4 luglio 2017 |
La nuova disciplina in materia di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo (d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90)
Contributo pubblicato nel Fascicolo 7-8/2017
1. Il 19 giugno 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90, di attuazione della Direttiva UE 849/2015 (“Quarta Direttiva”)[1], relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. Si tratta di un intervento atteso, annunciato con la legge di delegazione europea per il 2017 (l. 12 agosto 2016, n. 170), il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 febbraio 2017[2]. Nell’ambito della disciplina delle misure antiriciclaggio e di prevenzione del terrorismo, è, peraltro, sopraggiunta una proposta di Direttiva della Commissione Europea che modifica la Quarta Direttiva, con lo scopo di rafforzare ulteriormente l’azione di contrasto e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo. In particolare, tale proposta di Direttiva mira ad estendere i poteri e le attribuzioni delle Financial Intelligence Units statali, valorizzando la loro rete europea, potenziando gli strumenti di accesso alle informazioni rilevanti e incrementando il ruolo (e i doveri) di prevenzione e controllo decentrato in capo ai soggetti obbligati[3].
Nel complesso il d.lgs. 90/2017 ha apportato significative modifiche alla disciplina in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, riscrivendo una parte consistente del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, introdotto, come noto, in attuazione della precedente Direttiva antiriciclaggio, nonché ai fini di una sistemazione organica alla materia.
In estrema sintesi, in attuazione della Quarta Direttiva sono rimodulati e ampliati i compiti e le responsabilità sia del Ministero dell’economia e delle finanze - in relazione al fondamentale ruolo di coordinamento e scambio con le istituzioni europee e internazionali, nonché con le amministrazioni, le istituzioni e i soggetti pubblici e il settore privato -, sia dell’UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia). Sono ridisegnati anche i compiti e le attribuzioni delle altre autorità pubbliche interessate. In ossequio alla linea tracciata dalla Direttiva, che si muove rafforzando il cd. approccio basato sul rischio, il decreto ha riscritto l’intero Titolo I del d.lgs. 231/2007, modificando le definizioni, le finalità, i principi e l’elenco dei soggetti (i “soggetti obbligati”) chiamati ad adempiere alle prescrizioni orientate a prevenire e identificare episodi di utilizzo del denaro a fini di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo. Sono stati resi più stringenti gli obblighi di adeguata verifica (Titolo II), sia nella forma semplificata, eliminando le esenzioni precedenti, che nella forma rafforzata, e sono state introdotte norme specifiche in relazione all’attività dei cd. money transfer. Nel Titolo IV sono state introdotte nuove norme indirizzate al settore, particolarmente critico per il rischio riciclaggio, dei servizi di gioco.
Concentrando l’attenzione della presente nota “di prima lettura” alle disposizioni penalistiche contenute nell’art. 5 del decreto, si deve segnalare la modifica complessiva delle fattispecie penali del Capo I del Titolo V del d.lgs. 231/2007, costituito, nella nuova versione come in quella precedente, dal solo art. 55. Gli articoli successivi riguardano gli illeciti amministrativi (Capo II del Titolo V del d.lgs. 231/2007, artt. 56-69), rispetto ai quali la novità più saliente è costituita dalla previsione di uno specifico procedimento sanzionatorio, in ossequio a quanto previsto dalla Direttiva, laddove la normativa precedente rinviava per il procedimento di accertamento e irrogazione della sanzione alla l. 689/1981.
Il decreto, inoltre, nello stesso art. 5, “ribadisce” l’operatività dell’art. 648-quater c.p., che disciplina la confisca per i reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, nonché l’art. 25-octies del d.lgs. 231/2001, che disciplina la responsabilità degli enti per gli stessi reati. Nella prima versione del decreto pubblicata in Gazzetta Ufficiale, probabilmente per un errore nella redazione della norma, questi articoli erano “ribaditi” omettendo ogni riferimento all’autoriciclaggio. Da ciò sarebbero, inevitabilmente, derivate due rilevanti conseguenze: l’eliminazione dell’autoriciclaggio dal catalogo dei reati presupposto della responsabilità dell’ente e l’eliminazione della possibilità di disporre l’ipotesi di confisca speciale, anche per equivalente, in relazione a tale reato. All’esito di tale intervento normativo poteva persino ipotizzarsi l’abrogazione (tacita) dell’art. 648-ter.1 c.p., in ragione della tecnica redazionale adoperata nel “nuovo” testo dell’art. 72 d.lgs. 231/2007, che prevedeva testualmente l’inserimento nel codice penale dell’art. 648-quater “dopo l’art. 648-ter”, facendo così ‘rivivere’ la disciplina penalistica della materia anteriore alla l. 186/2014 (che ha introdotto il delitto di autoriciclaggio)[4]. Nei giorni di vacatio legis tale imprevista quanto dirompente conseguenza è stata prontamente segnalata da attenta dottrina[5]; il legislatore ha posto rimedio tempestivo alla propria vistosa distrazione, pubblicando, nella Gazzetta Ufficiale del 28 giugno 2017, una rettifica al testo del d.lgs. 90/2017 (v. infra), con la ri-collocazione dell’autoriciclaggio tra gli articoli richiamati dalle due norme in questione, il che consente altresì di fugare in radice ogni dubbio sulla persistente vigenza dell’art. 648-ter.1 c.p., sia come autonoma fattispecie delittuosa (i cui proventi sono passibili di confisca a mente dell’art. 648-quater c.p.), sia quale illecito rientrante nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità da reato degli enti ex d.lgs. 231/2001.
