercolano, in Cass. pen., 2012, p. 3969.

[9] V. Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2015, R.G., cit.

[10] Soluzione riduttiva, secondo i rimettenti, poiché la Convenzione è fonte normativa sovralegislativa, benché subcostituzionale, il cui rispetto non potrebbe soggiacere allo statuto delle impugnazioni che prevede, per le violazioni che non determinano inutilizzabilità o nullità assolute, il rigoroso rispetto della catena devolutiva. Per un'articolata ricostruzione del possibile inquadramento nei motivi di ricorso del vizio derivante dall'omessa rinnovazione della prova, v. S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., n. 3-4/2014, p. 264 s.

[11] Per l'orientamento giurisprudenziale riferito alla sola valutazione di attendibilità intrinseca, v. anche Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 2013, Morzenti, in Dir. pen. proc., 2014, p. 191; Cass. pen., sez. V., 5 luglio 2012, Luperi, in Cass. pen., 2013, p. 2195. In termini critici, v.  S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, cit., p. 249 s. Osserva M. Bargis, I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del d.d.l. n. 2798 approvato dalla camera dei Deputati, cit., che il testo dell'art. 603 comma 4-bis c.p.p. di cui al d.d.l. in materia di impugnazioni, all'esame del Senato (v. supra, nt. 2), nel riferirsi alla "valutazione" in genere della prova dichiarativa, dovrebbe condurre al superamento del criterio giurisprudenziale che accorda rilievo alla sola valutazione di attendibilità intrinseca quale presupposto per la rinnovazione.

[12] In questi termini, v. M. Daniele, Norme procedurali convenzionali e margine di apprezzamento nazionale, in Cass. pen., 2015, p. 1702.  

[13] Così, Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2015, R.G., cit.

[14] Lo rileva S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, cit., p. 273, nt. 140.

[15] V. ancora S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, loc. ult. cit.

[16] Si allude alla nuova revisione "europea", precipitato della pronuncia con cui la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 630 c.p.p. - per violazione dell'art. 117 comma 1 Cost., in relazione alla norma "interposta" di cui all'art. 46 Cedu - nella parte in cui non prevede, tra i casi di revisione che consentono la riapertura del processo, quello relativo all'obbligo di uniformarsi alla pronuncia della Corte e.d.u. che ne abbia accertato l'iniquità (v. C. cost., 7 aprile 2011, n. 113, in Cass. pen., 2011, p. 3299).

[17] Il riferimento è a C. cost., 26 marzo 2015, n. 49, in questa Rivista, 30 marzo 2015, con commento critico di F. Viganò, La Consulta e la tela di Penelope. Osservazioni a primissima lettura su C. cost., sent. 26 marzo 2015, n. 49. All'indomani della pronuncia, per la necessità di una modifica legislativa dell'art. 603 c.p.p., v. A. Gaito, Vecchio e nuovo a proposito della rinnovazione in appello, cit., p. 7-8. Negli stessi termini, già in epoca anteriore, v. M. Daniele, Norme procedurali convenzionali e margine di apprezzamento nazionale, cit., p. 1702.  

[18] Lo rileva M. Bargis, I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del d.d.l. n. 2798 approvato dalla camera dei Deputati, cit., p. 7.

[19] V. Corte e.d.u., 4 giugno 2013, Hanu c. Romania, in questa Rivista, 17 giugno 2013, con nota di S. Recchione, La rivalutazione in appello della testimonianza "cartolare": la posizione della Corte di Strasburgo e quella della Cassazione a confronto.

[20] È la soluzione prospettata da S. Tesoriero, La rinnovazione della prova dichiarativa in appello alla luce della Cedu, cit., p. 273-274.