A proposito dei rapporti tra autoriciclaggio e normativa antiriciclaggio, vale la pena di segnalare come il decreto in commento abbia introdotto una definizione ad hoc di “attività criminosa” (art. 1, co. 2, lett. b) dalla quale originano i beni oggetto di riciclaggio, come «la realizzazione o il coinvolgimento nella realizzazione di un delitto non colposo». Ha riproposto, inoltre, la definizione di “riciclaggio”, già presente (art. 2, co. 4), che pacificamente comprende sia le condotte di chi riceve i beni di provenienza illecita da riciclare, sia quelle di chi ha realizzato in prima persona il delitto non colposo e partecipa anche all’impiego e occultamento dei beni provenienti dallo stesso, ossia l’autoriciclatore. Infatti la definizione di riciclaggio comprende quella di autoriciclaggio sin dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/2007, dunque ancora prima che il delitto di cui all’art. 648-ter1 c.p. fosse introdotto. Se ne ricava come, anche per questa ragione, sarebbe stata inspiegabile una volontaria abrogazione, da parte dello stesso legislatore del decreto in commento, della rilevanza dell’autoriciclaggio dall’ambito della confisca e della responsabilità degli enti.
2. Secondo i criteri dettati della legge delega n. 170/2016 (art. 15, lett. h, no. 1), la riforma delle disposizioni penali del d.lgs. 231/2007 aveva l’obiettivo di selezione e riduzione dell’area di rilevanza penalistica, anche in considerazione del principio del ne bis in idem in relazione all’articolato apparato sanzionatorio amministrativo. Il legislatore delegato, infatti, aveva il compito di «limitare la previsione di fattispecie incriminatrici alle sole condotte di grave violazione degli obblighi di adeguata verifica e di conservazione dei documenti, perpetrate attraverso frode o falsificazione, e di violazione del divieto di comunicazione dell'avvenuta segnalazione, prevedendo sanzioni penali adeguate alla gravità della condotta e non eccedenti, nel massimo, tre anni di reclusione e 30.000 euro di multa».
Dal confronto tra il nuovo art. 55 d.lgs. 231/2007 e il precedente, emerge in primo luogo la semplificazione e la riduzione delle fattispecie con l’abbandono (quasi) totale della tecnica del rinvio che caratterizzava il sistema previgente e che contribuiva a rendere difficili l’individuazione e la comprensione delle condotte vietate.
La semplificazione è stata ottenuta non solo con l’opportuno cambiamento della tecnica di redazione delle norme, ma anche limitando l’area di rilevanza penale a condotte caratterizzate da un maggiore disvalore, con la costruzione di nuove fattispecie delittuose, per quanto riguarda i reati più strettamente legati agli obblighi gravanti sugli operatori (co. 1-3), punite con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 a 30.000 euro[6].
Inoltre, le fattispecie di nuova introduzione sono costruite in relazione a condotte attive, connotate da particolari modalità di falsificazione di documenti e informazioni o altrimenti fraudolente, distaccandosi dal modello precedente caratterizzato dalla presenza di numerose fattispecie di reati omissivi propri, con anticipazione della tutela a violazioni formali considerate prodromiche di (eventuali) pericoli di riciclaggio di denaro o di uso di denaro per finanziamento del terrorismo.
Rispetto all’opera di integrale riformulazione delle fattispecie di reato, fa eccezione il mantenimento, sostanzialmente senza variazioni, della contravvenzione di cui al comma 4, relativa alla violazione del divieto gravante sui soggetti obbligati di avvenuta comunicazione[7] delle segnalazioni di operazioni sospette e del relativo flusso di ritorno delle comunicazioni da parte delle autorità pubbliche (UIF).
Restano invariate anche le fattispecie più gravi punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 euro, di cui al comma 5[8], relative all’uso indebito e falsificazione di carte di pagamento e di possesso, cessione o acquisizione di tali documenti di provenienza illecita. Si tratta di un delitto che, pur avendo a che fare con la repressione della circolazione di denaro illecito, hanno scarsa relazione con la disciplina antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/2007. Le fattispecie in questione rappresentano le uniche, tra quelle dell’art. 55 d.lgs. 231/2007, ad avere trovato una significativa applicazione.
In sintesi, sembrano stati emendati con la riforma i vizi più macroscopici del sistema previgente, caratterizzato da una normativa da un lato ipertrofica, estremamente dettagliata e meramente sanzionatoria di una congerie di obblighi gravanti sugli operatori e, forse proprio a causa della tecnica normativa, di rarissima applicazione[9].
Passando ad un sintetico esame delle singole fattispecie di nuova introduzione, i delitti previsti dal comma 1 si applicano a condotte di falsificazione di dati e informazioni relativi al cliente, al titolare effettivo, all'esecutore, allo scopo e alla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e all'operazione, nonché all’utilizzo di dati e informazioni false in occasione dell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica (Titolo II, capo I). In relazione alla condotta di utilizzo, sarà necessaria la conoscenza della falsità delle informazioni utilizzate.
Il comma 2 attiene agli obblighi di conservazione (Titolo II, capo II) e si applica a chi acquisisce o conserva dati falsi o informazioni non veritiere sul cliente, sul titolare effettivo, sull'esecutore, sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e sull'operazione, nonché a chi si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti dai e informazioni. Se in relazione alla prima condotta descritta è necessaria la conoscenza della falsità dei dati, per la seconda condotta, costituita dal ricorso a non meglio descritti mezzi fraudolenti, particolarmente significativo è l’elemento del dolo specifico del fine di pregiudicare la corretta conservazione.
Il reato del comma 3 si apre con la clausola di riserva che fa salva l’applicazione di reati più gravi e riguarda i soggetti che devono comunicare le informazioni necessarie all’assolvimento dell’adeguata verifica e, in tale sede, forniscono dati o informazioni non veritiere. Si tratta della fattispecie applicabile al cliente (art. 22) che fornisce false informazioni al soggetto tenuto ad effettuare l’adeguata verifica.
Al comma 6 è ribadita l’ipotesi speciale di confisca - introdotta nel 2010 e modificata nel 2012 - degli strumenti che sono serviti a commettere il reato, applicabile, in relazione alla commissione del reato di abusiva attività di prestazione dei servizi di pagamento (art. 131-bis t.u.b.), agli agenti in attività finanziaria che prestano servizi di pagamento attraverso il servizio di rimessa di denaro. E’ infine stata introdotta dal decreto in commento la confisca, in caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., per il solo reato di cui al comma 5 - relativo alle carte di pagamento - delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché del profitto o del prodotto, anche nella forma per equivalente. Ai sensi del comma 7, gli strumenti sequestrati ai fini della confisca possono essere affidati agli organi di polizia che ne facciano richiesta.
[1] La Direttiva ha recepito a livello europeo le raccomandazioni predisposte nel 2012 dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale – GAFI, istituito in seno all’OCSE.
[2] In commento alla Quarta Direttiva e allo schema di decreto legislativo, S. De Flaminneis, Gli strumenti di prevenzione del riciclaggio, in questa Rivista, 26 maggio 2017.
[3] Per un quadro più puntuale circa la proposta di Direttiva, L. Troyer, M. Zancan, Verso una nuova Direttiva in materia di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, in questa Rivista, 6 marzo 2017.
[4] C. Santoriello, L'autoriciclaggio non è più ricompreso nel novero dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti, in Rivista231.it.
[5] C. Santoriello, L'autoriciclaggio non è più ricompreso nel novero dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti, cit.
[6] A rendere ancora più complesso e irrazionale il quadro normativo precedente, aveva contribuito da ultimo il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 che, disponendo la depenalizzazione di tutti i reati per i quali era prevista la sola pena della multa, aveva ridotto a illecito amministrativo tre delle fattispecie relative alle violazioni in tema di identificazione in sede di adeguata verifica e di registrazione (co. 1, 4 e 7 del previgente art. 55).
[7] Si segnala un ampliamento della condotta vietata, derivante dall’estensione del divieto di comunicazione, di cui all’art. 39, co. 1, d.lgs. 231/2007, anche alla comunicazione al cliente interessato o a terzi dell'esistenza ovvero della probabilità di indagini o approfondimenti in materia di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
[8] Precedentemente al co. 9 dell’art. 55.
[9] In commento al sistema previgente si v. F.C. Bevilacqua, Le previsioni sanzionatorie della normativa antiriciclaggio, in A. Alessandri (a cura di), Reati in materia economica, Giappichelli, 2017, p. 377, anche per ulteriori riferimenti.